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L’affondamento dell’Arandora Star

Posted by on Nov 12, 2021

L’affondamento dell’Arandora Star

Nella mostra “I nostri Italiani nel mondo” inaugurata a Cassino il 5 agosto scorso, vi era un’immagine della motonave inglese Arandora Star; quella foto è passata inosservata, ma contemporaneamente in quei giorni in Italia si è risvegliato un particolare interesse per i fatti legati alla nave.

Vari quotidiani e settimanali hanno ricordato la tragedia che causò la morte di centinaia di Italiani nel suo affondamento. In passato l’Arandora Star è stata oggetto di ricostruzioni storiche con varie pubblicazioni ed un film. Tuttavia la sua storia è pressoché sconosciuta a gran parte degli Italiani.
Noi ce ne occupiamo perché nel suo affondamento (2 luglio 1940) morirono 446 emigrati Italiani residenti in Gran Bretagna, arrestati come “stranieri nemici” dopo l’entrata in guerra dell’Italia e destinati ad un campo di prigionia canadese; tra essi perirono 80 nostri conterranei del basso Lazio e dei comuni contermini del Molise.
Dall’elenco delle 446 vittime italiane stralciamo quello dei nostri compaesani.

Per l’elenco dei nomi e provenienza vi rimdandiamo alla fonte dell’articolo

All’elenco abbiamo aggiunto altri 3 nomi di probabili conterranei, come ci fa intuire il loro cognome, anche se la provenienza indicata non è italiana: potrebbe trattarsi di persone già da tempo residenti in Gran Bretagna (Pacitto Gaetano Antonio e Marsella Orlando) o lì giunti dopo una permanenza in Francia (Crolla Donato).
Per consultare l’elenco completo delle 446 vittime si puó andare al sito web: http://gallery.quotidiano.net/documenti/caduti/1-50.htm.

Ma vediamo da vicino quella tragica vicenda che da noi ha subito un vero e proprio processo di rimozione storica.
Il 10 giugno 1940 l’Italia di Mussolini scese in guerra a fianco della Germania di Hitler contro Inghilterra e Francia. Appena il giorno dopo in Gran Bretagna Churchill lanciò il proclama “collar the lot!!”, arrestate tutti gli Italiani. Da quel momento, infatti, i nostri connazionali, non importa se residenti ormai da anni in Inghilterra o se avevano prestato servizio militare per gli inglesi, furono considerati nemici della patria. Dopo un rapido e improvviso rastrellamento alla fine gli arrestati furono 4.500, destinati ai campi di prigionia dell’isola di Man, Paignton, in Australia e in Canada. L’operazione fu portata a termine dalla polizia e dai militari, nel mezzo della notte o alle prime luci dell’alba,
Gli arrestati, per lo più maschi tra i 17 e 70 anni, erano del tutto ignari di cosa stesse loro capitando; le loro famiglie si trovarono improvvisamente in condizioni disperate, alla mercé, oltre tutto, di atti di vandalismo nei loro confronti da parte della popolazione locale, stimolata da una campagna d’odio da parte dei mass media inglesi contro i “local Italians“.

«Acciuffateli tutti»Aveva 16 anni il più giovane tra i nostri caduti, Luigi Gonzaga di Bedonia nel Parmense, 68 i due più anziani, Silvestro D’Ambrosio, emigrato da Picinisco, Frosinone, ad Hamilton nel lontano 1898, e Domenico Marchesi, che da Codogno arrivò a Londra. D’Ambrosio, affogato assieme al fratello 7 anni più giovane, Francesco, che viveva a Swansea, faceva il ristoratore e aveva due figli sotto le armi nelle forze britanniche. Ma il 10 giugno 1940, quando l’Italia entrò in guerra, vennero a bussare anche alla sua porta. Italiani? La ‘quinta colonna’ del regime, tutti fascisti, spie, nemici. Poco importava se tra i deportati vi fossero anche ebrei fuggiti dall’Italia nel ’38, alla promulgazione delle leggi razziali. Figure di spicco come Umberto Limentani, docente a Cambridge e collaboratore della BBC, sopravvissuto al naufragio, o dichiaratamente antifascisti, come il sarto forlivese Decio Anzani, segretario della Lega Italiana per i Diritti dell’uomo e apprezzato negli ambienti laburisti, che invece non ce l’ha fatta.

