LE RISAIE DI ROCCA D’EVANDRO (II)
Nel piano brullo, interminato, stagna / plumbea palude … / lividi aspetti, misere parvenze; / lungi, la mandra di lunate corna / il cavalcante buttero compone, / pungendo a tergo. / Ultimo un colpo da la caccia s’ode / mentre la notte desolata cala. / Batte la febbre all’umido capanno: / la morte passa.
Così Baccelli cantava l’olocausto di quei poveretti che inesorabile la palude stroncava.
Nel 1820 si credette aver trovato finalmente una soluzione per quell’annoso problema, ossia la macchina di Christian e il riso cinese, ossia riso a secco.
Non era più necessario mettere a marcire la canapa e il lino, bastava immetterli dentro quella macchina per ottenere lo stesso risultato. Quanto al riso cinese, veniva coltivato come una normale pianta, senza bisogno cioè dell’acqua stagnante come il riso «acquaiuolo».
Quanto alla macchina di Christian si rilevò un grosso fallimento (6). La semina del riso cinese non era una novità; era stata sperimentata in Piemonte nel 1705 con risultati deludenti (7).
Tornarono le risaie a Rocca d’Evandro, Galluccio, S. Vittore ossia in tutti quei posti che tanti anni prima avevano versato una notevole somma al duca di Mignano perché smettesse quella letale coltura.
E il marchese Cedronio, sindaco di Rocca d’Evandro, fa la cronistoria di quegli avvenimenti.
Nel 1831, più per curiosità che per guadagno, a Rocca d’Evandro, sorsero delle risaie per sperimentare il riso cinese.
Pochi pezzi di terra dispersi in larga campagna non cagionarono alcuna apprensione, anche perché quel tipo di coltura non poteva cagionarne. E, come era naturale, dalla coltura del riso cinese si passò a quella del riso normale e ben presto la salute pubblica cominciò a risentirne. Cominciarono i reclami e il marchese Cedronio, che era allora consigliere provinciale, fu incaricato di riferire all’Intendente. Il rapporto non lasciava adito a dubbi e il provvedimento di sospensione non si fece attendere … ma non si fece attendere nemmeno il provvedimento di sospensione della sospensione stessa.
Il tutto rimase fermo per qualche tempo, poi l’Intendente inviò sul posto l’architetto Giuliani che non poteva certo confutare il rapporto Cedronio, ma trovò «qual nuovo Eolo» certi «venti divergenti» che mettevano al sicuro dal miasma i comuni circostanti.
La vertenza restò assopita e si svegliarono invece i coltivatori: i fratelli Ciaraldi estesero enormemente la loro risaia e sul loro esempio, alcuni cittadini del vicino comune di Mignano crearono altre risaie.
La risaia Ciaraldi dai 4 tomoli del 1833, epoca della perizia Giuliani, era passata a tomoli 50 nel 1835 e 120 nel 1837; è naturale che non poteva trattarsi di riso cinese dato che 120 tomoli di terra non potevano innaffiarsi alla stregua di un orticello.
Come distanza poi, non era affatto legale: situata «nella gola di angusto canale fra il colle di Vandra e il Monte Difensola, ossia Moscuso» distava un miglio e un quarto da Rocca d’Evandro, mezzo miglio dalle «contrade popolose dei Colli, della Pecce, di Vandra, meno di due miglia da S. Ambrogio»… nonché da Mortola, S. Pietro in Curolis, Caspoli, Cocuruzzo ecc.
Unanimi i paesi insorsero contro le risaie: da S. Pietro Infine si scriveva: « Nel tempo delle messe, onde accedere alla ricolta, tutti quasi gli abitanti di questo Comune pernottano nella pianura. Costoro per assoluta necessità si avvicinano alle risaie ed hanno diritto di essere garentiti dai loro pestiferi influssi». Sempre nello stesso periodo (1838) il procuratore di Cervaro scriveva: «Ora non vorrà aggravare la sua coscienza di altre 200 persone e più, secondo le tergiversazioni e i cavilli di quegli uomini insensibili alle voci dell’umanità».
Sette lunghi anni si trascinò la contesa: i Ciaraldi, all’ombra dell’art. 6, riuscivano ad allontanare qualsiasi provvedimento, mentre, all’ombra dell’art. 6, la gente continuava a morire.
