L’arresto di monsignor Celestino Cocle a Castellammare
La comparsa sul mercato antiquario napoletano di un rarissimo foglio volante a firma A.T., datato 7 marzo 1848 e intitolato Arresto di Monsignor Cocle[1] (presente nella biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria[2] ma non nelle pur ricche raccolte della Biblioteca Nazionale di Napoli e della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma), ha offerto l’occasione di apprendere alcuni particolari di un eclatante episodio di quell’agitatissimo anno non privi di interesse e di originalità, riguardanti anche la città di Castellammare di Stabia e rimasti sconosciuti alla storiografia locale.
Poiché le notizie in esso riportate non appaiono in contrasto con quelle piú generali che già si ricavavano da alcune fonti storiografiche e, per quanto attiene ai particolari non noti, trovano alcuni chiari riscontri in altri documenti di archivio, riteniamo che si possa prestare buon credito all’episodio cosí come descritto, se si tien conto della sua connotazione di ‘notizia’ giornalistica, ‘orientata’, ma senza alterazioni, e divulgata, attraverso il ‘foglio volante’, fra un pubblico straordinariamente desideroso di conoscere i momenti e gli esiti di una vicenda che aveva toccato e acceso totalmente gli animi.
È opportuno premettere qualche nota sul singolare personaggio e sul clima ostile che gli si creò intorno in un momento tanto arduo per tutti quanto infausto per lui, che passò in un lampo dal potere all’esilio; nonché sulla funzione della stampa e dei fogli volanti, specie nei primi confusi e chiassosi mesi di quell’abbagliante, illusorio, amaro 1848 napoletano.
Monsignor Celestino Cocle, nato nel 1783 a San Giovanni Rotondo (Foggia), superiore generale dei Redentoristi (detti anche Liguorini dal nome del fondatore S. Alfonso de’ Liguori) dal 1824 al 1831, arcivescovo titolare di Patrasso dal 1831, era noto soprattutto come confessore del re Ferdinando II, di cui era stato istitutore, e per il fortissimo potere e i grossi vantaggi anche materiali che si diceva avesse saputo trarre da tale condizione.
Se si fa eccezione del difforme giudizio del filoborbonico De Sivo, che lo definí «perseguitato»[3], le testimonianze sulla figura del prelato sono generalmente molto negative. Esse insistono soprattutto, con toni e colori diversi, sulla corruzione o sulla influenza nefasta sul re o su entrambe, con una curiosa parentesi: il cattolico Jacques Crétineau-Joly, al quale era stata affidata da Gregorio XVI e poi da Pio IX la stesura di una storia delle società segrete per svelarne al mondo le macchinazioni, trovandosi a Napoli per tale incarico, lo descrisse in grado, sí, di influenzare totalmente il re, ma da «carbonaro» addirittura[4].
Per Niccola Nisco il Cocle «si studiò a far rivivere nella corte napoletana la misteriosa potenza dei confessori dell’antica corte di Spagna, essendo uomo capacissimo a mescolare i piú brutti consigli con le piú sante cose»[5]. Toni molto piú violenti furono usati, all’indomani del fallimento della rivoluzione, da uno sferzante Ferdinando Petruccelli della Gattina: «Ladro, abietto, vigliacco, compendiava in se quanto vi ha di piú brutto in una creatura umana decaduta: era frate e servitore ad un tempo. La sua passione era l’orgia la piú triviale; era l’oro; era vendere in dettaglio il suo penitente»[6].
Ma già un anno prima degli avvenimenti del ’48, Luigi Settembrini nella Lettera a Pio IX lo aveva definito «infernale consigliere di iniquità»[7] e nella clandestina Protesta del Popolo delle Due Sicilie (che aveva fatto conoscere anche all’estero le scandalose figure di alcuni ministri e dello stesso monsignor Cocle) aveva riportato particolari su suoi collaboratori e complici, affari e raggiri, appartamenti e lussi, asserendo tra l’altro: «Questo monaco furbo tiene ambe le chiavi del cuor di Ferdinando, e le volge a suo talento; gli fa credere che è inspirato da S. Alfonso, che ei lo vede in sogno, che ei dice quello che il Santo gli detta; la buona pasta del Re l’ascolta e l’ubbidisce in ogni cosa. […] Monsignore mantiene i Ministri, dà gl’impieghi, fa negozii, bada a’ preti, a’ frati, a tutti; Monsignore è re, e suoi ministri sono il fabbricatore Passaro, ed il carrozziere De Martino. Questi trattano gli affari, danno udienza in casa loro, e vendono la loro protezione a magistrati, militari, donne, nobili, preti, frati, e a tutti coloro che han molti denari»[8].
Quanto alla stampa clandestina, che, come nel caso della Protesta del Settembrini, si era fatta molto sentire, Luca De Samuele Cagnazzi annotava cosí la situazione nel 1847: «Nel mese di giugno e quindi in luglio cominciarono a circolare delle proteste ossia satire contro del Governo, malignandosi Monsignor Cocle, confessore del Re, ed i due Ministri Santangelo e del Carretto»[9]. E il 7 luglio 1847 lord Napier, della legazione inglese a Napoli, in un dispaccio scriveva: «Durante l’assenza di Sua Maestà e il conseguente ristagno nei pubblici affari, la stampa clandestina ha piú che mai lavorato a disseminare satire e attacchi contro la pretesa incapacità e corruzione tanto dei ministri quanto del confessore del Re alla cui segreta e potente ispirazione si attribuiscono generalmente gli errori di Sua Maestà»[10].
