Le due anime di Don Liborio Romano
Non si può parlare del Risorgimento Meridionale e del crollo del Regno di Napoli senza accennare, anche se brevemente, a Don Liborio Romano. Avrebbe potuto salvare la Dinastia, forse non volle. O non poté, per non essere l’unico consigliere di un sovrano troppo giovane, troppo debole, troppo irresoluto. Fu detto “un mistero avvolto in un enigma”: liberale con i liberali, borbonico e lealista con il Re. Corrispondeva segretamente con Cavour e Persano e proclamava nello stesso tempo la sua fedeltà alla Dinastia: l’unico a poterla salvare, ambiva fosse indicato. Riuscì, senza soluzione di continuità, ad essere ministro di Francesco II e, subito dopo, di Garibaldi. Il giudizio degli storici legittimisti è aspro: traditore per il severissimo De Sivo. Per il popolino napoletano, legato a Franceschiello, sbrigativamente e spregiativamente “il paglietta”, e cioè l’avvocaticchio arruffone e imbroglione. In effetti assicurò il trapasso tra il vecchio ordine e il nuovo, risparmiando a Napoli, almeno relativamente, il disordine e l’anarchia. Fu il solo a contrastare apertamente, e spesso con successo, l’onnipotente e prepotente Bertani. Ebbe molti dei pregi e dei difetti dei meridionali: intelligenza, duttilità, scaltrezza, non grande senso morale, estro, fantasia. Per descriverlo, lasciando da parte, almeno una volta, la caustica penna del De Sivo o quella irruenta, e non meno acre ed amara, dell’impetuoso cappellano del 90 Cacciatori, Don Giuseppe Buttà, vale riportare due brani di suoi scritti e discorsi: del “memorandum” diretto a Francesco negli ultimi suoi giorni nella Capitale e dell’indirizzo rivolto a Garibaldi, il 7 settembre, all’arrivo alla stazione a Napoli. E, a conclusione, l’epigrafe (un vero e proprio ritratto in miniatura, da far impallidire d’invidia Litton Strachey) che per lui dettò Giovanni Bovio.
Il “memorandum” a Francesco II
“Che V.M. si allontani per poco dal suolo e dalla Reggia dei suoi Maggiori; che investa di una reggenza temporanea un Ministero forte, fidato, onesto, a capo del quale sia preposto, non già un Principe reale… ma bensi’ un nome cospicuo, onorato, da meritare la piena confidenza della M.V. e del Paese”.
“indirizzo” a Garibaldi
“Signor Generale, voi vedete al vostro cospetto un Ministero che ricevette il suo potere da Francesco II. Noi lo accettammo come sacrificio dovuto alla Patria. L’accettammo in momenti difficilissimi, quando il pensiero dell’Unità italiana sotto Vittorio Emanuele era diventato onnipotente… per mantenere la pubblica tranquillità e preservare lo Stato dall’anarchia e dalla guerra civile… Noi depositari del potere, cittadini e italiani anche noi, lo trasmettiamo confidenti nelle vostre mani, certi che indirizzerete questo paese al nobile scopo… che è nel cuore di tutti: Italia e Vittorio Emanuele”.
L ‘epigrafe di Bovio
DA XXIV ANNI
O LIBORIO ROMANO
LA STORIA
PENDE IRRESOLUTA
SUL TUO NOME
MINISTRO POSTREMO
DEL CADENTE BORBONE DI NAPOLI
ADDITAVI L’ESILIO AL TUO’ RE
E APRIVI LA REGGIA AL DITTATORE
INERME
CUSTODE DELLE AUTONOMIE
REGIONALI
E BANDITORE D’UNA ITALIA
FEDERATA
ACCETTAVI L’UNITÀ
SENZA PROTESTA SENZA CONDIZIONI
E DAL VECCHIO AL NUOVO
PRINCIPATO
PASSAVI
COME SE DUE ANIME
TI POSSEDESSERO
E DUE LEGGI MORALI
MA LE TRONCATE INSIDIE DI CORTE
LA SERVATA INCOLUMITÀ PUBBLICA
E IL DIRITTO NAZIONALE
CHE D’UNA IN ALTRA METROPOLI
CERCAVA ROMA
TESTIMONIANO
CHE I PECCATI TUOI
FURONO I DESTINI DELLA PATRIA
di Ludovicvo Greco
da: “Piemontisi, Briganti e Maccaroni”, Guida Editore, Napoli, 1975
fonte
brigantaggio.net