Inoltrarono certificati, graziosamente rilasciati da medici condotti di paesi vicini, esclusi, ovviamente, quelli dei paesi interessati, ad eccezione dei medici condotti di Sessa e di Toraldo, zone altamente malariche a causa del pantano demaniale, una vasta estensione di quasi 4000 moggia di terra coperti d’acqua.
Ma con la storia dei venti, delle montagne ecc. non è facile dare un giudizio imparziale sul comportamento dei medici … a cominciare dall’alta magistratura sanitaria.
Per i medici, poi, le cose cambiavano poco; infatti essi certificavano trattarsi di malattie ormai di casa … la malaria era endemica da sempre e non era facile stabilire quale fosse l’incidenza delle risaie.
Purtroppo era questa la situazione nel distretto di Sora e il dottor Morelli di Rocca d’Evandro così scriveva alle superiori autorità: – L’intrigo prevalea contro la giustizia e a danno della pubblica salute … ero incerto se stringere la penna o no, ma il male progredisce a passi giganti … già Mignano, mitando Rocca d’Evandro, ha formato risaie e se voi, rispettabili signori, non impegnerete tutto il vostro zelo a reprimere questo male già grande benché nascente, la Provincia che rappresentate sarà tra non molto ridotta in palude e gli abitanti presenteranno aspetto di morte pria di morire. La spopolazione sarà il lacrimevole effetto -.
Nel frattempo gli abitanti di Rocca d’Evandro avevano ripreso a macerare il lino e la canapa nel fosso dell’Isola, lo stesso avveniva a Cervaro, a mezzo miglio dall’abitato, «segnatamente nei mesi di luglio, agosto e settembre».
– A S. Vittore le vasche erano situate a 1/4 di miglio dall’abitato in maniera tale da circondarlo: ce n’erano 8 a destra e 7 a sinistra della strada che da Napoli portava a S. Germano.
Un discorso come quello del dottor Morelli era destinato a cadere nel nulla, come la statistica che, nel 1837, il comune di Rocca d’Evandro inoltrava all’alto consesso sanitario.
ANNO | NATI | MORTI |
1822 | 54 | 41 |
1823 | 67 | 33 |
1824 | 48 | 55 |
1825 | 56 | 47 |
1826 | 64 | 31 |
1827 | 66 | 63 |
1828 | 70 | 47 |
1829 | 69 | 49 |
1830 | 61 | 46 |
1831 | 61 | 47 |
1832 | 47 | 65 |
1833 | 53 | 76 |
1834 | 58 | 63 |
1835 | 54 | 68 |
1836 | 79 | 29 |
1837 | 42 | 141 |
In calce alla statistica inoltrata il 10 marzo del 1838, il sindaco annotava: – la morte ha cominciato a incrudelire in questo tenimento dopo lo stabilimento delle nuove risaie che fu il 1831 ed ha imperversato maggiormente nelle contrade più prossime alle medesime -.
In quell’anno Rocca d’Evandro contava 1597 abitanti e caso più unico che raro, la statistica presenta l’incremento più forte nelle nascite nel 1836, anno della prima invasione colerica. L’enorme mortalità del 1837 viene spiegata dalla recidiva colerica.
Dal canto loro, i sindaci di Cervaro, S. Vittore e S. Pietro Infine facevano sapere che nei loro paesi la mortalità era di 8 persone al giorno.
Ma l’alto consesso sanitario continuava a dare prova d’insipienza: sarebbe bastata l’esperienza del 1682, del 1713, del 1793, cioè gli anni in cui le risaie furono soppresse a causa delle letali conseguenze, sarebbe bastato l’esempio di Presenzano, che da 3000 abitanti ne contava solo 1500, per prendere l’attesa, drastica misura.
Ma nessuno ardiva affrontare il problema e si preferiva imboccare le scorciatoie come quella di obbligare la provincia di Terra di Lavoro ad un aumento del dazio fondiario, nella speranza che si decidesse a distruggere i ristagni che natura ed uomini avevano generato.
Tanti anni prima, il protomedico Ronchi si era recato a Suio per «esaminare le acque termali» rese «di pubblica ragione» dal dottor Monaco e nel suo rapporto faceva presente che non era possibile accedere alle «salutari proprietà di quelle acque» a causa dei miasmi che si levavano dalle risaie di Galluccio.
L’articolo 4 prevedeva che alle vedute di utilità generale dovevano assolutamente cedere tutte le considerazioni di particolare vantaggio, soprattutto quando era in gioco la salute pubblica.