Tale personaggio, inviso ai liberali e al popolo, malvisto anche da una parte del clero, finí per preoccupare la classe dirigente, i diplomatici stranieri, persino i ministri del re. Il Settembrini, nelle Ricordanze, affermava: «C’era un’altra specie di cospirazione senza impazienze violente, una cospirazione lenta, continua, palese, nella quale prendevano parte tutte le persone colte, tutti gli uomini di buon senno, e parecchi ancora di quelli che stavano intorno al principe, e gli erano grati per benefizi ricevuti, ma non potevano approvare tutti gli atti del suo governo, e le prepotenze della polizia, e l’onnipotenza del confessore monsignor Cocle. […] e taluni anche fedelissimi non risparmiavano neppure il re. Il marchese di Pietracatella, presidente dei ministri, diceva in sua casa agli amici: ‘Io gliel’ho detto molte volte [al re]. Mettete in carrozza monsignore, e mandatelo ai confini: licenziate il Gendarme, a cui avete dato troppo potere’»[11]. Cosí pure Maurizio Dupont, il francese di idee liberali tenuto in molta considerazione dal re, suggerí di liberarsi di Cocle e Del Carretto[12]; ed anche altri, anche indirettamente, dettero tali consigli.
Insomma, vi fu un fortissimo malcontento generale, un coacervo di passioni e di pressioni, che poi condussero anche a dimostrazioni popolari e a petizioni per ottenere la costituzione, e costrinsero il re a prendere con urgenza provvedimenti che permettessero di ingraziarsi i liberali e frenare il popolo. Si giunse in tal modo agli avvenimenti di fine gennaio.
Il 26 gennaio il Ministero di Polizia fu soppresso e accorpato a quello dell’Interno e il Del Carretto fu esonerato ed espulso di notte con un affrettato quanto disinvolto decreto reale: «Considerando che il Marchese Signor Francesco Saverio Del Carretto è stato la causa effettiva dell’oppressione e desolazione dei nostri amatissimi sudditi del Regno delle Due Sicilie; considerando che ragionevolmente lo stesso ha attirato contro di se lo sdegno e l’indignazione dell’universale; considerando che proseguendo a stare in carica potrebbe essere una cosa pericolosissima e compromissiva per la pubblica e privata tranquillità; per tali motivi ordiniamo che il medesimo resti deposto dall’una e dall’altra carica, e resti esiliato a Livorno». Fu accompagnato a bordo del Nettuno diretto prima a Livorno e poi in Francia, senza che potesse salutare neppure i familiari. «Preceduto dalla mala fama ovunque si accostava col piroscafo gli negavano l’acqua ed il fuoco: a Marsiglia volevano ucciderlo. Sembrava un nuovo Caino in odio a se stesso ed al genere umano»[13]. Il 27 gennaio lord Napier scriveva: «Il gesto, per quanto popolare, costituisce un’odiosa violazione delle leggi, poiché il ministro caduto è stato condannato al bando senza un legittimo giudizio e in forza di un ingiustificato, spietato abuso di potere»[14].
Toccò anche al confessore del re di essere licenziato, nonostante cercasse di porre ripari: «All’indomani un altro uomo si presentava alla corte, ma neppur esso veniva ricevuto […]. Una lettera di lui a Delcarretto era stata presentata al re»[15]. Sulla sua successiva espulsione, Raffaele de Cesare osserverà: «Ferdinando II non amò nessuno, com’è regola di ogni principe regnante. Non si oppose all’esilio di monsignor Cocle, creduto l’arbitro del suo cuore»[16].
L’allontanamento dei due potentissimi personaggi accrebbe súbito le speranze e le attese. Il 27 gennaio con una grande manifestazione popolare si mostrò gratitudine al re e si incitò a concedere la costituzione. Il 28, «giorno di ansietà indicibile per tutti i partiti e per l’intera città»[17], fu nominato un nuovo governo. Il 29 con un atto sovrano la costituzione fu concessa.
Da qualche tempo Monsignore aveva fiutato la nuova aria e si era premunito prendendo posizione contro Del Carretto. A detta dell’arcidiacono Cagnazzi, che in passato lo aveva conosciuto e che pare in qualche modo volesse distinguerlo dalle odiate figure dei ministri in disgrazia, «Cocle si era anche disgustato col Ministro di Pulizia»[18].
Ancora secondo il Cagnazzi, egli «si allontanò dalla Corte ma non da Napoli»[19]. Lo stesso Cocle, pur esagerando fino all’inverosimile, al momento dell’arresto a Castellammare protesterà al prefetto di polizia «la sua innocenza proclamando che sin da’ primi giorni del passato dicembre erasi allontanato dalla Reggia consigliando che si desse una Costituzione al paese»[20].
Già prima del 26 gennaio non si era piú visto in giro e aveva fatto perdere le sue tracce. Lord Napier infatti il 27 gennaio, informando Londra sul caso Del Carretto del giorno prima, aggiungeva: «Da alcuni giorni il confessore del Re, Monsignor Cocle, è assente dal consueto teatro delle sue attività. Certi dicono che si sia ritirato a Benevento, altri che si trovi in un convento del suo ordine, a Nocera. La prima supposizione è la piú attendibile»[21].
Mentre altri lasciavano il regno, egli girò in zona, probabilmente prima in Napoli e poi nei dintorni, ospitato in conventi, non solo dei suoi Liguorini, o forse anche in case di amici: «La paura e la coscienza del passato li cacciava tutti dalla terra redenta della Libertà. Il solo Monsignor Cocle ramingava tuttavia nascondendosi qua e là tra le cocolle de’ frati: senza pertanto intermettere mai le sue pratiche in Napoli col famoso prete D. Placido Baker e i nostri nemici. Il governo però sapeva tutto e invigilava i suoi passi»[22].
Intanto, nel nuovo clima di fermento, entusiasmo e speranze, la stampa era in pieno fervore e uscí all’aperto con molti giornali e riviste e moltissimi fogli volanti, di frequente satirici. «L’elemento di novità piú evidente fu la nascita di una stampa politica. […] I giornali tennero il posto dei partiti, che non si erano formati per il divieto di discutere i problemi del paese imposto dall’assolutismo. L’improvvisa libertà permise l’espressione delle piú divergenti opinioni, con un’asprezza polemica che colpí i contemporanei»[23].
