LE ISTIGAZIONI ALLE RIVOLTE e IL LORO INIZIO
Per espandere il suo potere sull’intera penisola , Vittorio Emanuele aveva bisogno di avere di pretesti per non apparire come l’usurpatore aggressore dei ducati e del Regno delle due Sicilie e dello stato Pontificio.
L’idea di creare ad arte delle rivolte glie la diede Daniele Manin , dittatore di Venezia,quando Venezia insorge. E Manin ha l’intuizione di convogliare sotto i Savoia tutte le energie rivoluzionarie che c’erano in Italia. tutti i diversi membri delle varie società segrete. Perché – spiega Manin – “I Savoia sono sempre stati nemici dei nostri peggiori nemici”. Cioè, nemici dell’Austria e nemici del Papa. Siccome i Savoia hanno dato prova di essere nemici del Papa, i Savoia vanno aiutati in questo loro intento di ingrandimento territoriale.
I Piemontesi prendono l’idea di Manin, la fanno propria, e, organizzandosi , riescono a formare dei comitati della Società Nazionale, legittimi in Piemonte, illegali, coperti, in tutte le province dei vari stati italiani. Cioè, c’è una rete di cospirazione formidabile, coperta nella maggior parte d’Italia, che organizza l’annessione .
Il problema era che, siccome i popoli “gemevano”, siccome l’opinione pubblica mondiale era d’accordo nella liberazione dei popoli che “gemevano”, questi popoli che gemevano dovevano dar segno in qualche modo della loro sofferenza. Insomma, dovevano insorgere. E si trattava quindi di organizzare quelle che venivano chiamate le “insurrezioni”, cioè, le rivolte spontanee della popolazione contro i sovrani oppressori. Soprattutto il Papa e Ferdinando II e poi Francesco II delle Due Sicilie.
Era necessario che l’opera cominciasse dai popoli, il Piemonte doveva essere chiamato ad intervenire, per evitare che in Europa non si gridasse alla conquista e si e si tirasse addosso una coalizione europea.
“Io non posso spennere la mia dittatura su popoli – dice Vittorio Emanuele II – che non mi invocano e che, collo starsi tranquilli danno pretesto alla diplomazia di dire che sono contenti del governo che hanno».
Siccome in Italia non c’era nessuno che insorgeva perché non erano così infelici le condizioni della popolazione che viveva in Italia alla metà dell’Ottocento, si trattava di suscitare delle rivolte “spontanee”.
Ad organizzare tutto ci pensarono Cavour e il suo segretario La Farina i quali prevedono tutto, e prevedono che a queste insurrezioni facciano seguito un governo dittatoriale guidato da un dittatore o Commissario provvisorio, il quale – sentite le istruzioni della società Nazionale – proibira’ la fondazione dei circoli e dei giornali politici, ma pubblicherà un bollettino ufficiale dei fatti che gli importerà di far conoscere al pubblico. Cioè, vengono invasi gli stati in nome della libertà, e, sempre in nome della libertà, si stabilisce la dittatura. Tutta la stampa è soppressa. Viene permessa solo la stampa del Governo, che racconta i fatti che il Governo vuole siano saputi e vorrà che sia diffuso capillarmente in modo che tutti sappiano come sono andati i fatti secondo la versione ufficiale dei colonizzatori.
Quindi vediamo che succede in Toscana nel 1859, che succede a Parma e Perugina, e poi chiudiamo con la cosiddetta “Impresa dei mille” in Sicilia e in tutta l’Italia meridionale. Cominciamo quindi dalla Toscana. In Toscana c’è un personaggio interessante, che è stato ministro della Pubblica Istruzione, un personaggio di rilievo del Piemonte liberale, che si chiama Carlo Boncompagni, che nel frattempo è diventato ambasciatore dello Stato Sardo presso il Granduca di Toscana e che – pensate che correttezza – in quanto ambasciatore è il capo della rivoluzione in Toscana. E fa venire dal Piemonte un’ottantina di carabinieri, li traveste da popolani toscani… e così comincia la presa del potere del dittatore Bettino Ricasoli – barone Toscano – in nome di Vittorio Emanuele.
