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Le anarchie e i “picchi orrorosi” nella Napoli del 1798-1799 di Giuseppe Gangemi

Posted by on Mar 3, 2025

Le anarchie e i “picchi orrorosi” nella Napoli del 1798-1799 di Giuseppe Gangemi

Luca Addante, ne I cannibali dei Borbone, distingue a Napoli tre anarchie. La prima dal 21 dicembre quando, in città, si sentono le prime cannonate dei Francesi. La folla, consapevole che molti sono favorevoli ai Francesi va in caccia dei traditori.

Un equivoco porta all’uccisione di un corriere, Antonio Ferreri, il cui corpo straziato viene portato alla vista del re. Lo spettacolo convince Ferdinando IV che la folla napoletana non è più controllabile. La notte si rifugia sulle navi inglesi. Segno che non si fida del proprio popolo. Tre giorni dopo, parte per Palermo. L’ammiraglio Caracciolo inutilmente tenta di convincerlo a fare il viaggio sulle navi napoletane. Il re non si fida nemmeno dei propri marinai. A Napoli, parte della folla saccheggia luoghi dove possa trovare armi; altra parte saccheggia case. Questa prima anarchia finisce il 23 gennaio, giorno della proclamazione della Repubblica. In questa fase, vengono uccise sette persone e, nel corso di un tentativo di evasione di Giacobini dalla prigione, lo scontro a fuoco provoca un imprecisato numero di morti.

La seconda anarchia comincia la sera del 13 giugno 1799 con l’ingresso in Napoli dei primi Sanfedisti. Segue il saccheggio della città. La sera del 14, arriva il primo decreto di proibizione dei saccheggi. Questi, però continuano, con centinaia di uccisioni. Masse di Napoletani si arrogano il diritto di dichiarare Giacobino chi decidono loro e di ucciderlo. Sono tanti che diventano incontenibili. Ruffo scrive il 21 giugno a John Acton di avere arrestato 1.300 Giacobini e di non essere riuscito a impedire che 50 venissero uccisi e 200 feriti dalla folla inferocita. Questa seconda anarchia finisce giorno 30 giugno quando le truppe inglesi prendono il controllo militare della situazione, d’intesa con il Re, e l’ammiraglio inglese Horatio Nelson fa impiccare l’ammiraglio napoletano Francesco Caracciolo. Giorno 1 luglio, la nuova situazione viene sancita ufficialmente: Ruffo si dimette da Vicario e chi cattura un presunto Giacobino deve portarlo alle navi inglesi e non più al Cardinale.

Comincia così la terza anarchia, quella della “carneficina legale” dei Repubblicani. Con l’inizio delle esecuzioni legali, i Lazzari cominciano a lagnarsi della clemenza di Ruffo e, col tempo, arrivano a chiamarlo giacobino. Non basta: si parla di rischio di arresto per Fabrizio Ruffo che protesta per alcune uccisioni di Giacobini ordinate dal re; inoltre, il 9 ottobre, la folla assedia Ruffo e pretende che liberi 500 finti Sanfedisti catturati mentre saccheggiavano case. Dopo esattamente 100 giorni, tra afforcati e decollati, nella sola Napoli, si contano 81 esecuzioni capitali. Vengono giustiziati, in tutto il Regno, 122 repubblicani. L’ultima esecuzione, l’11 settembre 1800, è quella di Luisa Sanfelice. La terza anarchia finisce il giorno dopo, con il decreto reale che minaccia l’impiccagione di chiunque accusi una persona di essere un Giacobino o uccida o saccheggi con questo pretesto.

Addante segnala i “picchi orrorosi” delle tre fasi di anarchia, ma non quello relativo al periodo tra due saccheggi: quello dei Francesi e quello dei Sanfedisti. Eppure, il generale francese Thiébault racconta di 20.000 napoletani uccisi nei combattimenti. Eppure, De Nicola, ha talmente paura di quello che racconta nel proprio diario da: limitarsi a scrivere che quanto “accaduto al basso Napoli non è da potersi né credere né descrivere” (p. 31); arrivare a riconoscere ai soldati Francesi diritto di saccheggio perché “bisogna dire che dovevasi questo sfogo al soldato che aveva a forza di sangue sparso vinta la città” (p. 32); limitarsi a criticare solo la presenza dei Napoletani nei saccheggi e il fatto che “moltissime case furono anche saccheggiate parte da Napoletani, parte da Francesi” (p. 32).

Per segnalare “il picco orroroso” della prima anarchia, Addante cita De Nicola: “Non è possibile il descrivere gli eccessi ai quali s’è dato il popolo furioso” (p. 27). Segue l’elenco fornito da De Nicola: “incendi, saccheggi (persino del Palazzo reale), arresti arbitrari, omicidi … esemplare fu il supplizio dei fratelli Filomarino”. Diversamente da De Nicola, che non cita la bruciatura dei corpi di questi ultimi due, Addante concentra l’attenzione soprattutto su questo particolare. Probabilmente per avvicinarsi al tema del cannibalismo di cui la bruciatura è precondizione necessaria.

“Il picco orroroso” della seconda anarchia è lo strazio dei corpi di tre donne combattenti. Queste rimangono uccise nell’esplosione del forte di Vigliena (esplosione procurata dai Giacobini per morire tutti pur di uccidere i Sanfedisti entrati nel castello). Delle tre donne, scrive De Nicola, “si fece strazio dai soldati” (p. 185) sanfedisti. Lo strazio, suggerisce Addante senza dirlo, consiste in atti di necrofilia: “La reticenza del diarista impedisce di precisare quale fosse lo ‘strazio’ subito dalle donne, pur immaginabile”.

“Il picco orroroso” della terza anarchia è, ovviamente, il cannibalismo praticato sul corpo di Nicola Fiani: “Risulta accertato, dunque, che almeno il fegato di Fiani fosse stato cotto e mangiato”.

Partendo da questo fatto, Addante ne approfitta per aggiungere dubbi casi precedenti e successivi. La prova più prestigiosa di Addante è Vincenzo Cuoco. Questi, nella prima edizione, del 1801, scrive: il generale francese “Mejan riposava indolente sopra s. Elmo, dividendo il suo tempo tra la voluttà ed il gioco: potea contenere il popolo a dovere: dovettero pure le grida de’ sventurati che erano massacrati salir fino a lui, dovette vedere scorrerne il sangue ed arder que’ roghi dove si cuocevano le membra degl’infelici uccisi, che il popolo mangiava” (vol. 2, 239). Nella seconda edizione, il riferimento al cannibalismo sparisce e la frase diventa molto diversa: “il popolo napolitano unito agl’insorgenti commise delle barbarie che fan fremere; incrudelì financo contro le donne; alzò nelle pubbliche piazze dei roghi, ove si cuocevano le membra degl’infelici parte gittati vivi, e parte moribondi. Tutte queste scelleraggini furono eseguite sotto gli occhi di Ruffo, ed alla presenza degl’inglesi” (1863, 180). Addante tace che Cuoco, nell’edizione definitiva della sua opera, ha tolto il riferimento al cannibalismo e tace anche lo spostamento della responsabilità, operato da Cuoco, dai Francesi a Ruffo e agli Inglesi. Un esempio di doppia parzialità assolutamente imperdonabile in uno storico.

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