La Tonda di San Giovanni
Un ballo popolare nel Molise di metà ottocento, fra tarantismo e danzimania
Nel febbraio 1848, a Napoli. viene stampata una ‘Memoria’ redatta negli ultimi mesi dell’anno precedente dal dottor Giuseppe Maria Carusi, intitolata Della tarantola e del tarantismo[1]. Gli argomenti che l’autore tratta sono geograficamente collocati, in via quasi esclusiva, all’ interno d’ un territorio ricadente nella zona dove s’ incontrano Puglia, Campania e Molise. In particolare. proprio alcune località a quel tempo moli sane, ossia Fojano e Colle[2], sono al centro di alcune notizie d’interesse etnocorcologico incluse nella Memoria, quelle che si riferiscono ad un ballo popolare denominato tonda.
I contenuti della Memoria
Nell’esta te del 1847, un’epidemia di tifo colpisce gli abitanti di Montefalcone[1] e il dottor Giuseppe M. Carusi viene colà inviato dall’Intendente della Provincia di Capitanata per prestare soccorso medico. In tale frangente, egli riceve una circolare ministeriale che intende conoscere: se la tarantola pugliese sia o pur velenosa; e se, mordendo l’uomo, vada questi soggetto a quella famosa malattia. detta tarantismo.
Carusi già se ne stava occupando, pure attraverso esperimenti; così, per dare risposta ai due quesiti, decide d i approfondi re l’analisi dell’aracnidismo. Infatti, la Memoria prosegue con notizie sulla Lycosa tarantola che, per quanto testimoniato da Carusi, «sul rialto del Carmine presso Colle del Molise è frequentissima». L’autore descrive le caratteristiche anatomiche di tale ragno e si sofferma sul suo «apparecchio venefìco»; inoltre, disserta di scorpioni, vipere, api, vespe, scolopendre e calabroni, talvolta con fuggevoli accenni talaltra con pertinenti osservazioni scientifiche.
Quindi la sua trattazione s’ incentra sugli effetti della puntura della tarantola, dapprima in veste teorica poi in chiave empirica. Per ottenere risultati sperimentali, Carusi non si fa scrupolo d’utilizzare cavie umane e – in modo assurdo, anzi folle – ricorre a tre bambini «di cinque anni circa»che rispondono ai nomi di Biagio Corvito. Nicola Paoletti e Tommaso Valente.
Il medico di Baselice, la mattina del 10 settembre del 1847, dopo aver ricevuto «da Lucera tre falangi racchiusi in appropriati tubi», fa mordere «l’avambraccio de’ tre nominati fanciulli». Per nulla preoccupato dei pericoli a cu i li ha sottoposti (basti pensare alla possibilità di fatali shock anafilattici), Carusi si compiace di scoprire che i bambini, «durame l’azione venefica del falangio», restano indifferenti «a· diversi accordi di svariati stromenti musicali». In pratica, si sente soddisfatto d’aver constatato che in loro non si riscontra la frenesia coreutico-musicale tipica del tarantismo. A suo dire, alcun bisogno di danzare o di ascoltare musica si manifesta nei fanciullini. La circostanza lo coinvolge tato che ripete l’esperimento «in mille guise con falangi sannitici e pugliesi, non esclusi i tarantini, su ragazzi, su giovani maschi e femmine». Lo replica anche su sé stesso. sempre col medesimo risultato.
La tonda
Una parte della Memoria di Carusi – come in precedenza segnalato – include informa zioni d’interesse etnocoreologico, in particolare quelle riferite ad un ballo chiamato la tonda, che a suo dire aveva «molta somiglianza col tarantismo»[2] e che si danzava il 24 giugno presso una chiesa «dedicata al Beato Giovanni di Tufara».[3]
Queste notizie pubblicate da Carusi: «Non sarà superfluo dare qui una idea della tonda e del tarantismo e compararli tra loro. Veggonsi sul Mazzocco suddetto i ruderi di un grande edificio, eretto un dì da’ Cavalieri Teutonici. In mezzo a quelle colossali ruine si erge risorta una chiesetta dedicata al Beato Giovanni da Tufara, di cui il dì festivo si solennizza a’ 24 giugno di ciascun anno. In cotal giorno, che è pur quello di S. Giovambattista, convengon colà, non solo da’ limitrofi sì bene da’ paesi lontani, innumerevoli spettatori. I quali recansi ivi. come ben s’intende, più per ballare che per venerare il Beato.