Lorenzo SaniMa tutto questo non discese esclusivamente dall’entrata in guerra dell’Italia contro la Gran Bretagna; già da tempo si era scatenata nell’isola, una propaganda certamente razzista contro gli Italiani. Alcuni mesi prima sul The Daily Mirror il giornalista John Boswell scrisse per l’edizione del 27 Aprile 1940 un articolo carico di odio e disprezzo per i nostri connazionali che ci ricorda sinistramente quanto si va scrivendo oggi da noi contro gli extracomunitari.

The Daily Mirror – April 27, 1940 – “Ci sono più di venti mila Italiani in Gran Bretagna. Londra da sola ne conta più di undicimila. L’italiano a Londra rappresenta una parte “indigeribile” della popolazione. In genere si stabilisce qui in forma precaria, giusto per il tempo di accumulare abbastanza denaro per comprarsi un piccolo appezzamento di terra in Calabria, in Campania o in Toscana. Quando anche potrebbe, spesso e volentieri evita di impiegare forza lavoro britannica. Gli è evidentemente molto più comodo (e più conveniente da un punto di vista economico) far venire in Inghilterra un paio di parenti dal suo paesello natale. E dunque le navi scaricano tutti i generi di Francesca e Maria dagli occhi marroni e di Gino, Tito e Mario dalle sopracciglia a mo’ di scarafaggi. Ora, ogni colonia italiana in Gran Bretagna e in America rappresenta un calderone bollente che fomenta attività politica. Fascismo nero. Caldo come l’inferno. Anche il pacifico, quanto osservatore della legge, proprietario del caffè in fondo alla strada ha un sussulto di frenesia patriottica al solo sentire pronunciare il nome di Mussolini […] Ci ritroviamo dunque circondati da una miriade di piccole, potenziali minacce. Una tempesta si sta abbattendo sul Mediterraneo. E noi, con la nostra ronzante, stupida tolleranza stiamo consentendole di acquistare ancora più forza”.
Le condizioni degli Italiani arrestati erano in Regime di Restrizione, così come previsto dalla Regulation 18b, che consisteva in un trattamento più duro e meno rispettoso della dignità umana di quello riservato ai prigionieri militari che godevano delle garanzie previste dalla Convenzione di Ginevra e dall’accordo di Hague.A testimonianza del disumano trattamento riservato ai nostri c’è un verbale della Croce Rossa riportato da Francois Lafitte nel libro “The Interment of Aliens“, Penguin, 1940.

Tra i deportati anche il regista originario di Sora Zampi, allievo di Petrolini
Tra questi c’era anche il futuro regista e produttore Mario Zampi, nato a Sora, provincia di Frosinone, nel 1903, emigrato a Londra nel ’22 senza mai rinunciare alla cittadinanza italiana.
Iniziò la carriera artistica giovanissimo, nella compagnia di Petrolini, ma per un pauroso incidente a teatro (cadde dal loggione in platea, tranciandosi un pezzo di lingua) smise di recitare e passò dietro alla macchina da presa. Il direttore di “Risate in paradiso”, paladino della commedia brillante, si affermò nel Regno Unito sotto l’ala protettiva di Monty Banks, uno tra gli attori più in voga in Gran Bretagna e Stati Uniti, al secolo Mario Bianchi, originario di Cesena emigrato negli Usa. Zampi svolse di fatto tutta la sua carriera nel Regno Unito, fatta eccezione per un film girato in Italia nel ’53, “Ho scelto l’amore”, con Renato Rascel e Tina Lattanzi. Venne arrestato a Londra sul set di ” Radio libertà”, un cortometraggio propagandistico anti-nazista, a dimostrazione di quanto le liste dei deportati fossero quantomeno approssimative. Nel luglio del ’40 il regista aveva 36 anni e scampò miracolosamente alla morte restando aggrappato ad una tavola per sette ore.
Mario Zampi fu tra i primi a lavorare con Peter Sellers, che volle per “La nuda verità” del 1958, ma fra le tante stelle che recitarono per lui figurano anche divi del calibro di David Niven, protagonista di “L’eredità di un uomo tranquillo” del 1954. Il regista laziale morì ancora giovane a Londra, il 2 dicembre 1963, in una clinica italiana
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di Lorenzo Sani

