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LE GUERRE DEI GENERALI ITALIANI – Quando in Crimea morirono come mosche i contadini del Regno Sardo

Posted by on Apr 28, 2022

LE GUERRE DEI GENERALI ITALIANI – Quando in Crimea morirono come mosche i contadini del Regno Sardo

Il tragico e sanguinoso conflitto fra Russa ed Ucraina si svolge in una zona dove in pieno Ottocento continaia di poveri contadini del Piemonte morirono come mosche, in una Terra sconosciuta e lontana e solo per subdoli calcoli politici.

L’nfausta avventura militarista in Crimea viene ricordata dalla storiografia ufficiale come un’abile mossa del lungimirante Cavour per ingraziarsi le grandi Potenze europee e di recente lo scrittore Alfio Caruso nella sua agiografica “Breve storia d’Italia”, con una buona dose di cinismo, ha definito quelL’infausta avventura militare, malgrado i lutti provocati, una spedizione “quasi accademica”, come se fosse stata una pura e semplice parata senza conseguenze negative.

In realtà, il ricorso alle armi nemmeno sei anni dopo la tragedia della Bicocca fu decisa con molta riluttanza persino da un Parlamento Subalpino composto quasi totalmente da deputati pieni di soldi, d’un ignoranza abissale ed interessati soprattutto a farsi gli affari propri. Primi fra tutti i cosidetti “profughi politici” che erano approdati in Piemonte fuggendo dalle loro nazioni (le Due Sicilie, i Ducati padani o il Lombardo-Veneto) con l’aureola del perseguitato, non si sa quanto meritata davvero. Giunti a Torino, mantenuti dalle casse dello Stato, s’erano gettati in politica, avevano fondato giornali ‘patriottici’ ed i più intraprendenti erano persino riusciti ad agguantare un seggio a palazzo Carignano.

Malgrado ciò, quando venne messo ai voti il trattato di alleanza con gli anglo-francesi che prevedeva la spedizione in Crimea, beché fosse un patto fortemente voluto da Cavour, la Camera dei Deputati l’approvò il 10 febbraio 1855 con soli 95 voti favorevoli e ben 64 contrari.

Ed un foglio coraggioso ed indipendente come la “Civiltà Cattolica” non mancò di rivelare subito che “per allestire truppe e spedirle in Oriente ci volevano denari; perciò fu stretta una convenzione supplimentaria tra il Governo sardo e l’inglese, in virtù della quale questo si obbliga di farci un imprestito d’un milione di steline, di cui pagheremo il 3 per cento d’interesse, e l’1 per cento per fondo d’ammortizzazione”.

In questo modo, Cavour subordinò ancor più le finanze piemontesi a quelle britanniche, trasformando un piccolo Stato fino a quel momento sostanzialmente indipendente in un gregario che durante il Risorgimento agì soprattutto per tutelare gli interessi del potente padrino d’oltre Manica.

In realtà, quella di Crimea fu una “guerra per finta”, fatta solo per mascherare i maneggi diplomatici dei vari Stati coinvolti.

Fin dall’inizio, l’avventura militare piemontese in Crimea apparve sotto i segni più nefasti perché il battello “Croesus” che trasportava le truppe s’incendiò, colando a picco e causando la morte di sette persone. Giunto in Crimea, l’esercito piemontese venne subito “afflitto dal colera, dall’oftalmia e dal tifo. Il Generale Alessandro La Marmora ne morì in Balaklava. Questo valente condottiero avea istituito tra noi il corpo de’ Bersaglieri, e s’era segnalato nel 1848 presso Goito riportando una gloriosa ferita. (…) Le ultime corrispondenze recano che nell’ospedale di Balaklava v’aveano 800 infermi, 600 in quello di Costantinopoli”.

La spedizione costò all’erario piemontese più di 80 milioni dell’epoca con una crescita esponenziale rispetto alla previsione iniziale di 25 milioni e, per farvi fronte, Cavour non trovò di meglio che aumentare le imposte, provocando ulteriore malcontento.

Migliaia di giovani piemontesi morirono per una guerra in cui nessun interesse reale della loro patria era davvero in gioco.

