Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Le Due Sicilie prima dell’unità

Posted by on Mag 10, 2021

Le Due Sicilie prima dell’unità

Le Due Sicilie erano lo stato italiano preunitario più esteso territorialmente e comprendevano tutto il Sud continentale d’Italia, l’Abruzzo, il Molise, la parte meridionale del Lazio e la Sicilia, nel 1860 vi erano poco più di nove milioni d’abitanti.

Era diviso in 22 province di cui 15 nel Sud continentale e 7 in Sicilia: Napoli e la sua provincia; Abruzzo Citeriore con capoluogo Chieti; Primo Abruzzo Ulteriore con capoluogo Teramo; Secondo Abruzzo Ulteriore con capoluogo L’Aquila; Basilicata con capoluogo Potenza; Calabria Citeriore con capoluogo Cosenza; prima Calabria Ulteriore con capoluogo Reggio; Seconda Calabria Ulteriore con capoluogo Catanzaro; Molise con capoluogo Campobasso; Principato Citeriore con capoluogo Salerno; Principato Ulteriore con capoluogo Avellino; Capitanata con capoluogo Foggia; Terra di Bari con capoluogo Bari; Terra d’Otranto con capoluogo Lecce; Terra di Lavoro con capoluogo Capua e poi Caserta; in Sicilia i capoluoghi di provincia erano: Palermo, Trapani, Girgenti (Agrigento), Caltanisetta, Messina, Catania, Noto.

La storia delle Due Sicilie era cominciata nel lontano 1130 con i Normanni e il loro sovrano Ruggero II, il regno durò 730 anni, i suoi confini rimasero in pratica invariati e comprendevano comuni che avevano spesso origine greca. Le dinastie che si susseguirono ebbero origini straniere e questo avvenne per l’oggettiva incapacità di generarne una propria ma occorre rilevare che i loro sovrani divennero in breve dei Meridionali a tutti gli effetti, assumendone la lingua e le usanze, i primi re furono, dunque, i Normanni (1130-1194), seguiti dagli Svevi (1194-1266), dagli Angioini (1266-1442) e dagli Aragona (1442-1503); a loro subentrarono gli Spagnoli (1503-1707) e poi gli Austriaci per solo ventisette anni (1707-1734); i più importanti sovrani delle varie casate furono nell’ordine: Ruggero II d’Altavilla , Federico II di Svevia, Carlo I d’Angiò, Alfonso I d’Aragona e il vicerè spagnolo Pedro de Toledo. Nel 1734 la Spagna rioccupò il Regno strappandolo agli Asburgo e iniziò l’era borbonica con i suoi re Carlo (1734-1759), Ferdinando I (1759-1825), Francesco I (1825-1830), Ferdinando II (1830-1859) e Francesco II (1859-1861).

Carlo, figlio di Filippo V, re di Spagna, e di Elisabetta Farnese, entrò in Napoli il 10 maggio 1734 restituendo alla Nazione la piena indipendenza, sotto uno scettro “che unisce ai gigli d’oro della Casa di Francia ed ai sei d’azzurro di Casa Farnese le armi tradizionali delle Due Sicilie: il cavallo sfrenato, vecchia assise di Napoli e la Trinacria per la Sicilia”[1]; l’incoronazione di Carlo si celebrò nel duomo normanno di Palermo nel 1735, a testimoniare la continuità della monarchia meridionale nata nello stesso luogo nella notte di Natale del 1130 con Ruggero II.

Nella successiva guerra contro l’Austria, del 1744, si può vedere dal comportamento dell’esercito, guidato dallo stesso Carlo e vittorioso a Velletri, quanto fosse sentita la necessità di un re delle Due Sicilie. “Amico, cominciamo anche noi ad avere una patria, e ad intendere quanto vantaggio sia per una nazione avere un proprio principe. Interessianci (interessiamoci, ndr) all’onore della nazione. I forestieri conoscono, e il dicono chiaro, quanto potremmo noi fare se avessimo miglior teste. Il nostro augusto sovrano fa quanto può per destarne[2].

L’opera dei sovrani della dinastia borbonica fu, per molti versi, meritoria, con loro il Sud non solo riaffermò la propria indipendenza ma ebbe un indiscutibile progresso dell’economia. Grazie a ciò, all’epoca dell’ultimo re, Francesco II, l’emigrazione era sconosciuta, le tasse molto basse come pure il costo della vita, il tesoro era floridissimo per non parlare poi dello sviluppo culturale che fece contendere a Napoli la supremazia culturale europea di Parigi; nel 1861 la percentuale dei poveri nel Sud era pari al 1.34% (come si ricava dal primo censimento ufficiale) in linea con quella degli altri stati preunitari.