«Gli Italiani venivano accomodati in una fabbrica di cotone abbandonata a Bury, nel Lancashire, conosciuta come Warth Mills. L’entrata era pieni di scorie della lavorazione del cotone, e il pavimento scivoloso per gli oli e il grasso che l’impregnava. La sola luce veniva da un soffitto di vetro, e molte delle finestre erano rotte o mancanti, lasciando dunque entrare la pioggia che veniva raccolta in ampie taniche. I lavandini erano sporchi, con solo otto rubinetti d’acqua fredda per 500 uomini. Alcuni dottori Italiani tra gli internati si posero alla testa di un gruppo di protestatari che giunse fino al comandante del campo, il maggiore Braybrooke; in conseguenza della piccola manifestazione, fu data della calce nel tentativo di migliorare la situazione igienica. C’erano pochi materassi, e gran parte degli internati era costretta a dormire su ruvide tavole di legno coperte da due o tre lenzuoli, molti dei quali divorati dai vermi. Il cibo era scarso: la cena consisteva di un pezzo di pane raffermo, un pezzo di formaggio e una tazza di te. La notte si udivano i ratti squittire tra i macchinari arrugginiti dell’impianto. Due recinti di filo spinato circondavano l’intero edificio, con le sentinelle armate che vi camminavano in mezzo nel fare la guardia».
Il verbale venne confermato da Mons. R. A. Haccius, il delegato inglese della commissione internazionale della Croce Rossa, in seguito ad una ispezione al campo effettuata il 12 Luglio 1940.Altri Italiani erano internati nei campi dell’esercito di Huyton e a Onchan, sulla isola di Man. Insieme ad essi anche dei Tedeschi.Dopo qualche tempo i prigionieri furono caricati sulle navi Monarch BermudaQueen MaryDuchess of YorkDunera e Arandora Star. Il 1 luglio 1940 l’Arandora Star, 15.500 tonnellate, con 712 italiani a bordo, insieme a 478 austriaci e tedeschi, più 200 uomini di scorta e 174 membri dell’equipaggio – in tutto 1.564 –, partì da Liverpool, destinazione Canada. Era senza scorta e, avendo prigionieri civili a bordo, avrebbe dovuto avere le insegne della Croce Rossa, ma anche di quelle era priva; tuttavia era dotata di due cannoncini, pur essendo nave da crociera.
La mattina seguente, alle ore 7.00, fu colpita in pieno dal siluro di un sommergibile tedesco, l’U-Boot 47 del capitano Gunther Piren, che l’aveva individuata poco prima e la stava seguendo pensando si trattasse di nave militare, ingannato, in ciò, dalla presenza dei due cannoni a bordo dell’Arandora; il sottomarino tornava una missione per rientrare nella base di Kiev e aveva a disposizione un solo siluro … proprio quello! In soli 40 minuti la nave colò a picco. Dei 712 italiani a bordo, solo 226 furono salvati, secondo i dati ufficiali inglesi, ma alcuni sopravvissuti ritennero che furono molto di meno. Oltre i 446 italiani morirono anche 175 tedeschi e austriaci, sui 478 imbarcati, 37 militari inglesi, dei 200 di scorta, 42 membri dell’equipaggio. Tralasciamo le orrende fasi del naufragio, dove anche nel momento supremo della disperata ricerca di salvezza l’egoismo britannico trionfò sulla solidarietà: è stato ben narrato da tutti coloro che hanno scritto sull’argomento. Ma ciò che fa sgomento è anche l’atteggiamento dell’Italia Fascista davanti alla tragedia, che fu di gran lunga superiore a quella delle miniere belghe di Marcinelle, che veniva considerata la più grande sciagura dell’emigrazione italiana con le sue 202 vittime.
Il quotidiano La Nazione del 18 gennaio 2003 ci ricorda: Due giorni dopo il siluramento dell’Arandora Star i giornali italiani rilanciarono con l’enfasi dell’irresistibile vittoria, la notizia del comando germanico attraverso il bollettino quotidiano del nostro Comando supremo: «Un sottomarino tedesco ha silurato ad occidente del canale il vapore inglese armato Arandora Star di 15.500 tonnellate».

