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Le guarattelle, origini, mito e rito

Posted by on Set 16, 2016

Le guarattelle, origini, mito e rito

Le guarattelle non si sa quando nascono.

A Napoli nel 1600 esistevano, se ne parla la prima volta come di qualcosa che è sempre esistito.

Se si gira per il mondo si trovano personaggi con lo stesso carattere, storie simili e spesso la stessa voce misteriosa per il personaggio principale e talvolta per tutti i personaggi dello spettacolo (pivetta, swazzle, pratique, piska, safir, amena) con Pulcinella, Punch, Polichinelle, Don Cristobal, Don Roberto, Jan Glas, Kaspar, Kasperek, Gasparko, Vasilech, Vitez Laslo, Petruska, Aragoz, Karagoz, Karaghiosis, Ibish, Mubarak, Amar Singh Rator, Chin Mut Chon, Sun Wu Kong, Anuman, Doni Donkili Bambara, … Benedito,…

Quali le origini e attraverso quali canali la diffusione?

Sicuramente in Europa Napoli è stato un centro di diffusione delle guarattelle, ma da Napoli sono partite per andare in Oriente, in Cina e tra i Maja in Guatemala? E se non può essere così come sono arrivate a Napoli?

In alcune realtà è più evidente l’origine magico-rituale di questo spettacolo e del personaggio “Pulcinella”. Si può dire che questo personaggio è un trans, un medium tra l’uomo e Dio, tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, tra il mondo degli uomini e il mondo delle donne come nei rituali del Bambarà, tra il conosciuto e l’ignoto e lo spettacolo diventa così un rituale di passaggio che permette una crescita, il passaggio da uno stato dell’essere all’altro, come nei rituali che sanciscono il passaggio dal bambino all’adulto, un rapporto tra mondi diversi.

In effetti Pulcinella sembra appartenere alla categoria dei cosiddetti “buffoni divini”, che esistono in molti rituali primitivi ed antichissimi e che hanno la funzione di essere trans con il mondo ignoto delle divinità, con tutti i rischi che un trans di tipo pulcinellesco può comportare. Un personaggio simile ad Anuman dell’isola di Bali lo si ritrova nelle festività del Bambarà in Mali ed è Gonfarinmen, simile nel candomble brasiliano il personaggio di Axe.

La cosa molto strana è che questo personaggio non è un saggio, ma il contrario del saggio, che può essere dispettoso e farti scivolare in situazioni poco simpatiche, ma senza questo guizzo di stupidità sembra impossibile avvicinarsi alla conoscenza della verità. La “conoscenza” della verità implica una stasi che impedisce il prosieguo della ricerca, diventa un sistema di potere che blocca il cammino.

La fiaba del re nudo è emblematica.

Pensate che Einstein poteva scoprire la teoria della relatività senza un guizzo di follia/stupidità? Che Mozarth poteva creare la musica che ha creato se non fosse stato un po’ stupidino? Giordano Bruno nella “Cabala del Cavallo Pegaseo” elogia la Santa Asinità ed Erasmo da Rotterdam elogia la follia. E’ solo ironia?

Questa caratteristica spiega il carattere eversivo di questo spettacolo e la censura o persecuzione che spesso subisce dal sistema di potere, chiesa, dittatura.

(a volte il sistema di potere ha utilizzato il linguaggio di questo personaggio snaturandone il carattere e utilizzandolo per forme di propaganda, come è avvenuto con Kasperl nella Germania nazista, e questa è la peggiore forma di censura)

Ritornando alla funzione antica, primitiva, in questa funzione rituale il burattinaio diventa una sorta di sacerdote-sciamano che officia il rito e ne permette così l’efficacia in tutte le sue efficienze, in tal modo perde il suo potere interpretativo per diventare una sorta di servo del personaggio che acquista in tal modo una forza propria, autonoma dal manovratore. Solo questo permette la riuscita del rito e la sua efficacia catartica. Il vero artista nega se stesso nell’opera d’arte e ciò che realizza non gli appartiene, l’opera d’arte diviene un dono di “Dio” non solo per il pubblico ma per lo stesso artista. Ci può aiutare la storia a capire meglio questa teoria? Che in effetti è anche una pratica in alcuni spettacoli, soprattutto quelli che avvengono in situazioni particolari (pubblico popolare, bambini, teatro di protesta).