Dalla fine di gennaio alla metà di maggio uscirono a Napoli circa 130 testate (spesso con una vita veramente effimera perché legata strettamente alla situazione e all’occasione), sulle cui pagine non ci si dimenticò dei personaggi ritenuti i principali colpevoli del malgoverno borbonico. Non furono certo trascurati Del Carretto e il confessore del re, monsignor Cocle.
Di fogli volanti ne apparvero a centinaia, con scritti in prosa e in versi, in lingua e in dialetto. Assunsero le forme piú svariate, dalla comunicazione alla notizia, dalla lettera al discorso, dall’esortazione all’invettiva, dalla supplica alla protesta, dalla spiegazione al dialogo o trascurzo, dall’inno alla canzonetta. Essi rispecchiarono l’entusiasmo, le speranze, i sentimenti popolari (ma non solo popolari), nonché i risentimenti, soprattutto nei confronti dei personaggi piú odiati. Su Del Carretto (o Della Carretta o Il Carrettiere) e sul Cocle (o Don Celestino o Monsignore o Il Monaco) non si risparmiarono le notizie e le curiosità piú o meno attendibili, le satire e le irrisioni piú o meno feroci, o piú o meno divertenti, o piú o meno sciocche, dettate spesso dall’immaginazione o dalla diffidenza: segno che a volte, in quei momenti difficili, o non si riusciva a cogliere in profondità e con razionalità gli avvenimenti e le necessità, oppure non si voleva rinunciare a quella vena umoristica, tipicamente partenopea, che consentiva di alleviare con allegre canzonature le reali sofferenze. Giova tuttavia ricordare che costituirono anche un fondamentale e potente mezzo di diffusione di idee forti, di notizie importanti, di propaganda. Forse è vero, come dice il Paladino, che gli scritti contenuti negli innumerevoli fogli sul Cocle e su Del Carretto «dimostrano la scarsa educazione politica dei Napoletani nel ’48»[24]. Ed è vero che le argomentazioni erano spesso ingenue e legate a futili avvenimenti, erano talvolta tendenziose, talvolta infamanti. Ma il discorso non vale per tutti i fogli (in qualche misura lo dimostrerebbe proprio l’Arresto di Monsignor Cocle). E poi, in fondo, se pure in forme stravaganti o grossolane, i temi di base erano la giustizia, l’onestà, il buongoverno, temi corrispondenti ad esigenze d
del paese reale, sui quali sempre si fonda la propaganda a tutti i livelli.
Si vendevano in genere a un grano, quanto i giornali, e, a quanto pare, dovevano pur rendere se uscirono cosí numerosi, anche a puntate, rimandando al foglio successivo la continuazione della notizia. Si fecero anche delle stime sull’insolito commercio, se possiamo dar credito al Mondo vecchio e mondo nuovo del 2 marzo: «Finora non abbiamo avuta altra statistica nel nostro paese che quella de’ dazi, e de’ balzelli. Ora comincia a dilatarsi la materia. Gli scritti per Campobasso e Morbilli ànno reso e posto in circolazione duc. 60000; per Carretto e Celestino duc. 90000; per gli Angeli infernali duc. 50000».
Oggi quelli rimasti sono pezzi rarissimi e spesso unici, pertanto di considerevole valore documentario, conservati in pochi archivi e in poche biblioteche pubbliche o private. Essi rappresentano una testimonianza ricchissima, anche se furono usati per comunicare minuzie, scherzi, indiscrezioni, minacce; una testimonianza, in tal caso, in verità spesso sottovalutata, considerata pura curiosità, disprezzata come vil cosa, ma pur sempre un segno di sentimenti, umori e passioni popolari, di cui certamente si teneva conto al punto di cercare di orientarli proprio con tale mezzo. Tant’è che in quell’anno a Napoli i fogli da una parte furono oggetto di disposizioni restrittive e dall’altra furono usati dalle stesse autorità, civili e religiose, che intendevano cosí ricorrere anch’esse ad un sicuro strumento che incidesse sull’opinione pubblica.
Tra i tanti fogli, che, registrando con smania i nuovi momenti e i nuovi sentimenti, si accanivano contro lo ‘scomparso’ monsignor Cocle, uno proponeva un Dialogo tra lo Scrivano di D. Francesco Saverio ed il Cuoco di fra Celestino: «Scriv. Oh Monsu’ Ciccio da quanto tempo che non ti ho veduto: cosa ti è successo? In questi giorni di universale allegria te ne scappi e non ti fai trovare. / Cuoco. E caro D. Ciccio è allegria per tutti, ma per me nò? / Scriv. E perché. / Cuoco. E come non sai che D. Celestino il mio Padrone non si trova piú? / Scriv. Volevi dire che si è nascosto. / Cuoco. D. Ciccio mio poche sere fa si travestí da Servitore. / Scriv. E mo dove è andato? / Cuoco. Questo non è che si sà»[25]. Un altro, Il pianto della Passarella che ha perduto il frisolone (Dialogo tra Pietro Paolo C. e sua moglie), alimentava la credenza che fosse ancora a Napoli: «P. […] Ora ti farò confessare da Monsig. Cocle ch’è stato confessore mio, e della Congregazione, e questi sicuramente ti assolverà. / M. Ma se Cocle ch’è scomparso. / P. Io conosco il suo nido, e te ci farò condurre tosto che questa gran calca di popolo furente, sarà scomparsa»[26].
