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LE ASSISE DI ARIANO di Ortensio Zecchino

Posted by on Mag 20, 2018

LE ASSISE DI ARIANO di Ortensio Zecchino

Dopo oltre un secolo di presenze normanne nel sud Italia, Ruggero, figlio del Gran Conte Ruggero I di Sicilia quintogenito di Tancredi d’Altavilla, fondò uno dei più solidi e potenti regni dell’Europa medievale. La sanzione della nascita del regnum (come per antonomasia venne chiamato il regno meridionale) fu costituita dalla promulgazione di un corpo di leggi, noto come Assise di Ariano. Ruggero infatti, acquisito, grazie a un deciso impegno militare e politico, il dominio reale di tutti i territori dei regno nel 1140, dieci anni dopo la solenne incoronazione avvenuta – come per Carlo Magno – nel Natale 1130, promulgò un corpo di leggi nel corso di un’ assemblea generale dei vassalli convocata in Ariano. Di queste Assise noi abbiamo conoscenza diretta attraverso due manoscritti (il Vat.lat. 8782 e il Cassinese 486) i cui testi, per le varianti che i confronti testuali evidenziano, non sembrano contenere l’originaria versione ufficiale.

Le Assise di Ariano (al cui contenuto noi qui faremo essenzialmente riferimento) non esauriscono però la legislazione di Ruggero II, come sin qui unanimemente sostenuto dalla storiografia giuridica. Due ordini di elementi sorreggono questa affermazione: 1) nelle celebri costituzioni, emanate da Federico II quasi un secolo dopo, a un attento esame, si rinvengono molte leggi non contenute nei testi vaticano e cassinese ma egualmente attribuite a Ruggero; 2) durante il suo regno Ruggero non convocò la sola assemblea di Ariano del 1140, secondo l’unanime convincimento fin qui espresso dalla storiografia (abbiamo infatti ormai prove certe della convocazione anche di altre assemblee generali di vassalli che verosimilmente costituirono altrettante occasioni per promulgare leggi). Il tema per il suo evidente rilievo è qui soltanto, anche se merita ben altro spazio e soprattutto ben altri approfondimenti e riscontri.

Le Assise di Ruggero considerate anche solo nel loro nucleo per così dire tradizionale, la cui promulgazione abbiamo riferito all’assemblea del 1140, suscitano ancor oggi molteplici interessi. In primo luogo va ricordato che il complesso delle questioni legate alla loro nascita occupa un posto rilevante nella storia delle fonti del diritto italiano. Le Assise infatti costituiscono un ordinamento originale -non solo per essere una sintesi di tradizioni giuridiche diverse, innestate sul ‘tronco di un diritto romano adeguato all’ ambiente cristiano e alle condizioni di vita del momento, ma soprattutto perché, anticipando i tempi, il loro titolo di validità deriva, anziché dall’idea medievale dell’imperatore dominus mundi, dal concetto di stato sovrano. Il secondo motivo di interesse, più marcatamente storico-politico, sta nel fatto che le Assise di Ruggero sono il primo corpo di leggi emanato per l’intero regno meridionale dal suo fondatore, che infranse così il principio della personalità, affermano invece quello della territorialità della legge è costituiscono il nucleo da cui si è sviluppato il diritto che, per circa sette secoli, ha regolato la vita del Mezzogiorno d’Italia. Sotto tale profilo deve anzi convenirsi che le più famose costituzioni di Melfi, emanate quasi un secolo dopo delle Assise da Federico II, sono in gran parte uno sviluppo di quest’ultime e perdono così l’impronta dell’originalità. Le Assise infine hanno rilievo perché costituiscono una sorta di manifesto della società meridionale di quel tempo vista non solo dal punto di vista istituzionale ma anche da quello del vivere quotidiano. Dal punto di vista del contenuto, le Assise, per quanto arido possa sempre apparire ogni testo legislativo astrattamente considerato in se stesso) costituiscono un documento prezioso per la conoscenza delle condizioni politiche, giuridiche e umane del regnum.

Quasi tutte le sue disposizioni appartengono al diritto pubblico, riguardano cioè le prerogative regie, i rapporti con la Chiesa e con la feudalità o sono di natura processuale e soprattutto penale. In tutte queste disposizioni sono riflesse le intenzioni del re sulla assoluta supremazia del suo potere. Già nella soluzione data al problema dalla collocazione delle Assise nel sistema delle fonti del diritto può cogliersi il motivo ispiratore dell’ opera di Ruggero: l’affermazione appunto della supremazia e indipendenza del potere regio, che è come dire l’affermazione della sovranità dello stato normanno meridionale.