In realtà non si sa nulla dell’origine, nel 1600 se ne parla come di qualcosa che è sempre esistito. La prima immagine conosciuta di questa forma teatrale è del 1300, ma appare un sacerdote burattinaio nel 500 in una incisione maja in Guatemala. Ne parla Erodoto riferendosi a processioni religiose, soprattutto dell’aria medio-orientale e dell’Egitto. Secondo alcuni studiosi turchi e greci questo teatro nasce (vedi il programma del Simposium su Pulcinella a Istanbul del 6 maggio del 2009) in India come fenomeno legato allo sciamanismo e soprattutto a rituali di fertilità, dove spesso il personaggio è simbolo fallico o usa simboli fallici. E da li passa in Egitto (Aragoz), dall’Egitto in Turchia e poi in Grcia e perché no anche a Napoli . A Napoli esistono ancora riti di fertilità con forte presenza di simboli fallici, in epoca antica erano tollerati riti di origine “egiziana” e ancora adesso ci sono molti santuari dedicati a madonne nere, che spessissimo hanno tratti indiani, dove vi sono danze con forti connotazioni dionisiache e riferimenti fallici. In Anatolia sopravvivono ancora rituali di passaggio (soprattutto dall’infanzia al mondo degli adulti) legati alla fertilità che vengono effettuati solo tra uomini, dove uomini vestiti di bianco e col mezzo volto colorato di nero partoriscono. Lo stesso rituale sopravvive nei carnevali dell’area napoletana con Pulcinella, in Ecuador, in una comunità africana nata da un naufragio e che per secoli non ha avuto rapporti con le altre comunità del continente americano, resiste una festa con caratteri simili tra soli uomini. La tradizione del Mamulengo brasiliano ha forti legami con la tradizione persiana. Vanno capiti meglio i rituali che esistono nel mondo dei “femminielli” napoletani, le scene di parto che rappresentano tra di loro in alcune occasione, la tombola.

Le ipotesi storiche sulle origini e sugli spostamenti di Pulcinella ce ne confermano il carattere e la funzione rituale.

Guardando con gli occhi attenti quello che la storia ci restituisce, che è lo spettacolo tradizionale di guarattelle (il più antico in Europa) questi elementi li si ritrova.

L’uso della voce particolare ottenuta con la pivetta è una caratteristica costante ed è un elemento fondamentale perché questa voce favorisce il trans, rafforza enormemente la vita autonoma del personaggio, indispensabile perché il trans si verifichi. E’ probabile che il nome Pulcinella sia nato dopo la nascita del personaggio dalla caratteristica voce, o forse no, se Pulcinella deriva da Orus, il Dio uccello egiziano, come dicono alcuni.

“Il trans per attraversare uno stadio”, da qui la forte associazione con l’idea della morte, passaggio necessario perché la vita continui.

Pulcinella, maschera nera, vestito bianco, muore per rinascere. Pulcinella come simbolo di morte è il seme, il seme che viene interrato come un morto perché possa germogliare in primavera, e perciò è anche simbolo di vita nella sua essenza primordiale, nel suo principio base, dove ha inizio la vita, perciò Pulcinella rappresenta la voglia di vivere.

Dalla struttura dello spettacolo si evidenzia il carattere e il valore simbolico degli altri personaggi.

