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La villa del Pausilypon, analisi del contesto culturale e degli aspetti formali

Posted by on Nov 2, 2020

La villa del Pausilypon, analisi del contesto culturale e degli aspetti formali

Otiosa Neapolis inteso nel significato più nobile lo possiamo trarre da un luogo descritto nell’ultimo libro delle Metamorfosi di Ovidio. Il poeta descrive il viaggio lungo la costa di una nave, che appena dopo lo stretto di Messina, «punta verso le isole del figlio d’Ippota e le miniere di Tèmesa, e Leucosia (punta Licosa) e i roseti della tiepida Pesto (Paestum). Quindi rasenta Capri e il promontorio di Minerva e i colli lussureggianti di viti di Sorrento e la città di Ercole e Stabia e Partènope nata per oziare, e poi Cuma col tempio della Sibilla».

Quel «Parthenope in otia natam» che ha tutto l’aspetto d’una battuta umoristica, magari proprio ispirata all’otiosa Neapolis del poeta venosino, rispecchia invece senza dubbi quel clima e quella tradizione filosofico letteraria di cui la Napoli greca, ormai anche sede ufficiale di solenni agoni e certami poetici, era, dopo Roma, la depositaria più degna dell’Occidente. La città, con le sue bellezze naturali, la vita gaia e serena, l’amenità salutifera delle vicine terme e le periodiche manifestazioni di cultura e d’arte, era divenuta l’ambiente più idoneo per ricreare in un clima distensivo il corpo e lo spirito. Allo stesso modo Orazio non sa trovare una sede più appropriata che Napoli e dintorni, per affibbiare alla città l’appellativo di “otiosa”, che però non vuole essere un elogio, né alludere agli otia filosofici, il poeta ha voluto semplicemente dire «città di sfaccendati», alludendo certamente al modo in cui questo popolo credeva a tutto ciò che gli si veniva detto. Più il legame con Napoli si fa sottile, e più l’averla menzionata diventa quasi la conferma che quell’otiosa volesse appunto dire «la vera patria dei perdigiorno di tutto il mondo greco-romano». Pochi anni dopo, Virgilio chiudeva le Georgiche con due versi che fanno leva sul termine “otium”:
«[…] illo Vergilium me tempore dulcis alebat Parthenope, studiis florentem ignobilis oti 2 […]».
«[…] In quei tempi la dolce Partenope ospitava me che fiorivo d’entusiasmo per un ozio poco nobile […]».

Marco Vallario

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