L’attacco dell’ascarismo filo-padano e mafioso contro l’indipendentismo della Napolitania e della Sicilia (II)
Un’altra verità nascosta dall’Italia unita è che la repressione statale-mafiosa sta diventando molto esperta nelle infiltrazioni delle iniziative dei movimenti e gruppi identitari napolitani e siciliani, vittime di false accuse e restrizioni giudiziarie per poter corrompere ufficialmente le esigenze popolari e l’indipendentismo di entrambi popoli, accelerando la campagna di denigrazione del giornalismo, dell’istruzione di diverso grado e del mondo dello spettacolo, dove gli attori si divertono a usare le certe parole offensive verso i due popoli stessi (per es. nella fiction “Fratelli Caputo” Nino Frassica e Cesare Bocci lanciarono una serie di critiche diffamatorie verso la Sicilia, di cui il M24A-ET protestò questa ingiustizia; oppure la falsa comicità di Antonio Albanese nell’interpretazione del personaggio Cetto La Qualunque nei due film del 2011 e del 2019, dove nel secondo si era permesso di rubare l’antico inno di Paisiello e inserirlo nel suo finto “Regno dei Buffo di Calabria”, denigrando lo Stato delle Due Sicilie e le divise del regio esercito) ignorando completamente le loro origini e le realtà di quei due popoli che vivono al loro interno.
Per fortuna ci sono stati alcuni che ne presero le distanze, tra cui Carlo Pedersoli (famoso Bud Spencer) e Massimo Troisi che impegnarono a valorizzare la nostra capitale Napoli, mostrandone il proprio tifo calcistico. Anche nel calcio il razzismo unitario sembra prevalere sulle tifoserie delle varie nazionali calcistiche italiche, in particolare nella Juventus, nella Fiorentina, nell’Atlanta e, soprattutto, nella Roma i tifosi ripetono le seguenti parole: “Oh Vesuvio, lavali con il fuoco”, “Napoli coronavirus” e “terun de m***a”. Eppure non ebbero nessuna condanna giudiziaria dalla Figc e puntarono a lanciare gli stessi e altri pregiudizi negativi sulla nazionale di Napoli, favorendo con molta complicità la propaganda razzista unitaria. Purtroppo siamo arrivati ad un inizio senza fine, ma i popoli della Napolitania e della Sicilia dovranno rimanere nella parte della servitù dell’ascarismo e della mafia? Assolutamente no. Perché com’era esistito il diritto di ribellione a tutti i popoli, avvolte quei popoli non hanno pietà per chi li trattò come schiavi e usurpò i suoi diritti. Infatti Maradona ebbe a dire: “Napoli non è sporca, è l’Italia che sporca Napoli” una frase non dell’odio ma della verità. La verità è che noi napolitani viviamo una colonia da quel maledetto 1860 e dobbiamo rimpiangere tutti i progressi ottenuti dai nostri antenati e dai nostri legittimi governanti (i Borbone), per cui i movimenti identitari dovranno dare esempio di collaborazione con il popolo napolitano e di garantirgli una libera educazione culturale per la presa di coscienza in un momento necessario. Esempi storici di tale dovere morale li possiamo trovare indubbiamente nella quarta rivolta indipendentista del popolo napolitano tra il 1860-1870 e nella guerra d’indipendenza del popolo siciliano tra il 1944-1946, tutti contro lo Stato colonizzatore della Grande Padania prima monarchico e poi repubblicano proprio a causa delle leggi filo-sabaude. A condurre le battaglie culturali volte al compimento della conquista dei diritti e dell’indipendenza dei due popoli non c’erano solamente i movimenti politici, pure i circoli e i giornali ne dettero un contributo fondamentale, nella speranza che quell’obiettivo possa essere raggiunto con successo ma, ben presto, sarà una totale illusione per i duri interventi repressivi del governo razzista e dei suoi alleati che posero fine i loro sacrifici con molta brutalità e con l’inganno. Nella rivolta napolitana del 1860-70 il duca Francesco Proto Carafa di Maddaloni, il duca Ettore d’Alessandro di Pescolanciano, Giacinto de Sivo, Pietro Calà Ulloa, Errico Malatesta e Giovanni Passannante furono i principali protagonisti e sostenitori della resistenza popolare di carattere antiunitaria che, con parole e con le armi, condivisero le proteste di giustizia e di bisogno del loro popolo senza un filo di tradimento, sebbene avessero le proprie idee politiche. Però tra di loro c’erano le organizzazioni di resistenza (Alleanza repubblicana e Alleanza monarchica dei borbonici) che elaborarono un certo programma politico ma avevano le idee identiche: la lotta contro la pressione fiscale (il tasso sul macinato che, sotto Ferdinando II, veniva diminuito e poi abolito nel 1847), e l’abolizione della schiavitù nel nome di Dio e del popolo. Eppure tale obiettivo era presente nelle intenzioni dei partigiani napolitani e siciliani, supportati sia dai comitati di resistenza sia dai benefattori (in particolare ai napolitani dal re Francesco II attraverso i suoi agenti e generali), per poter avviare le prime insurrezioni popolari. Le famose insurrezioni che si protrassero per lunghi giorni furono quelli di Melfi tra il 15 e il 20 aprile 1861 e di Montefalcione tra il 6 e il 10 luglio 1861 nella Napolitania, in Sicilia ci fu la rivolta di setti e menzu tra il 16 e il 22 settembre 1866. Facendo un calcolo su tali eventi citati, i “setti e menzu” del 1866 ebbe più giorni a differenza della rivolta di Melfi tra il 15 e il 20 aprile 1861, per il fatto che la rivolta siciliana sopravvisse per 7 giorni fino alla sua repressione ad opera del generale Raffaele Cadorna, mentre la rivolta napolitana resistette per 6 giorni. Naturalmente quelle rivolte non furono le uniche a verificarsi all’interno