Innanzitutto Teresina, la sua fidanzata, senza la quale Pulcinella non può esistere. Teresina è la base della vita. Come Pulcinella è il principio vitale, la voglia di vivere, l’inizio primordiale del movimento vitale, Teresina è la terra, la materia nella quale il movimento vitale può avvenire. La danza diventa un rituale introduttivo dove si esprime l’inizio e la fine di tutta l’azione. Anche dal punto di vista musicale Teresina è il basso, il tamburo, il battito del cuore, senza il quale Pulcinella, rullante e tromba, melodia, canto, non può esistere. Una musica senza bassi è come una vita senza cuore. Poi ha inizio lo spettacolo con una serenata: un canto d’amore che rappresenta il desiderio vitale, la voglia del seme di incontrare la terra.

E qui comincia l’azione perché sulla scena giunge qualcosa che vuole impedire questo processo.

Il cane: essere mostruoso che rappresenta tutto ciò che in natura può fermare il processo vitale. Il cane è la belva, il drago ma può rappresentare anche l’esplosione di un vulcano, un terremoto,una tempesta, un’alluvione. Aria, acqua, terra e fuoco che si muovono contro l’uomo per impedirne la vita. La natura in realtà è amica ma anche nemica e il compito è vincerne la paura e dominarla.

Il gioco con il cane è un gioco per dominare le paure che ci vengono dalla natura.

Ci sono comunque aspetti misteriosi di questo personaggio che lo collegano al mondo dei morti. Nella tradizione russa il cane termina lo spettacolo portando Petruska all’inferno. In alcune tradizioni il cane è sostituito dal coccodrillo (Inghilterra, Francia, Germania), ma è strano che invece in Egitto (Aragoz) sia il cane il personaggio usato. Invece in Brasile il cane sembra adeguarsi alle tradizioni dei nativi perché diventa serpente, anaconda. In realtà il burattino è sempre lo stesso e contiene in se tutte le valenze e le ambiguità da farlo essere cane-mostro-coccodrillo-serpente-dragone.

Dopo il cane viene a impedire il canto di Pulcinella il guappo: questo è l’uomo cattivo, il proprio fratello che vuole la nostra morte per esercitare il proprio potere. E’ la storia di Caino e Abele. Rappresenta tutto il male che ci può venire dall’uomo. La guerra. La guerra nasce tra fratelli. La storia della bibbia è una storia di guerre tra tribù, e le tribù nascono da capostipiti che sono fratelli, una guerra che continua tragicamente ancora oggi. E’ la violenza che si subisce nel mondo di oggi. La rapina. La lotta contro il guappo è la lotta contro tutte le guerre e tutte le violenze.

Quando Pulcinella riesce a vincere questo principio ne arriva un altro per impedirgli il canto:

il carabiniere: che vuole arrestarlo e condurlo in galera, con le sue varianti che sono il monaco e il boia. Questo rappresenta il potere dello stato nella sua funzione punitiva. Non è più il fratello cattivo ma il padre che esercita il suo potere nella forma punitiva, che nella sua massima espressione implica la morte del figlio disubbidiente e quindi la soppressione del principio vitale. Pulcinella non ha morale e non ha il senso dello stato, perché il principio vitale nella sua essenza primordiale rifugge da ogni regola, e combattendo il carabiniere afferma la propria voglia di vivere a dispetto di tutto.

Ma rimane un elemento difficile da sconfiggere che è la paura delle paure:

La morte:

Pulcinella riesce a prendersi gioco, a giocare con la morte al punto da allontanarla da se e rimandare la sua venuta. E’ soprattutto lo sberleffo l’arma segreta che sconfigge la morte.

Lo spettacolo termina con il matrimonio con Teresina e la tarantella finale che rappresentano il raggiungimento dello scopo finale, la realizzazione del desiderio, l’unione tra la voglia di vivere e la vita attraverso l’unico modo possibile: l’amore.

Ci sono intorno a questa sequenza moltissime varianti e scene che caratterizzano in maniera ancora più forte Pulcinella come la scena del parto dove Pulcinella si esprime nella sua massima potenza vitale perché è lui stesso a generare vita:

Fallo in grado di far figli: La scena ha forte valore rituale, espressione massima della fertilità, che è l’unica cosa in natura a garantire la continuità della specie e quindi della vita.