Il De Sivo ricordò con sofferenza: «La stampa inveiva contro persone e cose sacre, propagava nelle provincie i pensieri e i voleri della Giovine Italia; strombazzava vergogne, avversava qualsivoglia atto governativo a disegno; e questo diceva esser lotta generosa di libertà contro tirannia. Gli uomini del passato governo non avean requie, designati a ludibrio, diffamati con calunnie, fischiati per le vie, dovean calarsi a spatriare»[27]. Il Settembrini invece, nelle Ricordanze, rievocava le sue emozioni e riflessioni: «Ogni volta che io udivo i monelli gridare per le vie, vendendo alcune carte stampate: ‘L’esilio di Del Carretto, la fuga di monsignor Cocle, la fuga di Campobasso e Morbillo, storie belle a leggere, un grano l’una!’ io mi sentivo scuotere, e pensavo: ‘Questi uomini quindici giorni fa facevano tremare Napoli, ed oggi sono vituperati’»[28].
Solo in un secondo tempo sarà assunto un atteggiamento piú serio: «La stampa sino allora non si era occupata che d’inezie, mettendo in giro una quantità di foglietti e libelli contro alcuni de’ già caduti ministri e di Cocle, talmenteché, soddisfatto quel primo empito reazionario, tali laide carte fra le oneste persone vennero a noia, e la stampa incominciò a prendere, dopo un mese, una direzione piú giusta e legale, ed a batter di fronte il governo lamentando il ritardo e il mistero che metteva nelle sue operazioni»[29
Fatte tali premesse per inquadrare la vicenda che qui interessa, ritorniamo al nostro foglio volante Arresto di Monsignor Cocle, che indica il convento dei Liguorini di Somma come primo rifugio del prelato in fuga da Napoli.
Il foglio, di mm. 399×266, fu impresso con caratteri ben leggibili su due colonne, con larghi margini, nella «stamperia di Fr. Azzolino, vico Gerolomini n.o 10», nota tipografia napoletana.
Francesco Azzolino, che aveva stampato importanti opere di diritto e di legislazione, fu anch’egli coinvolto nella frenetica attività tipografica del 1848[30], cercando di distinguersi per correttezza e responsabilità. Di lui va qui ricordata una Protesta ai bravi lettori dei fogli volanti, in calce al foglio La caduta de’ repubblicani in Milano, la quale appare molto significativa circa il suo comportamento professionale e, di conseguenza, l’attendibilità dell’Arresto di Monsignor Cocle: «Troppo a ragione lamentano i lettori Cittadini (nel bisogno attuale di avere notizie certe dello stato delle cose) al vedersi solennemente trastullati da alcuni Stampatori e Compilatori degeneri, che a scroccare il miserabile grano, poco o nulla premendogli il decoro della Professione e l’onore Nazionale, dan fuori cartoffole le piú insulse di notizie attrassate o ripetute, inette non solo, ma falsate d’ogni maniera […] credomi in dovere di avvertire i cortesi lettori, invero immeritevoli per ogni modo di essere canzonati, che a ciò ovviare, al presentarglisi dai venditori una di tali carte, tosto osservino infine la Tipografia cui appartenga: e protesto ad essi, che quelle che da me usciranno, oltre i buoni tipi a poterle comodamente leggere, siccome io le stimo facenti parte della Storia, cosí conterranno sempre fatti constatati dai meglio riputati Fogli, sieno forestieri, sieno nazionali, avendone fatto bastevole acquisto, non che da corrispondenze e lettere particolari di prudenti quanto caldi amatori della verità»[31].
La firma A.T., apposta dall’autore (forse di Napoli, certamente sostenitore della svolta progressista e maldisposto verso i protagonisti del passato malgoverno) non ha riscontri nelle carte consultate, se non nel foglio volante Andrea Romano da carceriere si trova carcerato[32], foglio senza il nome della tipografia e firmato appunto con questa sigla, che tuttavia non è facile far corrispondere alla stessa persona. A.T. comunque, forse anche sigla finta per impedire il riconoscimento del compilatore, o forse senza difficoltà riconoscibile per i lettori di allora, oggi non sembra identificabile; a meno che non sia quell’Antonio Tasso autore del componimento poetico Abbracciamoci siamo fratelli[33] «ceduto dal segnato Autore al solo tipografo Fr. Azzolino», scritto «in segno di attaccamento al Re ed alla Nazione» (lo stesso che, firmandosi A. Tasso, nel foglio Una parola in confidenza[34] esaltò la monarchia costituzionale ed elogiò la Guardia nazionale, invitando alla concordia; e, come Totonno Tasso, nel foglio in versi La cuccarda costituzionale[35] celebrò in vernacolo il 29 gennaio, data della concessione della costituzione).
Chiameremo questo foglio d’ora in avanti Arresto con firma A.T.
In esso si tratta con uno stile asciutto e immediato delle peripezie di monsignor Cocle dopo che andò via da Napoli, in particolare del suo soggiorno a Somma e soprattutto a Castellammare, fino al giorno 6 marzo, data dell’arresto.
In verità sul soggiorno a Somma l’Arresto con firma A.T. offre solo un accenno, se pure con l’importante particolare della decisa reazione popolare in quella cittadina: «Monsignor Cocle da Napoli rifuggiossi a Somma, nel Monastero de’ Liguorini; il popolo lo seppe, accorse armato, e gli tirò delle fucilate; ma disgraziatamente non fu colpito».
Piú circostanziato sulla permanenza del Cocle a Somma appare un altro foglio volante conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli e presso la Società Napoletana di Storia Patria, foglio intitolato Arresto di Monsignore a Castellammare[36] e datato anch’esso 7 marzo 1848, ma senza la firma dell’autore (molto probabilmente napoletano, se esordisce rivolgendosi alla «mia Partenope») e senza il nome della tipografia (anche se la carta e soprattutto i caratteri e la composizione, molto simili a quelli del foglio intitolato Estratto dall’Omnibus[37], impresso dal tipografo Agostino Grimaldi, potrebbero farlo ritenere uscito appunto da quella stamperia).