La festa è solenne, e rammenta le Lupercali. Intorno a tal delubro e di lontano nell’adiacentevasto largo son frequenti venditori di commestibili, e laute mense quinci e quindi imbandisconsi su l’erba. Le bande musicali armonizzano quelle aure salubri; la gioia e il riso, irrompendo dal cuore. schiude su tutti i volti, e Bacco a larga mano ne accresce la ilarità.
Intanto da nona a vespero in un punto dell’accennato largo, si guida un ballo che appellasi la tonda. Quindici o venti coppie, e talvolta più, di uomini e donne, massime di Colle, di Fojano e Sammarco de’ Cavoti, pongonsi in cerchio, ed a dati accordi musicali. muovonsi. danzano e s’urtano in sì strani modi, spesso osceni, che destano il riso. E pure quel ballo è liturgico, ché istituito da’ Teutonici, passa da generazione in generazione. Esso ha molta somiglianza col tarantismo…».
Se si presta fede a queste e ad altre riflessioni contenute nella Memoria, la tonda va ascritta a quella famiglia di danze che comprendono il Ballo di San Giovanni e il Ballo di San Vito. di cui nel 1832 s’era occupato Justus Friedrich Carl Hecker nella Tanzwuth[4] opera la cui lettura aveva certamente influenzato Carusi, laddove afferma: «…la danzimania surse in Germania, allora quando la peste del secolo xvii, dopo di aver fatto di uomini crudo sterminio in Europa, cessò verso il solstizio estivo di quell’anno. I superstiti a tanta strage, dello scampato malanno ringraziando la Divinità festeggiarono, come è uso, con pranzi suoni e balli il giorno di S. Giovambattista. L’anniversario ripeteasi alla stessa guisa, e nacque così il ballo di S. Giovanni, che si diramò per l’Europa intera. Esso sulle prime era religioso, poscia divenne osceno, arrecò gravi sconci, e passò di moda; non tutto però, ché in varii villaggi vige ancora, come in quelli presso il Mazzocco, monte nel confine del territorio molisano col Principato ultra. Quivi presso ad un delubro nel dì di S. Giovambattista si danza la tonda, ballo liturgico teutonico, che è molto analogo al tarantismo».
Mauro Gioielli
[1] Montefalcone di Valfortore, in provincia di Foggia.
[2] Nella sua Memoria, Carusi sostiene che «in Baselice, mia patia, e ne’ paesi limitrofi non si verificò mai caso di tarantismo, né di morsura di ragno». Poi, però, smentisce di fatto questa sua affermazione allorquando ricorda dapprima tale Domenico Viola, di Baselice, «dal ragno morsicato» durante la notte de’ 27 luglio 1839, dormendo all’aperto nel territorio foggiano». E successivamente una donna nativa di Cella (oggi Celle di San Vito) che da giovane«per amore infelice patì cotal morbo», benché non ricordasse «di essere stata mai morsicata dal ragno».
[3] Il monaco eremita Giovanni nacque a Tufara nel 1084 e visse a lungo nel monastero di Gualdo Mazzocca, presso Foiano, dove morì nel 1170. Sui resti dell’antico monastero è sorta una cappella dedicata al Beato Giovanni l’Eremita, dove ancora oggi, ogni anno, gli abitanti dei paesi vicini si recano il 24 giugno per festeggiare l’onomastico.
[4] G.F.C. HECKER, Die Tanzwuth, eine Volkskrankheit im Mittelalter, Berlino 1832 (ed. Italiana, La danzimania, malattia popolare nel medio-evo, Firenze 1838.)
[1] G.M. CARUSI, Della tarantola e del tarantismo, Stamperia del Vaglio, Napoli 1848.
[2] Colle (oggi Colle Sannita) e Fojano (oggi Foiano di Valfortore), così come Baselice – paese natale di Giuseppe M. Carusi -, hanno fatto parte della Provincia di Molise finomalm1861.