Ricasoli, come dira’ poi Cavour in una lettera a Vittorio Emanuele, “Governava come un pascia’ turco”.Immaginate, la libertà portata da un pascià turco.«Nessuna libertà di persona, di domicilio, di stampa. Ogni associazione vietata. Violato sistematicamente il segreto delle lettere. Uomini senza fede e senza carattere, onorati. Reietta la libertà religiosa. Il pubblico erario dilapidato per saziare l’ingordigia di nuovi favoriti. Lusso di birri e di spie all’infinito. Pauroso silenzio dappertutto. Espulsioni, arresti, perquisizioni ma sopratutto un erario dilapidato come poi succedera’ anche durante il regno sabaudo sopratutto nel meridione depredato di tutte le ricchezze che prima avevano.Eppure i bilanci dell’ex Granduca erano a posto come tutti i bilanci degli stati italiani preunitari, eccetto il Piemonte) infatti prevedevano per il 1859 un avanzo di 85.000 lire.
Il nuovo Governo con Ricasoli chiudeva il 1859 con un disavanzo di 14.168.000.Quindi, per tutti latrocini che sono stati compiuti dal “Pascià turco” in Toscana, quell’anno – quello dell’annessione, nel ’59 – si è concluso con un passivo di bilancio di più di 14 milioni. Quindi hanno sperperato quei circa 7 milioni, e a quelli ne hanno aggiunti altri 14. cioè, hanno fatto un danno di 21 milioni di lire, che all’epoca erano una cifra veramente significativa. Questo per quanto riguarda la fine del regno del Granduca di Toscana.
Prendiamo un altro esempio, e andiamo a Parma , dove governava la Duchessa Luisa Maria di Borbone
, di nuovo le insurrezioni, di nuovo la legittima sovrana viene cacciata. Ambiti un colonnello della duchessa viene arrestato dai carabinieri e poi lasciato in mano agli insorti che faranno scempio del suo corpo , tagliando testa , mani e gambe e portando i miseri resti in giro per la citta’. Questi fu il clima istaurato nella ricca Parma.
Il dittatore che fu scelto per governare il granducato fu Carlo Farini
Vediamo come si comporta questo dittatore nei confronti delle proprietà del vecchio duca. Filippo Curletti è il capo della polizia politica. È uno sbirro fedelissimo a Cavour che, oltre ad essere sbirro, essere poliziotto, è anche il capo di una banda di malviventi a Torino, si chiamava la “Banda della Cocca, fu proprio Curletti a raccontare che fu proprio Farini a permettere l’omocidio di Ambiti e consentirne lo scempio del corpo.
Curletti racconta ancora che Farini sottopone il palazzo del duca a un vero e proprio saccheggio. Fa fondere l’argenteria, la trasforma in lingotti, e persino gli abiti della duchessa sono adattati al portamento della signora Farini e di sua figlia. Mentre si comporta come un ladro di polli, Farini fa scrivere da Curletti che il duca, fuggendo, aveva preso con sé tutta l’argenteria e tutti gli oggetti di qualche valore lasciando vuote financo le cantine. Evidentemente Farini aveva pensato di “visitare” anche le cantine.
Per i Piemontesi, dunque, le cose procedono secondo i piani, le insurrezioni provocate ad arte, aumentano e cosi pure le annessioni.
Passiamo ora ai territori della Chiesa.
Vediamo le vicende di Perugina. Perché ci sono tutti i comitati della Società Nazionale di cui parlavo prima che organizzano numerose insurrezioni in tutta l’Italia, e quindi anche nell’Italia Centrale. Senigaglia, Fano, Ancona, Perugina, eccetera. Però il Papa aveva un esercito che non poteva nulla contro un’invasione organizzata da uno stato così determinato nella conquista degli altri, e così indebitato presso tutte le potenze che contavano (Inghilterra, Francia e singoli banchieri. Così indebitato che aveva ridotto alla bancarotta il Regno di Sardegna. Pio Nono non poteva governare in quel modo li. Non poteva buttare i soldi nella difesa, però aveva un esercito degno di questo nome. Un esercito che era anche composto dai volontari che Pio Nono aveva chiamato da tutta Europa, delle migliori famiglie, a combattere per la difesa della chiesa.
