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La vera storia di Don Carlos

Posted by on Mag 14, 2022

La vera storia di Don Carlos

 

La tragedia di Schiller, quella di Alfieri, e principalmente l’opera lirica di Giuseppe Verdi, hanno tramandato e tramandano la figura romantica del principe spagnolo Don Carlos (1545-1568), innamorato della matrigna e fatto uccidere dal geloso padre, re Filippo II. Si tratta però di una invenzione letteraria utile per attaccare il monarca spagnolo, strenuo difensore della Chiesa nel periodo successivo alla riforma protestante.

La verità è tutt’altra: l’infante Don Carlos è figura tutt’altro che romantica; basti pensare che fin da piccolo aveva rivelato segni di squilibrio mentale, divertendosi a torturare gli animali e aggredendo i compagni di gioco, spesso senza motivo. Giunse perfino a tentare di buttare dalla finestra il suo confessore, che si salvò soltanto perché giunse in tempo la servitù.

Il padre, a differenza da quanto descritto dalle opere di fantasia, era molto indulgente con il figlio e perdonava sempre quel ragazzo rimasto orfano appena nato della madre (Maria Emanuela d’Aviz, infanta di Portogallo) e vissuto senza la presenza paterna: Filippo era troppo preso dal suo compito di sovrano per riuscire ad essere un affettuoso genitore, fatto che causò nel figlio un forte senso di astio.

Dal canto proprio, Don Carlos crebbe brutto nel corpo come nell’animo. A dodici anni così lo descrisse l’Ambasciatore di Venezia: «Il Principe ha una testa grossa e sproporzionata al corpo, è nero di pelo, debole di costituzione, dimostra un’anima crudele e vi do di esso una prova: quando alla caccia afferra una lepre o un altro animale, si diletta nel vederlo bruciare vivo. Una volta che gli regalarono una biscia molto grande e questa gli morsicò un dito, subito, con un morso, egli le tagliò netto la testa. Dà prova di molta superbia perché non può stare davanti al padre con il berretto in mano e chiama il padre fratello e il nonno padre; è iracondo in massimo grado, è testardo nelle sue opinioni, si diletta in uscite cosi straordinarie che il suo professore le ha raccolte in un libretto che ha inviato all’Imperatore».

Anni dopo un altro ambasciatore veneziano confermò l’impressione: «Di persona è molto piccolo, di aspetto brutto, sgradevole e malinconico: ha sofferto, quasi continuamente, per tre anni di febbri quartane con alterazioni mentali che sembrano molto gravi e che parrebbero ereditate dalla sua bisavola, la madre di Carlo V, conosciuta come Giovanna la Pazza. Crescendo non volle né studiare né apprendere esercizi fisici. Amava solo far male agli altri e quando poteva mettere le mani su persone di poca importanza, faceva soffrire loro mille martiri; tentò persino di evirarne uno. Non ama nessuno, ma odia molti; nelle sue opinioni è testardo, ostinato, parla difficilmente e lentamente con parole tronche e rotte, non capisce niente delle cose del mondo».

Crescendo, la situazione peggiorò: a diciassette anni, a causa di una brutta caduta da una scala, si ferì gravemente alla testa e si ruppe varie ossa, tanto da destare preoccupazione per la sua vita; una volta guarito rimase con una gamba difettosa e una spalla molto più alta dell’altra, accentuando la propria suscettibilità: aggrediva i cortigiani a mano armata e volle addirittura costringere un calzolaio, reo di avergli confezionato un paio di scarpe non di suo gusto, a mangiarle dopo averle cotte. La sua pazzia e la sua violenza non fecero che aumentare, come conferma un terzo ambasciatore veneziano: «Sul conto di questo principe si potrebbero dire molte altre cose, ma non sono convenienti».