Tale foglio, che appare piuttosto appassionato, moralistico e declamatorio, sarà qui chiamato Arresto senza firma, per distinguerlo dall’Arresto con firma A.T., con cui sarà messo a confronto.
Anche in esso — dopo un’accorata esortazione a Partenope «a novella vita risorta» a non temere le persistenti insidie di «pochi malnati» che avrebbero certamente conosciuto o la fuga e l’esilio o il carcere — si parla del convento dei Liguorini di Somma come primo luogo fuori Napoli raggiunto dal Cocle, ma si aggiungono notizie e considerazioni sul nuovo attento e circospetto modo di vivere del monsignore: «Appena scopertosi l’iniquo traditore del re, e del regno Del Carretto ed appena questi senza dar neppur un vale alla sua famiglia erasi imbarcato per esser trasferito in estero terreno, che l’iniquo suo compagno l’indegno Prelato dopo aver disposto segretamente quanto occorreva per la sua partenza involò da Napoli portandosi in una altra casa Liguorina in un paesotto circonvicino Napoli detto Somma lasciando quella di Napoli perché mal condizionata vedea la sua vita. Ivi Monsignore lasciando l’ipocrisia incominciò realmente a provare in parte cosa significhi vita cenobitica. Egli per timore d’esser scoperto non usciva mai di stanza, se non ad ora tarda, e serotina, e sortiva molto circospetto avendo lasciato ancora gl’abiti vescovili; per la qual ragione alcuni dissero che Monsignore erasi recato a Benevento altri in Inghilterra altri cento stravaganze. Ma a Somma Monsignor celato non potea giammai rimanere, ed il rimanere non solo era pericoloso, ma impossibile! né potea isperare di esser nascoso lungo tempo tanto piú che a tutte l’ore potea venir chiunque o a vedere il monastero, od a visitare un monaco. Piú i suoi servitori ed i monaci stessi conoscevano il segreto e per quanto fossero incapaci di tradimento poteano però esser presi a sorpresa, ed una parola sola che avessero detto avrebbe al certo esposto Monsignore ad irreparabili conseguenze forse peggiori di quelle che gli erano accadute in Napoli di voler cioè ridurre in cenere Monsignore ed il monastero». L’Arresto senza firma continua accennando alla situazione di reale pericolo in cui si trovò il Cocle, non tuttavia per l’accorrere e le fucilate del popolo, ma perché alcuni individui poco rassicuranti erano alla sua ricerca: «Altronde l’intera Napoli domandava cercava, e fremea di non vederlo avvilito negletto maltrattato e … infatti dopo pochi giorni che Monsignore avea goduto segretamente l’aria di Somma, taluni si portarono costà sotto pretesto d’informarsi realmente della sua salute, ma altro era il fine, per vedere
cioè se dimorava Monsignore; ma i monaci fermi risposero di nulla conoscere di nulla sapere; mentre poi avvisarono Monsignore dell’accaduto che a solo sentire che s’andava in cerca della sua persona sen rifugiò qual Passerino[38] sul campanile. Misero! a che tanto danaro ti giova? Intanto questi avendo veduto che erano state ben inutili le loro ricerche se ne partirono minacciando».
Divenuto dunque pericoloso il rifugio, secondo entrambi gli estensori dei due fogli volanti, anche se non per il medesimo motivo, monsignor Cocle pensò bene di allontanarsi da Somma.
Va detto però che per Francesco Michitelli (giornalista liberale, che per la sua opera storiografica sul 1848 si serví di cronache di giornali e di ricordi personali, nonché di autorevoli informazioni e documentazioni, presumibilmente fornite a volte dalle stesse autorità di polizia, e che appare comunque tra i piú esatti, per cui è da tenere in opportuna considerazione), fu la stessa polizia a chiederglielo ed anzi ad aiutarlo nella ricerca di un nuovo rifugio, anche se inutilmente, perché rifiutato prima da due intendenti e poi persino dai monaci di un convento: «Fu consigliato, mentre dimorava in un convento del comune di Somma, dalla stessa polizia di allontanarsi ancora di piú dalla capitale, ritirandosi nella sua patria o in qualunque altro paese della sua provincia. Se ne scrisse all’intendente di Avellino ed a quello di Foggia. Risposero che per carità nol mandassero, non potendo essi garantire i giorni del Prelato dall’odio de’ cittadini né l’ordine pubblico colla sua presenza. / Monsignore promise andare a nascondersi in un piccolo cenobio di novizi situato sul confine tra la provincia d’Avellino e quella di Salerno. N’ebbe facoltà dalla polizia; ma a mezza corsa dovette retrocedere, imperciocché que’ monaci gli fecero sentire di non volerlo»[39].
Egli raggiunse quindi Castellammare, cittadina ridente e noto luogo di villeggiatura a lui familiare, come si vedrà, dove pensava di contare su protezioni e amicizie e vivere piú a suo agio.
Sulle peripezie stabiesi del Cocle diventa molto dettagliato e interessante il foglio Arresto con firma A.T. che seguiremo ordinatamente.
Innanzitutto vi si parla dell’arrivo per mare con un brigantino noleggiato (quindi non direttamente da Somma) e della prima difficoltà incontrata per essergli negato il passaporto dall’autorità del distretto: «Penzò mettersi in salvo, noleggiando un Brigantino, dirigendosi a Castellammare per ottenere da quel Sottintendente il passaporto, che gli fu negato».