Nessun accenno a vittime, ai 446 nostri emigranti inghiottiti dal mare in poche decine di minuti sui 712 imbarcati da Liverpool il 1° luglio per i campi di prigionia del Canada. Sul Times, che ha invece dato notizia dei morti senza fornire cifre, le cause della catastrofe vennero addirittura ascritte alla foga disordinata con cui i deportati avrebbero cercato di mettersi in salvo. «Quando i tedeschi si sono lanciati verso le scialuppe scontrandosi con gli italiani per arrivare primi – si legge nell’edizione del 5 luglio –, nella furia della lotta molti di questi uomini sono stati catapultati in mare. Per separarli, i soldati e i marinai inglesi hanno dovuto sottrarre tempo prezioso alle operazioni di salvataggio».
Degli scampati, a parte una sessantina di feriti gravi rimasti in Inghilterra, in oltre duecento furono soccorsi da un incrociatore canadese dopo che erano rimasti sette ore in acqua; mercoledì 10 luglio vennero vennero trasbordati sulla Dunera, destinazione Melbourne. Questa, con una capacità massima di 1.500 persone, aveva a bordo 3.000 internati. Anche la Dunera fu silurata la mattina del 12 da un sottomarino, l’UB-56, ma senza eccessivi danni. Dopo quasi due mesi di navigazione, il 2 settembre, giunse in Australia.
Merlin Scott, figlio di Sir David Scott, sottosegretario al ministero degli esteri britannico, scrisse in una lettera: « Ho pensato che i sopravvissuti italiani erano trattati in maniera vergognosa, e ora sono stati tutti rispediti di nuovo in mare, l’unica cosa che avrebbe potuto davvero farli tremare, visto che hanno perso padri e fratelli … Credo siano stati sbarcati molti uomini di valore. Tra questi, avevamo un certo Martinez, capo delle industrie Pirelli Cavi e Pneumatici, e che conosceva molte più cose degli altri sugli armamenti. Quando scesero dalla nave, andarono naturalmente alla ricerca dei loro bagagli. Gli abiti e i loro pochi averi gli furono tolti e gettati a formare pile di roba sotto la pioggia. Inutile dire che molta gente, tra cui alcuni poliziotti, cominciarono ad “aiutarli” a togliere loro quanto era rimasto di intatto o utilizzabile. Erano spinti lungo la banchina sotto la minaccia delle baionette, con la gente che li insultava. Fu davvero uno spettacolo meschino. Anche i telegrammi con i quali i familiari esprimevano la propria gioia per saperli sani e salvi non vennero loro recapitati» (L. Gillman, op. cit., pag. 215).Alla pag. 254 dello stesso libro leggiamo: “… Mr. David Scott al Ministero degli Esteri di Sua Maestà:
” Desidero ora esplicitare la mia personale impressione su: a) i tedeschi nazisti, b) gli italiani …a) Avendo avvisato questo gruppo, fin da prima di salpare, dei miei metodi che avrebbero procurato loro degli inevitabili disagi aggravati dalla eventuale loro non-collaborazione, il loro comportamento risultò esemplare. I tedeschi nazisti si sono subito dimostrati geneticamente migliori, una razza onesta e sincera. Non esiterei tuttavia a definirli altamente pericolosi.b) Gli italiani. Queste persone sono sporche per abitudine, senza uno straccio di disciplina, e sono dei codardi oltre ogni limite”.Cosa commentare a tutto questo? Razzismo allo stato puro! Vale la pena ricordare che se la presero con innocenti civili che avevano abbandonato luoghi di miseria ed emarginazione – la crisi economica in Italia in quegli anni dell’immediato anteguerra era spaventosa – ed erano emigrati nella più fortunata e civile (così essi speravano) isola britannica in cerca di lavoro e di un avvenire più decoroso.

Molti di essi si sentivano ormai inglesi. Se il pensiero poi va ai tragici fatti del 15 febbraio 1944, quando quello stesso Churchill e suoi connazionali, in nome di una guerra di libertà, decisero la distruzione della nostra sacra ed inerme abbazia di Montecassino, allora sì, mi sentirei di concludere con le parole del più volte citato Gillman: «La ferocia dimostrata a queste vittime da una cosiddetta potenza democratica e civile mondiale, combattendo una guerra di libertà e di giustizia contro il mostro del fascismo, diventa solo una ipocrita e depravata vendetta della più bassa specie. Nessun civile italiano ha mai ricevuto alcun compenso, per la perdita dei propri affari, della propria libertà, o come spesso accadde, per la perdita della vita».BIBLIOGRAFIA:


– P.+ L. Gillman, Collar The Lot’, Quartet Books, London ,Melbourne New York, London 1980.
– Maria Serena Balestracci, Arandora Star, una tragedia dimenticata, Corriere Apuano, Pontremoli.
– Francois Lafitte, The Interment of Aliens, Penguin, 1940.
– Alfio Bernabei, Esuli ed emigrati italiani nel Regno Unito. 1920-1940, Mursia, 1997.