Ma la spedizione doveva aprire la strada alle nuove avventure militariste contro l’Austria, annunciate in piena Camera dal velleitario grido di battaglia “Resistere, resistere, resistere” lanciato dal deputato avvocato Buffa.

Guerre, ancora guerre e a pagare furono sempre i poveracci.

Passati 35 anni dalla spedizione in Crimea, morti Cavour e Vittorio Emanuele, fatta, come si diceva, l’Italia; saltò fuori che i magnanimi e paterni regnanti sabaudi s’erano rivelati ancora una volta aridamente egoisti, irriconoscenti e cinicamente insensibili alle miserie del loro Popolo.

In pieno inverno, il 20 dicembre 1890, spinti dal bisogno, 190 reduci della famosa spedizione d’Oriente si ritrovarono Torino e scrissero ad Umberto I° una supplica, chiedendo d’essere assistiti con un modesto sussidio trovandosi “in avanzata età, stremati di forze per la vecchiaia e la cagionevole salute (non ultime essendo la causa le malattie riportate dal campo) ed in condizioni economiche dolorose non adatte certamente a quel po’ di merito da essi acquistato” andando a farsi massacrare dai russi.

Erano tutti piemontesi; di Torino, Agliano d’Asti, Verrua Savoia, Brusasco, Zumaglia, Venaria Reale, San Benigno, Collegno, Druento, Rosta, Villarbasse, Rosta, Cerro Tanaro, Boves, Morozzo, Moncalieri, San Gillio, Givoletto, Cuneo, Sant’Albano Stura, Margarita, Castelletto Stura, Montanaro ed uno, Carlo Martinelli di Intra. Molti fra loro avevano combattuto anche nelle campagne militari del 1859, del 1860 e addirittura del 1866 ed alcuni erano stati feriti in battaglia, qualcuno era tornato mutilato e tutti avevano ricevuto tanto di medaglie. Come “bassa forza” erano reduci di vari Corpi; dalla fanteria all’artiglieria, ai “Cavalleggeri d’Aosta” ma si trovavano tutti nella miseria più nera.

Il loro accorato appello, ovviamente, non giunse mai davanti al Re ma venne esaminato dal Ministro della Real Casa che il 14 dicembre dichiarò, nero su bianco, che a suo parere “atteso il tempo trascorso e il merito della istanza” la richiesta dei reduci e dei mutilati poteva essere accolta.

Purtroppo la supplica finì per competenza all’esame dei funzionari della burocrazia dello Stato che, ovviamente, se ne strafregarono dei meriti patriottici di quei poveretti e badarono soltanto a verificare se in cassa potevano esserci fondi sufficienti.

Finalmente, il 5 dicembre 1891 (un anno dopo la richiesta !) il “Ministero dell’Interno” giunse alla conclusione che non si poteva scucire una lira.

Trascorsero ancora cinque anni, molti reduci di Crimea erano passati a miglior vita ma quando il giovanissimo principe Vittorio Emanuele portò all’altare la principessa Petrovich, con incrollabile (e stolta !) fiducia piemontese i pochi reduci rimasti tornarono all’attacco con un’altra supplica, rivolta stavolta al giovane erede dei Savoia spiegandogli umilmente di “non essere più nel caso di guadagnarsi il vitto per campare la vita”. Dei 190 di cinque anni prima erano rimasti una decina.

L’Italia imperialista li aveva completamente dimenticati.

Roberto Gremmo

fonte

LE GUERRE DEI GENERALI ITALIANI – Quando in Crimea morirono come mosche i contadini del Regno Sardo – La Nuova Padania

1 Comment

  1. E’ storia di cui oggi non si trova traccia da nessuna parte… ma e’ di grande attualita’ e a conoscerla ci fa riflettere… ieri inviammo soldati, oggi armi… se una soluzione di stabilita’ della zona non e’ ancora raggiunta ci sara’ un perche’… ma la presunzione nostrana sembra sempre contare sulle armi!.. gia’ chi decide se ne sta a casa a vedere come va… caterina ossi

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