Astioso nei confronti del padre, che giunse ad odiare, iniziò ad accarezzare un ambizioso progetto: seguire Filippo II in un progettato viaggio nelle Fiandre, per mettersi poi lì a capo delle correnti indipendentistiche e crearsi di quei possedimenti un proprio Regno. Per questo parlò a lungo – e forse cospirò – con gli ambasciatori fiamminghi giunti in Spagna, che cercarono di guadagnare alla loro causa l’erede al trono.

Quando però il Re rinunciò al viaggio con il figlio, inviando nelle Fiandre il Duca d’Alba, tali sogni di grandezza svanirono e la follia latente di Don Carlos esplose. Cercò di ammazzare il Duca d’Alba, che disarmò il ragazzo, quindi iniziò a nutrire pensieri parricidi e tentò di convincere ad aiutarlo lo zio, il futuro eroe di Lepanto, don Giovanni d’Austria (1547-1578), di due anni più giovane. Don Giovanni avvertì il fratellastro Filippo dei propositi omicidi di Don Carlos, il quale intanto si era rivolto ad una commissione di frati perché gli impartissero un’assoluzione anticipata (!) poiché voleva uccidere una persona per cui provava un odio mortale e invincibile. Tutti capirono che si trattava del Re, suo padre, che infine fu costretto ad agire.

La mattina del 18 gennaio 1568 Filippo II entrò nella stanza da letto del Principe, che cercò di usare un’arma contro il padre. Fermato, l’Infante si sentì dire dal monarca: «D’ora in avanti non vi tratterò più come padre, ma come Re».

La stanza fu in breve sbarrata e trasformata in prigione. Vi furono trovate alcune carte che il Re conservò fino agli ultimi anni della propria vita, distruggendole solo allora. Erano soprattutto i progetti che Don Carlos voleva attuare in Italia e nelle Fiandre per combattere la politica paterna. L’arresto fu tenuto nascosto, più per intima vergogna che per timore dei pretesi complici del Principe, tra cui nelle carte erano indicati lo zio don Giovanni d’Austria e la regina Elisabetta di Valois.

La prigionia durò pochi mesi: il principe morì il 28 luglio 1568 per i postumi di una congestione (un pranzo pantagruelico seguito da varie caraffe di acqua ghiacciata). Falsa la notizia, messa in giro dai nemici di Filippo II, di un avvelenamento (a che scopo, essendo il principe ridotto in stato di non nuocere?). Come pure falsa fu la storia del suo amore infranto per la Regina. È vero che tra Elisabetta di Valois e Don Carlos c’era stato un fidanzamento, ma era stato solo sulla carta, quando ambedue avevano tredici anni e non si erano mai incontrati. Alla morte di Maria Tudor, nel 1558, il vedovo Filippo II si sostituì al figlio, che non subì alcun trauma per la non infrequente prassi della sostituzione matrimoniale.

La morte della Regina Elisabetta, il 3 ottobre seguente, fu dovuta ad una gravidanza perduta ed all’incapacità dei medici: naturalmente, anche se tra i due eventi non vi fu relazione alcuna, Filippo dovette subire, oltre al trauma della scomparsa di due persone che aveva comunque amato, ulteriori dicerie di veneficio alimentate dai suoi avversari, che grazie alla letteratura lo avrebbero trasformato in un tiranno geloso e sanguinario. Falsità, come ha dimostrato la storiografia. Ma c’è più gente che conosce il Don Carlo di Verdi di quanta abbia letto una seria biografia di Filippo II.

A noi non resta che ripetere – come veridico ancorché non sentito dall’autore – il “giudizio” su Filippo II espresso nel coro del secondo (nella versione italiana) atto del Don Carlo (1867) di Verdi:

Spuntato ecco il dì d’esultanza
Onore al più grande de’ Re!
In esso hanno i popol’ fidanza,
Tutto il mondo è prostrato al suo piè!
Il nostro amor ovunque l’accompagna,
E quest’amor giammai non scemerà.
Il suo nome è l’orgoglio della Spagna,
E viver deve nell’eternità!

Gianandrea de Antonellis

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