La rappresentazione del Mezzogiorno come un blocco unitario di arretratezza economica e sociale non trova fondamento sul piano storico ma ha genesi e natura ideologiche. I primi a diffondere giudizi falsi sugli inferiori coefficienti di civiltà su quell’area sono gli esuli napoletani che, nel decennio 1850-1860, con la loro propaganda antiborbonica non solo contribuiscono a demolire il prestigio e l’onore della Dinastia, ma determinano anche una trasformazione decisiva nell’immagine del Sud”.[3]

La storiografia ufficiale continua ancora oggi a sostenere che, al momento dell’unificazione della penisola, fosse profondo il divario tra il Mezzogiorno d’Italia e il resto dell’Italia: Sud agricolo ed arretrato, Nord industriale ed avanzato. Questa tesi è insostenibile a fronte di documenti inoppugnabili che dimostrano il contrario ma gli studi in proposito, già pubblicati all’inizio del 1900 e poi proseguiti fino ai giorni nostri, sono considerati, dai difensori della storiografia ufficiale: faziosi, filoborbonici, antiliberali e quindi non attendibili “[4]

Dopo la caduta del regno del Sud al coro di lagnanze degli esuli rientrati in Patria si aggiunsero anche gli uomini che avevano servito i Borbone e, come faceva rilevare Francesco Saverio Nitti ai primi del 1900: “Una delle letture più interessanti è quella dell’Almanacco Reale dei Borboni e degli organici delle grandi amministrazioni borboniche. Figurano quasi tutti i nomi di coloro che ora esaltano più le istituzioni nostre [del regno d’Italia] o figurano, tra i beneficiati, i loro padri, i loro figli, i loro fratelli, le loro famiglie[5].

In realtà la “Questione meridionale”, tutt’oggi irrisolta, nacque dopo e non prima dell’unità.

Persino un ufficiale piemontese, il conte Alessandro Bianco di Saint-Joroz, capitano nel Corpo di Stato Maggiore Generale, scrisse nel 1864 che “Il 1860 trovò questo popolo del 1859, vestito, calzato, industre, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia, tutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso è l’opposto. La pubblica istruzione era sino al 1859 gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali di ogni provincia. Adesso veruna cattedra scientifica……Nobili e plebei, ricchi e poveri, qui tutti aspirano, meno qualche onorevole eccezione, ad una prossima restaurazione borbonica[6]

La popolazione dai tempi del primo re della dinastia borbonica Carlo III (1734) a quelli di Ferdinando II (1859) si era triplicata ad indicare l’aumentato benessere (è chiaro che si parla di livelli di vita relativi a quei tempi quando il reddito pro capite in Italia era meno di un quarantesimo di quello di oggi e molte delle comodità attuali erano inesistenti), la parte attiva era poco meno del 48%.

La politica economica dei sovrani meridionali fu improntata a migliorare l’agricoltura che rappresentava l’attività prevalente nel Sud, come nel resto d’Italia e di gran parte d’Europa, favorendo, inoltre, lo sviluppo della prima industrializzazione degli stati preunitari italiani, dell’artigianato e del commercio.

Dal censimento ufficiale del 1861 si deduce che, al momento dell’unità, le Due Sicilie, pur costituendo il 36.7% della popolazione totale italiana, davano impiego nell’industria ad una forza-lavoro pari al 51% di quella complessiva degli stati italiani[7]: cantieristica navale, industria siderurgica, tessile, cartiera, estrattiva e chimica, conciaria, del corallo, vetraria, alimentare. All’inizio del processo di industrializzazione fu necessario, per permettere alle giovani fabbriche nazionali di raggiungere un livello competitivo, un sistema di protezioni doganali, analogo a quello esistente in altri Stati; il “protezionismo” fu poi gradualmente mitigato dal 1846, l’obiettivo, in quel momento, era di inserire l’industria, ormai matura, nel meccanismo del commercio europeo, si strinsero, quindi, numerosi trattati commerciali. 

Il Portale del Sud

Le monografie storiche di Giuseppe Ressa

http://www.nazionali.org/sud/storia/ressa_2s.html#_Indice_delle_monografie

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