Una cosa importantissima è che lo spettacolo ha un valore rituale, cioè serve a creare un passaggio, e i personaggi hanno pertanto un forte valore simbolico, non sono mai rappresentazione di fatti reali, anche se il pubblico nel proprio immaginario può collegarli a fatti reali, ma in una funzione catartica, dove la realtà attraverso una trasformazione simbolica perde la sua potenza distruttrice, viene simbolicamente vinta, superata, ma soprattutto viene sconfitta la paura che quella realtà ci incute. In questo senso si può dire che la belva, il prepotente, il potere nella rappresentazione dei burattini diventano la paura della belva, la paura del prepotente, la paura del potere, quindi qualcosa che non è fuori di noi ma dentro di noi.

Perciò lo spettacolo è un rituale, un rituale che ci permette di superare queste paure e affrontare così con maggiore serenità gli ostacoli reali.

Da qui scaturisce quel forte potere liberatorio catartico che il burattino riesce a trasmettere.

L’azione violenta del burattino è in genere un’azione liberatoria che scatena riso, allegria. Naturalmente in questo processo occupa un posto importante il modo in cui viene fatto lo spettacolo, la cosiddetta “tecnica”, un modo di recitazione espressivo, realistico, nega questo processo, vanifica la forza simbolica dei personaggi e il valore rituale dello spettacolo.

Lo spettacolo dei burattini è astratto, surreale, metafisico e quando meno il burattinaio è protagonista, nella recitazione e nel movimento, tanto più prende forza il burattino.

Cosa significa questo valore rituale dello spettacolo di burattini nel lavoro con l’infanzia?

Lo spettacolo di burattini non ha una funzione didattica, non ha un valore strettamente pedagogico.

Rappresenta un rito, il rito sancisce e accompagna un passaggio tra uno stato e l’altro e avviene attraverso il superamento delle paure che possono bloccare il passaggio. La funzione del rito è vanificare le paure. Lo spettacolo di Pulcinella col cane e la morte gioca con alcune paure forti dei bambini e attraverso il gioco aiuta il superamento di queste paure. Il passaggio da uno stato di paura al suo superamento è un processo che è alla base del processo di conoscenza e rappresenta un forte momento di crescita del bambino, una verifica delle proprie paure. A volte ci sono insegnanti che fanno una censura su questo perché dicono che lo spettacolo è troppo violento, oppure che non bisogna spaventare i bambini con alcuni argomenti. Questo tipo di censura può essere molto pericolosa perché crea i tabù e i tabù hanno un forte potere attrattivo, in tal modo la censura può avere un effetto contrario, anziché proteggere il bambino da una paura finisce col dare forza e potere a questa paura perché diventa inesprimibile e quindi insuperabile. Il bambino viene attratto dalla paura e ne resta terrorizzato perché non ha modo di vederla, di giocarci su, di farci dell’ironia.

Naturalmente anche qui il gioco è molto delicato, soprattutto tra i tre e i cinque anni, e conta molto la sensibilità e la capacità di ascolto di chi conduce un gioco di burattini con i bambini.

In ogni caso va evitata la censura, per il bambino particolarmente spaventato è più rassicurante l’affetto, il senso protettivo che non nega la paura ma protegge il bambino nell’attesa di crescere e sconfiggere la paura. Anche il bambino particolarmente spaventato può e deve partecipare al rito, con la cura di dargli la massima protezione possibile, magari tenendolo in braccia, comunicandogli affetto, vicino alla porta di uscita o addirittura fuori dalla sala, da dove ha la possibilità di “spiare” stando in un luogo protetto.

Lo spettacolo di burattini diventa per questi bambini un rituale di passaggio molto importante che gli permette di affrontare una fase importante della loro crescita, quel passaggio che permette al bambino di passare da quello stadio indistinto dove non distingue il reale dall’immaginario e non ha coscienza di come essere agente, non è autonomo dal mondo degli adulti, ha ancora bisogno di sentirsi in simbiosi con la sua mamma, a quello stadio in cui comincia a scoprire la sua autonomia come essere agente, a capire che può scoprire il mondo anche da solo. E’ un passaggio che attrae il bambino ma che gli fa anche paura, sono i primi passi in un mondo che prima era il mondo che vedeva con le gambe della mamma. E’ una paura affascinante che attrae e che da un piacere immenso quando la si supera.