Le idee rogeriane sulla regalità tendevano a realizzare non solo un rigido accentramento ma anche un assolutismo di tipo sacrale. La gran parte delle disposizioni contenute nelle Assise, come già rilevato, sono di -natura penale. In esse v’ è l’abbandono netto di tendenze privatistiche del diritto penale, tipiche del sistema di composizione pecuniaria delle legislazioni barbariche, e l’affermazione al contrario di un diritto penale statale. Conseguenza evidente è l’affermazione non solo di un sistema di pene pubbliche, in gran parte ripreso dal modello romano, ma anche di un sistema processuale che ridimensiona molto sensibilmente l’incidenza del comportamento della parte lesa. Superando così il sistema di vendetta privata, di cui sopravvivono solo labili tracce, il diritto penale delle Assise amplia i suoi confini e si pone sempre più come strumento per il rafforzamento del potere monarchico.

Sotto tale profilo sintomatica è la ricezione della normativa romana sul crimen lesae maiestatis, che in un certo senso diventa il punto d’arrivo degli sviluppi assolutistici della teoria medievale dello stato, iniziati fin dall’ epoca carolingia. Con l’introduzione di tale ipotesi criminosa, vaga e indeterminata, omnium accusationum complementum, si abbandona la legalità medievale e si afferma l’idea del princeps legihus solutus. Tale orientamento dettato da evidenti ragioni politiche trova la sua giustificazione nella concezione teocratica del potere regio, considerata un aggiustamento cristiano della concezione romana dell’imperator. Nelle Assise viene a determinarsi una saldatura tra ispirazione romana e anglonormanna. Viene infatti assunto come finalità primaria del diritto pena1e il mantenimento della pace interna e della tranquillità pubblica, fatto oggetto di un giuramento di fedeltà dei vassalli, tanto che ogni turbativa può essere qualificata come infedelitas. Il diritto penale diventa così strumento di controllo politico anche nei confronti della classe baronale. Il qualificare ogni azione turbativa della pace e dell’ordine come offesa alla maestà del re, inoltre, non solo ha conseguenze per ciò che concerne il tipo di sanzione, ma comporta anche come corollario che debba essere il re a farsi carico della garanzia del mantenimento dell’ ordine e ad assumere perciò, direttamente o indirettamente, la funzione di amministrare la giustizia. L’istituzione dei giustizieri, la cui competenza formalmente concorre ma che di fatto esautora quella dei feudatari, va vista appunto in questa logica ponendosi sulla scia dell’istituzione di analoghe magistrature in Inghilterra e in Normandia. Sul delicato tema dell’elemento psichico del reato la legislazione di Ruggero innova rispetto alle legislazioni immediatamente precedenti che davano rilievo alla sola materialità e dannosità del fatto, trascurando il problema dell’appartenenza del fatto stesso al suo autore. Contrariamente all’unanime convinzione espressa dalla storiografia giuridica, in ciò condizionata soprattutto da un errore di trascrizione in cui incorse il Merkel (primo editore del testo vaticano), si può affermare che nel diritto penale del regno meridionale non fosse per nulla ignota la distinzione tra dolo e colpa.

Quanto alle pene v’ è da rilevare come spesso nelle Assise manchi una espressa previsione e si affermi invece una notevole ampiezza del potere discrezionale del re e dei giudici (anche rispetto a tipi di crimini ripresi dal diritto romano e li sanzionati invece con pene determinate). Un tale indirizzo, formalmente dettato dal proponimento di rendere possibile il contemperamento del rigore della giustizia con le esigenze dell’ equità, in realtà è funzionale al disegno di accrescimento e rafforzamento del potere regio che Ruggero perseguì anche attraverso le atrocità delle esecuzioni, tali da creare una sorta di terrore magico. Concretamente le pene previste nelle Assise sono classificabili in tre tipi: pene pecuniarie (pagamento di somme determinate, confisca dei beni – molto praticata per l’evidente vantaggio pratico che ne deriva alla corona), pene privative della libertà (carcere, che cessa di essere soltanto il mezzo per assicurare il reo ai fini dell’esecuzione di pene corporali, per diventare esso stesso una pena vera e propria; asservimento alla curia regis), pene corporali (flagellazione, mutilazione di membra, pena di morte). Lette attraverso una griglia antropologica, le leggi di Ruggero offrono elementi di grande utilità per la comprensione delle condizioni di vita del Meridione nel XII secolo, In particolare la normativa penale in esse contenuta, come già detto, costituisce forse l’ausilio più valido per esplorare e definire la tipologia della società del tempo e per ricostruire quella che oggi si suole chiamare storia della vita quotidiana. In una realtà minacciata dalle turbolenze dei baroni non solo verso la corona, ma nei rapporti reciproci e da un diffuso esercizio della violenza, l’impegno del monarca appare tutto teso allo sforzo di instaurare un clima di pace, di tranquillità e di ordine.