Successivamente, secondo il foglio, egli bussò alla porta del Monastero de’ Cappuccini, ma vanamente, per gli imprevedibili ostacoli frapposti dai frati: «Perciò si portò nel Monastero de’ Cappuccini di quel paese, e quei padri, tenuto consiglio, si determinarono a non riceverlo: è da notarsi che in quel Convento, evi un tal Padre Superiore Leone, vera talpa, che pure era stato proposto per vescovo dal Cocle nell’epoca de’ suoi fasti; si osservi pure che in quel convento, tenea il Cocle una casina deliziosissima, luogo delle sue conosciute negoziazioni».
Qui A.T. si rivela abbastanza informato.
Intanto, il monastero di cui si parla — nel quale il Cocle presumibilmente sostò solo per il tempo necessario perché si deliberasse sull’opportunità di riceverlo — era in realtà il convento di S. Francesco, sulla strada di Quisisana, allora effettivamente ancora detto «monastero de’ Cappuccini» dal nome dei frati cui era appartenuto fino alla sua chiusura, avvenuta nel 1811 in esecuzione del decreto murattiano del 7 agosto 1809 sulla soppressione degli ordini religiosi possidenti. Ceduto dopo il 1819 ai Frati Minori Riformati, era stato da questi ricostruito[40].
Il Padre Superiore Leone, tuttavia, non è da identificare con il padre guardiano del convento (allora il p. Luigi da Torella), bensí con padre Bernardino da Lioni, già vicario e poi ministro provinciale, capitato nel convento di Quisisana nel 1834 per motivi di riposo e poi rimasto come attivissimo ed abilissimo artefice dell’ampliamento della chiesa e del convento stesso e promotore di importanti attività della comunità[41].
Che tale p. Bernardino fosse in ottimi rapporti con il Cocle lo dimostra il fatto che effettivamente aveva destinato, se non proprio una «casina», una sorta di suite nel ricostruito convento ad uso esclusivo del monsignore, che in tal modo poteva soggiornare nella frequentata Castellammare, verosimilmente d’estate e quando il re si trasferiva a Quisisana, ed avere anche qui relazioni e contatti. Ciò risulta da una Piccola Biografia di f. Bernardino da Lioni, opera anonima del secolo XIX in parte pubblicata dal p. A. Paribello: «Nel terzo piano si fecero formare due quartini: uno nobile con anticamera e cappella, con stanza da letto, stanza da studio, con retrè e mobiliato decentemente con letto, comò, tavolini, consolle, colonnetta, sedie quante povere, altrettante pulite e comode a sufficienza. Dirimpetto al detto quartino vi si offre un salone con una tavola ben grande da servire da pranzo non solo, ma per tenervi sessioni benanche letterarie e circoli nelle ripetizioni di saggio e di sperimento di tutte le scuole. Ove osservasi ancora un ripostiglio a chiave e converto di marmo. Appresso dalla sinistra del citato salone v’è un piccol quartino con balcone di ferro ad uso di persone di riguardo, come tutt’insieme i descritti quartini servirono per Mons. Cocle, allora confessore del Re, e che li di loro muri furono fatti covrire di carta di Francia dall’istesso Mons. Cocle»[42].
Dalla stessa Piccola Biografia risultano anche le difficoltà incontrate da p. Bernardino nel ’48 all’interno del convento ad opera di alcuni frati rivoluzionari: «L’anno ’48 e ’49 fu per il medesimo una vera e continua battaglia, avendo dovuto sostenere persecuzioni incalcolabili in quell’epoca cosí triste, tendente alle rivoluzioni; fu tenuto di mira, ma da chi? Da quei pochi frati medesimi che f. Bernardino s’impegnava a farli stare ritirati e per non fargli cadere nella rete, dove correvano come ciechi, de’ rivoluzionari! E per maggior sua disgrazia dovette vederne due – sacerdoti – svelti dal chiostro ed immischiarsi pubblicamente per far parte con i rivoluzionari – per carità si tacciono i loro nomi – ed anche un terziario per nome N. Considerate quali amarezze per f. Bernardino! e quanti dissapori dovette inghiottirsi»[43].
Pertanto è verosimile che i frati, sotto la spinta dei dissenzienti, avessero deliberato di non ospitare il Cocle, come vuole l’Arresto con firma A.T., che continua narrando del rifugio del monsignore presso il vescovo, della sua audacia di mostrarsi la domenica in pubblico e quindi della reazione popolare e dell’intervento della Guardia nazionale, che in quei giorni veniva riorganizzata: «Espulso il Cocle, pensò rifugiarsi presso il Vescovo di Castellammare, e lusingato dal ricevimento e dal suo amor proprio, ebbe la baldanza di mostrarsi al palcone, e dir messa con finestra aperta: a questo accorse quel pubblico lanciandogli delle pietre, e mostrava desiderio averlo fra la mani. La Guardia Nazionale, per impedire ciò circondò il palazzo vescovile».
Anche il vescovo di Castellammare, monsignor Angelo Maria Scanzano, se non proprio un ‘coclista’, come venivano definiti sulla stampa i prelati molto vicini al Cocle, doveva aver avuto buoni rapporti con l’ex confessore del re, se ora lo riceveva nonostante fosse in disgrazia.
Certamente, nel suo caso, non bisogna pensare al tremendo giudizio che si legge nella Protesta del Settembrini nei confronti dei preti e dei vescovi del regno: «Pochissimi preti sono buoni e santi e degni che altri metta la faccia dove essi metton le piante: gli altri moltissimi, svergognatori del sacerdozio, ignoranti e piú ipocriti dei farisei, piú insolenti dei gendarmi; tra costoro il governo sceglie i piú stupidi e malvagi, li nomina Vescovi e loro affida la cura delle anime, l’istruzione, la polizia della diocesi, e la vigilanza su le coscienze di tutti. Onde i Vescovi sono potenti spie agl’Intendenti, ai Sotto-intendenti, a tutti i magistrati civili e militari, ed ai Ministri stessi: tengono le orecchie del Re e i piú accorti tengono anche le orecchie del Cocle; onde fanno quello che vogliono»[44].