CURIOSITA’ A MARGINEA

bordo anche Fuchs:
rivelò i segreti della bomba H

Era tra i passeggeri della ‘prigione galleggiante’, sfuggì in extremis alla morte su una scialuppa: irriducibile marxista, passò ai russi le carte dei piani nucleari
Morirono centinaia di civili innocenti, ma si salvò la spia che svelò ai russi i segreti dell’atomica americana. Attorno alla tragica vicenda dell’Arandora Star, sembra che il destino si sia divertito a ricamare le trame più incredibili. Tra gli scampati di quella strage di innocenti del luglio ’40 ci fu anche Klaus Fuchs, il controverso scienziato tedesco divenuto, in seguito, la prima grande spia dell’era atomica. Era sul ponte quando la nave venne silurata dall’U-Boot 47 del capitano Gunther Piren e riuscì a calarsi in mare, su una scialuppa, insieme con alcune decine di prigionieri di guerra tedeschi. Lui, invece, era stato deportato da civile.
Dieci anni più tardi, il 27 gennaio 1950, il nome e l’immagine da asceta del fisico tedesco fece il giro del mondo: Fuchs, infatti, confessò al comandante dei servizi segreti britannici Leonard Burt, che lo arrestò a Washington, di aver “passato” all’Unione Sovietica i segreti della Bomba H. Il suo contatto era l’agente “Raymond”, al secolo Harry Gold, figlio di un ebreo russo emigrato negli States e condannato poi a 30 anni di carcere. Fuchs se la cavò con 14 e ne scontò soltanto nove, senza peraltro pentirsi mai delle proprie azioni.
Liberato nel 1959, si trasferì in Germania Est, dove fu nominato vice direttore dell’Istituto centrale di fisica nucleare di Rossendorf, vicino a Dresda. Alle pareti disadorne del suo studio campeggiava solo un ritratto di Lenin. Morì a Berlino il 28 gennaio 1988.
Klaus Fuchs, che lavorò al programma atomico britannico (“Tube Alloys”), venne chiamato a far parte del selezionatissimo pool di scienziati del “Progetto Manhattan”, al fianco di Enrico Fermi ed Emilio Segré, dedicandosi alla progettazione dell’arma letale che cambiò la storia dell’umanità: la bomba atomica. Nessuno sapeva della sua fede marxista.
Arrivò al laboratorio segreto di Los Alamos, deserto del New Mexico, pochi mesi dopo aver ricevuto la cittadinanza britannica. Si mise al servizio del fisico Robert Oppenheimer, coordinatore del programma e del direttore militare, il generale Leslie Groves, solo tre anni dopo essere miracolosamente scampato alla tragedia dell’Arandora Star e aver fatto 13 mesi di prigionia in Quebec, Canada.
Nato in un sobborgo di Francoforte il 29 dicembre 1911, figlio di un pastore protestante che insegnava teologia all’Università di Lipsia, all’epoca del naufragio aveva 29 anni. La sua storia incredibile ed emblematica, inizia con la rocambolesca fuga dalla Germania: Klaus Fuchs era iscritto al partito comunista tedesco e nel ’33, per sottrarsi alle persecuzioni naziste, scappò prima in Francia e poi in Gran Bretagna.
Si laureò in fisica a Bristol nel ’37, poi si trasferì in Scozia, ad Edimburgo, per il dottorato di ricerca. Non si poteva certo sospettare che il professore, esule dalla Germania per motivi esclusivamente politici, potesse avere una benchè minima simpatia o collegamento col regime di Hitler, eppure la sua sorte venne accomunata a quella di tanti emigrati o esuli nel Regno Unito, arrestati indiscriminatamente e deportati nei campi di prigionia come accadde a circa 4500 italiani residenti in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda.

Emilio Pistilli

https://www.cdsconlus.it/index.php/2016/10/21/4262/?fbclid=IwAR3m4taDje2YK35ucd-1euCigEGF3toGlXUqKJxLu7Do49ckvfQ9obtsurc

di seguito il programma con beppe conti e benedetto vecchio

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