Allora, Perugina. Perugina viene fatta insorgere sempre grazie a Boncompagni che era a Firenze, che manda dai 3 ai 5mila uomini – dicono le fonti – a fare finta di essere i popoli insorgenti di cui parlavamno. Certo, questi toscani erano più credibili come popoli insorgenti, dei carabinieri torinesi. Quindi la locale cellula sovversiva di Perugina, interamente formata da massoni, riceve uomini soldi e armi dalla vicina Firenze. E, in questa situazione però è chiaro che il Papa reagisce e riporta l’ordine. È evidente: se c’è una rivoluzione il governo costituito cerca di arginarla. E così è assolutamente folle pensare che questi insorti perugini possano vincere l’esercito che il Papa sta mandando, comandato dal colonnello Shmidt per liberare – in questo caso alla lettera – Perugina da questo manipolo di insorti, per la maggioranza provenienti dall’estero, che l’hanno fatta ribellare. Trovandosi in queste condizioni il Governo provvisorio scrive a Cavour, scrive al capo della rivoluzione italiana, e gli chiede: “Che dobbiamo fare? Dobbiamo resistere o dobbiamo arrenderci?”. E Cavour risponde per iscritto che “dovevano resistere, perché se resistevano facevano passare Pio Nono per un despota sanguinario”. E così avviene.
Le stragi di Perugina, le stragi di cui tutta la letteratura liberale avrebbe poi parlato, come tutti i libri di storia riportavano fino a qualche anno fa, parlano di stragi. E queste “stragi” fanno dieci morti e 35 feriti fra i papalini, e 27 morti, un centinaio di feriti e 120 prigionieri fra gli insorti. Mentre i capi della rivolta riescono a fuggire in Toscana. Questi dati servono a capire che l’episodio di Perugina tutto è stato, fuorché una strage. E che per di più se di strage si può parlare, è una strage voluta e ordinata dal conte di Cavour per contribuire a dileggiare l’immagine di Pio nono all’estero. Se strage vera c’era stata, questa avvenne nel 1849 quando i piemontesi invasero Genova per essersi rivoltata contro il regno sabaudo. Qui il generale Lamarmora va a riportare l’ordine . Qui il generale consente ai suoi soldati «atti di violenta libidine su figlie di onorate famiglie».Quindi i soldati quindi erano andati in giro a violentare nelle case dei borghesi, nelle case di onorate famiglie .
Il ministro del regno Ricci a simili accuse mosse dal politico repubblicano Giorgio Asproni
ebbe a dire;”«I soldati erano bei giovani, e in quelle violenze le donne avevano pure provato un piacere». Questa è la difesa che il ministro dell’interno fa del generale Lamarmora che permette il saccheggio e lo stupro dei suoi soldati a Genova. E Asproni chiude dicendo: «Auguro al Signor Generale, fortuna e piacere uguale a sua moglie e alle sue figlie».
Invece le pseudo stragi di Perugina serviranno a Cavour e a Vittorio Emanuele per poi invadere lo stato Pontificio senza dichiarazione di guerra, uno stato che era il baluardo della Cristianita’.
Eppure i piemontesi erano erano vincolati al rispetto della religione cattolica dal primo articolo dello statuto (che la dichiarava religione di Stato). Cavour poi chiamera’ truppe mercenarie quei giovani accorsi da tutta l’Europa a difendere il Papa , giovani che invece combatterono e morirono senza soldo , ma solo per spirito cattolico.
In altre parole Cavour giustifichera’ l’invasione dello stato Pontificio per evitare un’altra strage come quella di Perugina , una strage da loro stessi provocata. ma che in effetti non c’era mai stata se non con pochi morti.
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