Ma il clero fu spesso generalmente accusato, a torto o a ragione, di essere piú o meno palesemente reazionario, anche se al suo interno non mancarono figure imbevute di idee liberali; ed è pur vero che monsignor Scanzano in passato aveva chiesto e ottenuto l’aiuto del re e della Sacra Congregazione dei Riti per far recludere suoi sacerdoti ribelli proprio presso i Redentoristi[45], e che per questo non aveva avuto vita facile nella diocesi. Infatti, nel clima di euforia seguíto all’allontanamento di Del Carretto e Cocle, c’era stato anche sul suo conto qualche foglio volante, quale Cierte mbroglie de Castiellamare (Discorso fra un Cavaliere ed un Prelato di Castellammare avvenuto ai 30 Gennajo 1848), in cui, con qualche allusione e senza fare i nomi veri, con tono garbato e riguardoso ma fermo, lo si metteva al corrente delle accuse che gli si rivolgevano con l’auspicio che prendesse in tempo gli opportuni provvedimenti, come aveva fatto il re Ferdinando allontanando i piú pericolosi collaboratori: «I fatti che prima era delitto accennare, oggi son divenuti di pubblica ragione; e siccome in questo paese il ceto ecclesiastico ha molte aderenze, si domanda conto della persecuzione d’un arciprete, d’un teologo, d’un curato, di due insigni professori, e d’una moltitudine innumerevole di sacerdoti interdetti, sospesi, confinati, avviliti, fatti ludibrio della sfacciata plebe, e caricati d’infamie degne di malfattori. Si dice che neppure i secolari abbiano sfuggito i colpi della verga pastorale; chi per istituire una giusta causa fu calunniosamente denigrato in faccia al Sovrano; chi bandito dal paese, chi ridotto alla miseria, chi posposto a persone senza meriti; e tutto per Lei»[46].
Non c’è cenno di tutto questo, però, nell’Arresto con firma A.T., né si dice, come invece vedremo dirà il Michitelli (che tuttavia confermerà l’ospitalità accordatagli dal vescovo), che sarebbe stato proprio il vescovo a mandare la Guardia nazionale in difesa dell’incolumità del Cocle. Ci si limita a descrivere, invece, come si è visto, con discrezione forse anche cercata nei confronti dell’autorità ecclesiastica locale, il comportamento spavaldo e imprudente del Cocle che provocò il 5 marzo, di domenica, una prima violenta reazione popolare e il conseguente intervento della Guardia a sua protezione.
A.T. continua narrando delle iniziative delle autorità di polizia, del tentativo di trasferire il Cocle a Napoli, impedito dalla folla accorsa a quella stazione per impossessarsene, e poi del suo trasferimento (insieme con due misteriosi cassettini) nella «locanda della Gran Bretagna», noto albergo sulla strada nuova della Marina (oggi via Mazzini)[47]: «Il Sottintendente intanto già avea scritto al Prefetto di Polizia l’accaduto, e questo funzionario gli avea ingiunto ordine di mandarlo in Napoli; ma giunto a conoscenza del popolo, questi si portò in gran folla alla stazione ferrata di Napoli per inpatronirsene. Onde evitare tumulti, e disordini, il Prefetto di Polizia spedí un secondo plico al Sottintendente, acciò l’avesse ritenuto presso di se sino a nuovo ordine. E l’istesso funzionario credé bene trasportarlo nella locanda della Gran Bretagna, e quivi farlo guardare a vista. Venuto il Cocle in cognizione di quanto si era disposto, e temendo, incominciò a piangere, ed a raccomandar la sua vita alla Guardia Nazionale, e particolarmente ad un certo D. Giuseppe Diaz, assicurando con quella faccia, atta a simulare, che egli non avea fatto male ad alcuno!!!… fu portato in detta locanda, e con lui furon trasportati due cassettini, che si presume siano pieni di monete di oro, frutto del suo onestissimo lucro!!!…».
Il prefetto di polizia era Giacomo Tofano, che l’indomani (6 marzo, giorno dell’arresto del Cocle) sarebbe stato nominato direttore. Il sottintendente nel distretto di Castellammare era Ferdinando Salvatore Dino di Torre Annunziata, sulla cui nomina si era scagliato sin dal suo apparire Mondo vecchio e mondo nuovo (il giornale liberale piú acceso e polemico, fondato dal Petruccelli), accusandolo di conflitto di interessi, «di dar pranzi a coloro che possono dar cariche» (26 febbraio 1848) e di aver permesso abusi a danno di Carlo Fattorosi di Barnaba, di
Lettere, ex-sindaco deposto in passato per liberalismo: «gli abusi sono gli stessi – e la Costituzione? la Costituzione per quei paesi è come per gli Ebrei il Messia. E dite poi che non si progredisce!» (7 marzo 1848); giudizio durissimo sui paesi dell’hinterland stabiese e sulla stessa Castellammare, che pur stava dando in quei giorni segni di partecipazione, se non a livello di autorità, almeno a livello di folla che pretendeva una volta per sempre giustizia.
Quanto ai cassettini, si tratta di uno fra i non pochi misteri che accompagnarono la vicenda. Pistole, monete d’oro, lettere segrete, tutto avrebbe potuto portare una figura ormai diventata un vero e proprio demonio nell’immaginario collettivo, nel migliore dei casi un uomo atto a simulare e dissimulare, a fingere il pianto, le convulsioni, a recitare miseramente comunque.
L’Arresto con firma A.T. accenna poi fugacemente alla venuta del prefetto in persona a Castellammare per procedere all’arresto: «Jeri 6 del corrente, il Prefetto di Polizia, personalmente si portò in Castellammare per rilevarlo, ed oro non si sà ove esista». Da notare che oro potrebbe essere probabilmente un refuso per ora (in tal caso il soggetto di esista sarebbe monsignor Cocle, sulla cui sorte dopo l’arresto A.T., al momento della stesura, non saprebbe ancora niente); ma potrebbe anche riferirsi alle monete delle quali poi non rimarrà alcuna traccia.