La stessa paura e lo stesso fascino si condensano nello spettacolo di guarattelle, soprattutto nelle scene del cane e della morte, che sono le più antiche, le più primitive ed ancestrali. Nel momento in cui Pulcinella scaccia il cane o la morte ci sono autentici scoppi di una fortissima gioia liberatoria e spesso la partecipazione si manifesta al momento con battute di mano e urla ritmate, che significano una partecipazione attiva, con tutte le parti del corpo, al momento rituale del passaggio. La liberazione dalla paura che impedisce il movimento vitale e la forte partecipazione diventano una specie di danza rituale collettiva dove il passaggio avviene, la paura è vinta, il principio vitale si afferma.

Lo spettacolo di guarattelle inteso in tal senso non può rientrare in un programma di apprendimento didattico, ma è essenziale al fine di una buona didattica perché libera le energie giuste che sono alla base dell’apprendimento. La voglia di vivere significa voglia di camminare, voglia di esplorare, voglia di conoscere, di scoprire il mondo senza averne più paura, che è alla base di qualsiasi apprendimento. Lo spettacolo di guarattelle non può essere inserito in un programma didattico, se non in maniera un po’ parziale, come per esempio fare disegni su ciò che si è visto, piccoli compiti o elaborazioni di altre storie, la sua funzione essenziale può essere invece quella di accendere delle micce che sono fondamentali perché un programma didattico possa realizzarsi nel miglior modo possibile.

Si capisce come possa essere assurda e negativa un’azione di censura su questo tipo di esperienza che è la visione di uno spettacolo di guarattelle. Quelle famose paure, che in realtà sono alla base di molti rifiuti e blocchi al processo di conoscenza, possono addirittura essere incrementate dalla censura e divenire fobie, con possibile insorgere di patologie psicologiche derivabili da queste fobie.

Se poi questo processo viene sviluppato attraverso laboratori dove i bambini sono protagonisti, artefici diretti di piccoli spettacoli, officianti del rituale, il processo di crescita del bambino, di sua maturazione, diviene sorprendente, quasi miracoloso.

Come esperienza diretta ho visto tantissimi bambini cambiare, diventare più maturi e soprattutto essere “scoperti” dal mondo degli adulti, nel momento in cui sono diventati gli artefici diretti di un piccolo spettacolo; improvvisamente questi bambini sembrano apparire per la prima volta come esseri diversi, con una propria forza autonoma, agli occhi degli adulti e dei loro stessi genitori.

In tal senso mi è capitata un’esperienza diretta che vale la pena di citare.

Un giorno ho fatto partecipare per la prima volta mia figlia, all’età di 7 anni, a uno spettacolo di burattini. Tutto avvenne nell’arco di una settimana e andammo in scena tra il sabato e la domenica. La settimana dopo mi avvicinò la sua maestra che ignorava questa cosa, quindi non aveva subito condizionamenti, e mi chiese cosa fosse successo a mia figlia, perché l’aveva vista cambiare nell’arco di un giorno, come se in quel giorno fosse maturata improvvisamente, la sua capacità di osservazione e di approccio allo studio fosse cresciuta di un anno. Effetto miracoloso di una partecipazione diretta al teatro dei burattini.

Questa esperienza non le aveva fornito un aumento del bagaglio di conoscenza ma l’aveva cambiata maturando la sua capacità di approccio alla conoscenza e all’apprendimento.

Per me è evidente come l’esperienza del teatro dei burattini vada inserita in un programma didattico non per accrescere la conoscenza ma per sviluppare la capacità di apprendimento.