L’Assisa XXX vaticana minaccia perciò la confisca di tutti i beni ai baroni che invadano castelli altrui, commettano razzie o insorgano con le armi. Particolarmente frequenti e gravi erano ritenute le distruzioni di case, le aggressioni sulle strade, la violenza alle donne, i duelli, le calunnie, gli incendi e gli omicidi, tanto da essere devoluti al giudizio dei giustizieri. Da una lettura in controluce emerge come nella società prevalentemente contadina fossero particolarmente tutelati i beni adibiti alla produzione agricola. Chi bruciava i campi e chi tagliava viti e alberi veniva severamente punito con pena capitale o, a discrezione del re, con la mutilazione delle membra. Chi fosse stato imputato di un tale delitto poteva discolparsi in base alle vecchie leggi o alle consuetudini locali soltanto se incensurato, altrimenti doveva subire il giudizio del ferro e del fuoco. Come si può intuire incendi e distruzione delle colture dovevano costituire un danno grave e diffuso, addebitato in gran parte a incendiari abituali. Alla stessa logica si ispira il divieto di abbandono della terra per chi voleva sottrarsi ai duri lavori agricoli, pena la devoluzione di tutti i beni al signore che aveva concesso la terra e l’asservimento alla corte del re.

La disposizione rivela una crisi di manodopera per la coltivazione della terra ed è chiaramente finalizzata a impedire l’esodo verso le città, In Sicilia soprattutto era infatti particolarmente avvertito il problema delle terre incolte per la carenza di manodopera, tanto da rendersi necessaria l’utilizzazione degli stranieri, Poiché specialmente le case dei più poveri, costruite all’ epoca in legno con tetti di paglia erano facilmente aggredibili dalle fiamme, si minacciava la pena capitale per i responsabili degli incendi dolosi delle case, II degrado dei costumi che largamente inquinava la società era contrastato severamente, Le mezzane e le madri che favorivano la prostituzione delle figlie erano condannate al taglio del naso, Alla stessa pena era sottoposta l’adultera a opera del marito, Se poi questi non si fosse voluto vendicare, l’adultera doveva essere pubblicamente flagellata e all’adultero venivano confiscati tutti i beni.

Frequente e dannoso doveva essere il consumo di stupefacenti, se Ruggero ritenne di punire con la morte gli spacciatori e i possessori di quelle sostanze, Soggetti a pena erano pure i fabbricanti di filtri amorosi, quei, pocula amatoria cui, insieme a pratiche magiche e stregonesche, faceva ampiamente ricorso la gente di qualsiasi condizione sociale. Come già nella legislazione barbarica, Ruggero mantenne i rigori contro le falsificazioni che minavano la fiducia nei rapporti all’interno della società, Erano infatti puniti con pena di morte i falsificatori non di lettere e sigilli reali, ma anche di testamenti o di altri atti pubblici, così come pure coloro che avessero indotto dei testimoni a giurare il falso, con una disposizione innovativa largamente anticipatrice rispetto a quanto disporrà Federico II nelle sue costituzioni, Ruggero, al chiaro fine di proteggere i sudditi dall’imperizia dei medici, subordinò l’esercizio della professione medica a un esame degli aspiranti da parte dei suoi funzionari, pena il carcere o la confisca di tutti gli averi.

Molto attento e molto severo fu Ruggero nella difesa della religione cattolica, tanto da dedicarvi ben tredici Assise. Ciò si spiega non solo con quel sentimento di intima pietà religiosa che il sovrano normanno si compiaceva di manifestare, ma anche e soprattutto per un triplice motivo politico: perché, come già accennato, la promotio regia aveva riaffermato l’avvassallamento alla Chiesa; perché una tale difesa era ostentata come elemento essenziale delle prerogative regie al fine di renderne implicitamente manifesta la derivazione divina; infine perché ai suoi occhi, eretici, sacrileghi, bestemmiatori e profanatori del sacro erano riguardati come pericolosi attentatori di qualsiasi autorità e gerarchia non soltanto ecclesiastica, Con massima severità furono ovviamente puniti i rei di lesa maestà, ma si riservò, con una scelta di politica criminale ritornata attuale ai nostri tempi, perdono e grazia a quei cospiratori e componenti di associazioni sovversive che si fossero dissociati svelando utilmente i piani criminosi. Ruggero non mancò di sanzionare corruzioni e abusi di funzionari e giudici, Secondando inoltre l’antica aspirazione al contraccambio, propria del principio del taglione, riservò la pena di morte ai giudici che avessero condannato a morte qualcuno soltanto perché indotti da un corruttore, Le Assise infine contengono anche norme processuali, Occorre però subito avvertire che quel certo garantismo implicito nell’esistenza stessa di tali norme, nella pratica fu frequentemente travolto in nome di vere o presunte esigenze di esemplarità, immediatezza e sicurezza interna.

