Alta Terra di Lavoro

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Quando le donne a Napoli vendevano i capelli per sfamarsi

Posted by on Lug 5, 2016

Quando le donne a Napoli vendevano i capelli per sfamarsi

inutile pronunciare altre parole ma invito tutti gli italiani nati a napoli di leggere con molta attenzione quanto segue e riflettete.

 

TESTIMONIANZE STORICHE / Dal Trovatore del 1873, quando le donne a Napoli vendevano i capelli per sfamarsi

 

Una testimonianza di cronaca, che sembra tratta da un romanzo, scovata sul Trovatore, “giornale del popolo”, trisettimanale tenacemente borbonico e cattolico in un tempo in cui, i primi anni ’70 del XIX secolo, era sconveniente sia la fedeltà alla casata gigliata che quella al Papa. Basterebbe questa capacità di andare in “direzione ostinata e contraria” per farci provare molta simpatia verso gli anonimi giornalisti del Trovatore. Questo breve articolo che vi riproponiamo ha colpito la nostra attenzione, perché sembra essere uscito da un romanzo di Victor Hugo, con la differenza che una dei personaggi chiave dei Miserabili, Fantine, dovette vendersi i denti per sfamare sua figlia Cosette, in questo caso però grazie alla generosità dei napoletani, una “avvenente ragazza” non dovette sacrificare, almeno momentaneamente, la sua chioma. Qualcuno potrebbe obiettare che riproponiamo una storia presa da un giornale borbonico per criticare il neonato stato italiano. Certamente la fonte è di parte, come di parte è la storia e le storie che ci raccontano la storia sul cosiddetto risorgimento e su Napoli. Oggi come ieri. E allora ogni tanto è bene guardare anche l’altra faccia della luna. Riguardo però al regresso civile ed economico, che si ebbe nelle “province napoletane” e specie a Napoli dopo il fatal 1860, ci sono numerose fonti, spesso insospettabili di essere solidali del “cessato governo”. Scrive, infatti, Jessie White Mario (che aveva seguito Garibaldi durante la sua conquista delle Sicilie) in “La miseria a Napoli”, pubblicato nel 1877, che Il Real Albergo dei Poveri nel 1835, quando regnava il tanto calunniato Ferdinando II, ospitava 6310 poveri ben nutriti, ai quali veniva insegnato un mestiere e funzionava anche la celebre scuola per i sordo-muti. L’inglesina visita l’Albergo dopo la “liberazione” e denuncia lo squallore in cui vivevano i poveri, i quali avevano anche meno cibo rispetto ai tempi della “tirannide”, nonostante fosse aumentata la rendita a disposizione dell’istituto e contemporaneamente diminuito il numero degli ospiti. Misteri italiani ancora oggi ben presenti nella nostra quotidianità e ovviamente insoluti! Ancora più avvilente la situazione dei sordo-muti essendo stata chiusa la loro scuola dal ministro Scajola nel 1871. Un’altra considerazione, l’articolo che vi proponiamo risale al 1873, anni caratterizzati da una fortissima pressione fiscale, chissà forse Quintino Sella diceva “ce lo chiede l’Italia”, fatto sta che da lì a pochi anni, non avendo più cosa vendere, milioni di italiani partiranno “pe terre assaje luntane”. Era il loro stomaco che li guidava altrove, evidentemente è meglio morire annegati che di fame. Ieri come oggi!

Vincenzo D’Amico

Miseria ed onestà Ecco una scena per dimostrare a quel punto di miseria e di disperazione i provvidi sistemi finanziari dei rigeneratori del 1860 abbiano gittato il nostro popolo. Or sono più giorni, in un Salone da parrucchiere entrarono due donne; l’una di età matura, e l’altra giovanissima; un diciotto anni appena! Dimessi e meschini i loro volti dimostravano, che non erano di bassa condizione sociale.

La giovanetta, avvenente oltremodo, possedeva il tesoro più bella di una donna: una folta e lunga capigliatura, che in bellissime trecce le coronava il capo. La madre chiamò a sé il parrucchiere in disparte, parlavano sotto voce, quando costui esclamò: è un peccato povera ragazza! Allora un signore, che era là per pettinarsi dimandò, di che si trattasse, e seppe, che quella povera creatura voleva… vendere i suoi capelli!!!

Fu un fremito, che colse quanti erano nel salone, ed ai rimproveri fatti alla madre; costei rispose: – non abbiamo più cosa vendere, il lavoro nelle nostre mani è scarso, e non risponde più ai più stretti bisogni, che sono le stesse privazioni della vita; dobbiamo prendere in fitto una stanzuccia e bisogna pagare il padrone di casa.

Non restano che i capelli, l’ultimo tesoro di questa povera figlia; essa li vende a soccorrere alla sua onestà! I capelli torneranno a crescere, ma… E qui la poveraccia piangeva mentre la giovinetta nascondeva il volto tra le mani… e piangeva essa pure.

Un altro parrucchiere aveva apprezzato quei capelli 25 lire!!! – La meschina ne chiedeva almeno 40! Immediatamente, coloro che si trovavano nel salone, riunirono le 40 lire e le offrirono a quelle disgraziate!

Lasciamo di descrivere come sul volto della povera fanciulla brillasse il contento nel veder salvato il tesoro dei suoi capelli !!! Quintino Sella – ai tempi della barbarie lunghe e colte trecce di capelli delle nostre donne si recidevano solo quando morivano; e non andavano nelle mani di un parrucchiere. Esse erano religiosamente conservate come reliquie dai parenti.

La fame!!! Ecco il pane si dispensa al popolo. La fame che conduce al disonore e al suicidio! Ma non tutte le ragazze possono vendere i loro capelli ! … Ridete, o consorti gaudenti !!!

Il Trovatore, anno VIII. – N. 23 – sabato 23 febbraio 1873, p. 2

 

a-capera

 

 

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