Un programma didattico che giudica solo dai risultati è incapace di valutare questi aspetti, che dal punto di vista dei risultati concreti possono anche apparire effimeri ed inutili.

E’ l’inutile utilità del principio produttivo che non ha bisogno di soggetti pensanti ma solo di soggetti consumanti e “produttivi”.

Purtroppo per il sistema un buon pensatore può essere un cattivo consumatore e un inefficiente produttore di oggetti-consumo.

Ritornando al discorso del teatro delle guarattelle come rituale di passaggio, le stesse funzioni possono essere estese a qualsiasi età. E’ maggiormente evidente questo aspetto in quelle età e in quelle condizioni dove prevale l’idea del passaggio. Con gli adolescenti sono paure più attuali ad essere esorcizzate: le guerre, le situazioni di violenza, il proprio futuro nel mondo, e naturalmente prevalgono gli aspetti del rituale legati alla sessualità, che è uno degli aspetti fortemente presente in Pulcinella.

Anche nel gioco con la morte prendono maggiore corpo quegli aspetti più legati al mondo sociale, e allora diventa forte il gioco del momento come momento di ironia sul funerale, che può essere un tabù più sociale che ancestrale: Diventa importante il gioco con l’autorità, il carabiniere, il monaco, il boia, i balli sfrenati con Teresina, il misterioso parto di Pulcinella.

Anche per questi ragazzi la partecipazione allo spettacolo diventa un modo per vivere e superare una loro problematica particolare.

Ricordo ancora in maniera forte la vivacissima partecipazione di un pubblico giovanile nel carcere minorile Filangieri di Napoli alla scena del processo. Era evidente la funzione catartica di questa scena che rifletteva la condizione che vivevano i ragazzi in quel momento. A tal proposito va ribadito che la funzione catartica dello spettacolo è esente da qualsiasi giudizio di tipo morale.

L’ideologia, la morale non esistono assolutamente nel modo di agire di Pulcinella, in questo senso somiglia molto ai bambini. La morale, l’ideologia sono sovrastrutture culturali che non possono appartenere a un rituale. Un vero rituale ha un valore universale e non è strettamente legato alla cultura di appartenenza, se non in maniera assolutamente formale, e sicuramente non può assumere dentro di se alcun aspetto ideologico, che in realtà nasce in un sistema di potere che il rituale nega perché suo principio base è il passaggio, essendo invece caratteristica fondamentale di un sistema di potere l’affermazione dello status quo. Forse il potere sviluppa rituali di conservazione.

(da sviluppare l’aspetto rituale del teatro politico popolare, di tipo eversivo e non conservativo, l’esempio dello spettacolo negli ospedali, dove incombe in maniera forte la prospettiva della morte)

oggi 26 novembre a Lione finendo di battere i vecchi appunti mi ricordo che va ricordata l’esperienza al matrimonio dei nipoti di Giovanni Pino dove io e Salvatore Gatto fummo invitati per fare uno spettacolo ed evocare così la presenza tra gli invitati del nonno degli sposi, che ormai non appartiene più al mondo dei vivi, più rituale di così…

ricordo inoltre l’esperienza estrema di fare spettacolo di guarattelle con persone molto malate alcuni giorni prima che morissero, come la stessa scena della morte assumesse un valore catartico di esorcizzazione di una paura che in tali casi era incombente e inevitabile, come una sorta di “memento vitae” anche un istante prima di morire e di come un’autocensura umana e comprensibile potesse risultare come un “memento mori” e dietro l’apparente “attenzione affettuosa” sentire il suono pesante delle campane a morto. Ricordo ancora il sorriso di Adele che mi ringraziò perché col mio spettacolo aveva finalmente dimenticato i dolori della metastasi ormai nella sua fase finale.

Forse le guarattelle l’aiutarono a morire? All’ospedale un bambino riconquistò il suo diritto al gioco, nonostante il dolore presente nei volti dei genitori, e a poter sorridere nel suo letto di morte.

Bruno Leone

fonte

guarattelle.it

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