A.T. non aggiunge altre notizie a quelle fin qui date, forse perché davvero non conosce l’esito della vicenda, o forse perché intende redigere un ulteriore foglio l’indomani. Conclude tuttavia con il suo compiacimento per l’azione del prefetto e l’auspicio che continui nella stessa direzione: «Fratelli miei; ecco finalmente che il nostro prefetto di Polizia ha dato il primo passo sacro per la Patria. Attendiamo che progredisca contro tutti coloro che dipendevano da questo primo anello di Satana, e lo attendiamo con impazienza».
Giunti alla fine del foglio volante firmato da A.T. — non identificato e tuttavia raffigurabile, nonostante la sua evidente non celata concezione ideologica, in uno di quei «prudenti quanto caldi amatori della verità» dei quali dichiarava di avvalersi il tipografo Azzolino nella citata Protesta ai bravi lettori dei fogli volanti — ritorniamo all’Arresto senza firma, lasciato mentre monsignor Cocle era in pericolo a Somma.
Questo foglio diventa ora piú generico, parlandoci alquanto sommariamente del soggiorno del prelato presso «una casa di Cappuccini» per due settimane fino all’arresto, avvenuto in séguito alla grande reazione di tutti gli Stabiesi, accortisi della presenza soprattutto a causa della sua non interrotta corrispondenza con Napoli: «Intanto Monsignore il seguente giorno partí da Somma vestito da contadino alla volta di Castellammare dove dimorò in una casa di Cappuccini. / Ma l’uomo malvaggio e sempre tale egli era partito da Napoli ma che vi pare la sua anima non era a Napoli? non avea la sua corrispondenza con Napoli per tramare nuove insidie, e tradimenti? Ahi! questo fosse stato falso al certo non sarebbegli accaduto ciò che scrivo di fretta. Appena dimorato a Castellammare non altro che due settimane si sparse la voce che Monsignore era costà quindi sul principio s’intese un mormorio generale poi una voce, in fine un fracasso. Tutto Castellammare si pose in iscompiglio. Fanciulli, vecchi d’ogni sesso, e condizione gridavano morte all’iniquo, al traditore. A questo la forza pubblica non poté restar silenziosa. Quindi la sera del 6 si procedé all’arresto».
Come si può vedere, esso non concorda con l’Arresto con firma A.T., in quanto parla della casa dei Cappuccini come unico luogo di soggiorno del Cocle, per due settimane, dall’arrivo a Castellammare fino all’arresto; inoltre non accenna ai rapporti col vescovo, né al ruolo avuto dalle autorità di polizia, né ai momenti che precedettero l’arresto. Ciò fa ritenere il compilatore non bene informato sulla permanenza del monsignore a Castellammare, tanto piú che a favore dell’ospitalità accordata dal vescovo incide la descrizione del Michitelli. È vero che le notizie circolanti sul caso dovevano essere tante, vaghe e contrastanti, ma egli sembrava piú intenzionato a mostrare gli intrighi del terribile prelato e le reazioni del popolo (queste ultime descritte in verità con efficacia pur nella brevità del racconto), che non i particolari della vicenda.
Se tuttavia si volesse dar credito alla durata di due settimane indicata per la permanenza a Castellammare fino all’arresto, il Cocle dovrebbe esservi arrivato intorno al 20 febbraio, cosí come potrebbe essere arrivato intorno al 12 dello stesso mese a Somma dove avrebbe soggiornato «pochi giorni»: le precedenti due settimane a partire dal giorno 27 gennaio (o da qualche giorno prima) le avrebbe quindi passate di nascosto a Napoli. Ma questa è una ricostruzione non certa dei circa quaranta giorni che intercorrono dal 27 gennaio (o poco prima) al 6 marzo.
L’estensore dell’Arresto senza firma prosegue con la notizia dell’imbarco e del presunto pianto, promettendo di continuare la cronaca su un successivo foglio e chiudendo lo scritto con personali considerazioni: «Fu preso Monsignore da un drappello di Soldati per ordine Sovrano e posto sul Vapore Nettuno; l’istesso Vapore che ebbe la bella sorte di portare il suo Del Carretto. Giunto Monsignore sul
Vapore si dice, che avesse pianto. Ma che credete pel suo arresto? Forse … Ma credo piú fondato perché dovea lasciare le sue ricchezze ed il dispotismo, ed il suo orgoglio, e la protezione, ed i tradimenti e la Passarella. Ma si domanderà, dove anderà Monsignore? dovrà esser esiliato, quindi dovrà andare ramingo derelitto senza amici senza patria. Ma dove? Con altro foglio vel dirò. Per ora questo. Per me che scrivo dico che gli accadrà lo stesso che al suo compagno del Carretto avvenne. Sarebbe stato molto meglio spedirlo a Roma direttamente, che far vagare pel mondo intero una macchina obesa, e maliziosa».
Inviato da
Apuzzo Ennio
Scritto da Giuseppe Centonze e’ stato insegnante di Ennio Apuzzo. Celestino Cocle fu il confessore spirituale di Ferdinando II, gli fu messo come educatore da bambino dai massoni amici del nonno Ferdinando IV, prete corrotto, sfruttava l’ amicizia dei borbone e la vicinanza di Ferdinando II per fare gli interessi propri. Nel 48 cerchera’ di tradire ma fu immediatamente epurato lui e del Carretto. Traditore di Ferdinando II. già vescovo di Patrasso, Fu la sua guida spirituale fino al 48 quando il Re apri gli occhi.
formato in pdf con le note