Quanto alla derivazione s’è già fatto cenno alla varietà di fonti cui hanno attinto le Assise, Assolutamente preponderante è la fonte romana, anche se va rimarcato che i testi giustinianei inseriti nelle Assise risultano spesso manomessi con varianti che portano a significative alterazioni del significato o risultano comunque utilizzati per rispondere a esigenze e finalità nuove o diverse da quelle originarie, Basti constatare il mutamento di significato impresso da una variante a un passo del Digesto utilizzato nella Assisa XXIX vaticana (Ruggero consente, più in linea con la tradizione germanica, l’uccisione del ladro quando non lo si sia potuto altrimenti fermare, laddove il diritto romano consentiva ciò soltanto per autodifesa). E basti ricordare ancora il diverso modo di sanzionare fattispecie penali riprese dal diritto romano.

Dall’Editto di Rotari deriva la disposizione che consente al marito di uccidere la moglie e l’adultero colti in flagrante adulterio e quella relativa all’ingiuria consistente nello strappo della barba. Di derivazione bizantina sono invece la previsione della nasi truncatio dell’adultera a opera del marito e talune espressioni del prologo, che vagamente ricalcano passi del proemio dell’Ecloga isaurica. Non mancano termini e concetti attinti dal diritto canonico come nel caso dell’ Assisa XIII nella parte in cui viene comminata la perdita dei diritti civili agli apostati dai voti religiosi e dell’Assisa XXI quando individua i concorrenti nel reato col termine comenlientes. Passi biblici sono poi richiamati nel prologo e nelle Assise XXVI e XXVI!. In conclusione possiamo dire che Ruggero nelle Assise delineò un’ organizzazione politico-costituzionale e dettò una normativa penale funzionale a un preciso disegno. Di più, può dirsi che nelle Assise sono rinvenibili i primi elementi relativi ai poteri e all’organizzazione dello stato, dalla cui astrazione qualche secolo più tardi nasceranno le teorizzazioni sulla sovranità. In quale misura Ruggero sia poi riuscito a rendere concreto il suo disegno è difficile dire. Fin dall’origine la monarchia rimase infatti avvolta in contraddizioni interne che ne minarono la forza. La promotio regia rogeriana si accompagnò all’avvassallamento del regno alla Chiesa, che si richiamava direttamente al trattato di Ceprano del 1080 in cui Roberto il Guiscardo si dichiarava con giuramento fidelem di Santa Romana Chiesa promettendo di pagarle un censo annuale. Inoltre, nonostante la tendenza centralistica, la monarchia non riuscì a tenere completamente a freno la inquieta riottosità del baronaggio, istigato da impero e papato, e le ribellioni delle molte città dove già prima della conquista normanna si era andata sviluppando una qualche tendenza autonomistica. Nel regno normanno dovettero in definitiva convivere principi e fenomeni tra loro in contrasto, espressioni a un tempo del vecchio che resisteva e del nuovo che stentava a emergere: il concetto di stato sovrano e il particolarismo di una feudalità riottosa, la indubbia tendenza all’assolutismo e la effettività del peso politico del baronaggio. Tutto ciò non consente di ricorrere a generalizzazioni, non dà l’immagine di una struttura costituzionale cristallizzata, nonostante le enunciazioni normative e le intenzioni rogeriane, ma piuttosto di comportamenti condizionati dalle alterne vicende del rapporto tra la monarchia e le altre componenti del regno. Ma su questo sfondo di precarietà e instabilità di rapporti un tratto emerge nitidamente nella sua originalità: in uno stato che continuava a fondarsi sull’istituzione feudale Ruggero seppe ricondurre la legittimazione di ogni potere alla propria maiestas e così spezzare quella contaminazione tra proprietà e sovranità che ovunque pesantemente caratterizzava lo stato feudale. L’istituzione di magistrature di nomina regia, dislocate su tutto il territorio del regno, con funzioni giurisdizionali e fiscali, in questa direzione fu un’innovazione di grandissimo rilievo. E nel giudizio storico sul fondatore della monarchia meridionale e sulla sua opera legislativa, superate certe esaltazioni consolidatesi nella storiografia per antica tradizione non insensibile spesso a contingenti esigenze politiche, non può oggi non risaltare la sua indubbia capacità di segnare, con larga anticipazione, una tappa significativa nella genesi dello stato moderno.

Bibliografia: BRANDILEONE, 1884; CASPAR, 1904; SESTA, 1901; CHALANDON, 1907; NIESE, 1910; JAMISON, 1938; MONTI, 1940; CARAVALE, 1966; SCHMTNCK, 1970; MARONGIU, 1973; ZECCHINO, 1980; TRAMONTANA, 1983; ZECCHINO, 1984; ZECCHINO, 1986; CUOZZO, 1989c.

Ortensio Zecchino

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