dei territori occupati ma ci furono altri, mossi direttamente dal bisogno e dalla giustizia, come avverrà in Sicilia dove, in seguito allo sbarco anglo-americano nel luglio del 1943 con l’appoggio della mafia, il passato del terrore sabaudo suscitò agli isolani la necessità del recupero della loro identità attraverso il MIS, Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, guidato da Andrea Finocchiaro Aprile, Lucio Tasca, Antonino Varvaro e Antonio Canepa, il quale fonderà successivamente l’EVIS nel febbraio del 1945 per opporsi alle violenze militari delle forze armate coloniali e dei suoi collaboratori. Naturalmente le popolazioni siciliane non furono sostenute solamente dai soli membri del MIS, poiché assieme a loro c’erano le bande dei poveri fuorilegge, tra cui quella di Salvatore Giuliano, vittima di un furto illegittimo e di un sopruso sulla sua famiglia commesso dai carabinieri piemontesi, che aiutava i poveri donandoli i soldi dei ricchi. Secondo la testimonianza del nipote Giuseppe Sciortino, Giuliano conobbe l’idea dell’indipendenza siciliana dalla sua adesione al movimento sicilianista “Sicilia e libertà” avvenuta nell’aprile del 1943 e grazie a tale ideale che supportò il MIS e la manifestazione popolare dell’indipendentismo isolano, ottenendo il ruolo di colonnello nell’EVIS. Uno dei punti caratterizzanti delle ribellioni della Napolitania e della Sicilia fu la collaborazione tra i movimenti d’insorgenza identitaria e le bande degli emarginati sociali, di estrazione popolare e di qualche fedina penale, attraverso l’educazione dei banditi sulla conoscenza della cultura e dei principi civili del popolo di appartenenza, dimenticando pian piano le attività criminali e avendone l’appoggio dei comitati diretti dagli attivisti antiunitari nella gestione delle insurrezioni e del ripristino delle amministrazioni fedeli al precedente e legittimo governo. Naturalmente gli attivisti identitari e i suoi banditi fidati dovettero risolvere alcune lacune causate dagli altri banditi, al soldo dei politici unitari e dei mafiosi, incaricati di stanare le loro imprese di liberazione, subendo molte perdite o riuscendo a resistere ma, con il passare degli anni, saranno costretti ad accettare le sconfitte senza riprendere, purtroppo, i loro ideali. Tali esempi li possiamo trovare nelle vite di vari personaggi importanti ma oscurati dalla storiografia del razzismo unitario: Michele Pezza (detto Fra’ Diavolo), che durante le due imprese di liberazione del popolo napolitano nel 1799 e nel 1806 si mosse dal coraggio e dai doveri morali, tra cui la salvaguardia della sicurezza nazionale, impegnandosi a supportare gli abitanti napolitani e l’esercito sanfedista del cardinale Ruffo; Salvatore Giuliano, il quale legò la protezione dei bisognosi alla sua causa nazionale; Graziano Messina, il bandito sardo che rifiutò volontariamente la sua collaborazione con il forestiero padano Giangiacomo Feltrinelli, fondatore della casa editrice Feltrinelli e simpatizzante di un partito di sinistra legato all’ascarismo, intento di soggettare il popolo sardo alla ideologia comunista, cosa che Messina non condivise affatto rimanendo fedele al sentimento d’indipendenza isolana. Il rapporto tra i banditi emarginati e gli indipendentisti italici si basò sull’acquisizione culturale della coscienza anziché sulle ruberie e sui delitti che sia lo Stato coloniale sia la Mafia si macchiarono contro i due popoli per impedire il loro contatto con i loro veri protettori. Infatti la garanzia della protezione sui due popoli da parte dell’esercito di banditi emarginati e dei guerriglieri indipendentisti puntò effettivamente e direttamente sulla conquista della propria identità e dei loro diritti, dovendo abbattere molti ostacoli imposti dai loro efferati e imperdonabili nemici. L’unità italiana tentava di aver vinto sulle popolazioni che si opponevano alle sue leggi ma rimane sempre perdente vista la maggioranza degli abitanti dei due popoli vicini alla causa identitaria in modo responsabile e senza alcuna vergogna. Infatti come non si ha vergogna per chi si sacrifica a difendere e a far rinascere la sua terra, non è un reato se si resiste contro ogni forma di ingiustizia imposta dai suoi tiranni. Qui, nella penisola italica, i tiranni li sappiamo chi sono e che cosa ci hanno fatto. Non vanno e non devono essere dimenticati tutte le ingiustizie del crimine razzista del governo e dei suoi alleati contro i napolitani e i siciliani, i quali potranno adempiere la sola resistenza (unica e necessaria) ma senza la cieca dipendenza di un loro partito identitario o di una persona potente, corrotta o mafiosa. Nella vita si nasce da esseri liberi e non da schiavi di nessuno, come vuole Dio e come c’hanno insegnato i nostri antenati; che sia ben chiaro ai fratelli e alle sorelle della Napolitania e della Sicilia.
Antonino Russo
Purtroppo non intravvedo nessuna possibilità’ di rinascita in questa Italia così manipolata e ingannata se i popoli che vi si trovano da millenni non recuperano la consapevolezza della propria identità’ e della propria storia e non intraprendono orgogliosamente un’altra strada per stare entro i confini che si è data. I milioni di suoi abitanti che a più riprese volenti o nolenti nel corso di questi ultimi secoli se ne sono andati altrove stanno a dimostrare quanto e’ stato ingiusto e deleterio il progetto unitarista realizzato secondo disegni progettati altrove a danno dell’orgoglio e il senso di appartenenza dei popoli della nostra penisola, isole comprese. caterina