La distanza legale aveva, ormai, un valore puramente retorico sosteneva l’avv. Galanti, dato che né monti, né valli, né venti riuscivano a garantire la salute pubblica … «Volgetevi, signori, a quel volume immenso di reclami, di accusazioni, di lamenti dé sindaci decurionati, eletti, capi urbani, parrochi, a quelle denunce di morte e di morte orribilmente accresciute da che esiste quella risaia». Ed alle competenti autorità chiedeva di mettere da parte le elucubrazioni dotte, quanto dannose e di «decidere dagli effetti». «Si muore in quei contorni, ed orribilmente si muore: le popolazioni un tempo sì floride oggi non si offrono che sotto l’aspetto di cadaveri, qué paesi un di così ridenti per amenità di sito, oggi si presentano all’occhio come i lugentes campi del poeta mantovano». I possessori di risaie «non sentivano alcun rossore per le tante pubbliche accusazioni di essere autori di morte», né si preoccupavano di fronte «all’ultima invasione di tifo maligno sviluppato per quella mortifera coltura, che produsse tanto allarme da far temere il ritorno del colera morbus».
Non contava nemmeno la precisa proibizione di coltivare il riso contenuta «nello strumento di concessione di acqua fatta dal monastero di Montecassino, Barone allora di qué luoghi, a Ciaraldi padre nel 1803» … «Che possa esso, Don Stefano, suoi eredi e successori legittimi avvalersi di dette acque per innaffiare il territorio suddetto, far orti, peschiere ed altro esclusa bensì la semina dé risi, le quali producono infezione di aere à vicino abitanti ed alle popolazioni di paesi intorno. E nel caso esso Don Stefano, suoi eredi e successori introdurre volessero in ogni futuro tempo, le risiere in detto territorio, chiamato Magnavacca, o s’introducessero da altri possesori dé territori posti di sotto a Magnavacca, in ciascun di detti casi: sia lecito ad esso Monastero di propria autorità e senza decreto di giudice, diroccare il sasso e canale suddetto, di negare ed impedire al detto Ciaraldi e suoi eredi e successori legittimi la conduttiera dell’acqua nel suo territorio e l’inaffiamento del medesimo e la formazione delle risiere, perché così specialmente convenuto, e perché senza di un tal patto non si sarebbe accordato il permesso suddetto».
La commissione, inviata a Rocca d’Evandro nel 1839, concludeva che le risaie Ciaraldi non erano nocive ed informava che non si era «esaminato il parroco e il medico perché il paese (era) diviso in caldi partiti».
Ed ecco, nel 1840, la spaventosa epidemia che, partita da Mignano, invadeva quasi totalmente la provincia di Terra di Lavoro.
Cambiavano, finalmente, anche le vedute del supremo consesso medico il quale si decideva a riconoscere che la «coltivazione del riso è essenzialmente nociva all’umana salute» anche se tale coltivazione «torna(va) a grandissima utilità alla pubblica economia». … Noi abbiamo veduto i miserabili coltivatori delle risaie del Piemonte e del Milanese. La coltivazione del riso è vantaggiosa se essa fa la prosperità degli abitanti principalmente dei paesi che l’hanno introdotta, spande, la desolazione nella massa del popolo che resta menomato in ciascun anno e che non fa trascorrere l’esistenza di ciascun individuo oltre i 40 anni. Questa stessa coltura produce analoghi effetti negli Stati Uniti di America, nella Carolina. Onde conciliare entrambi questi interessi che reciprocamente si combattono, la coltivazione del riso fu severamente respinta dall’interno e dalle mura delle città e dall’altro, malgrado del nocumento che essa arreca agli individui che v’attendono, fu autorizzata nello Stato. Tutti i Governi, quale con maggiore, quale con minore previdenza, tracciano, siffatta linea di condotta e perché il doppio fine, per quanto è dato all’umana previdenza, venisse raggiunto accuratamente si prescrivessero misure preservatrive le più energiche onde impedire alla cagione morbosa che dalla risiera si svolge, di oltrepassare le barriere e d’irrompere nelle comuni. La quali misure preservative, in appositi regolamenti sanitari depositate, presero vigore e forza di legge».
Sembrerebbe quasi un mea culpa, ma l’alto consesso tiene a precisare «con l’autorità di Londe … che il miasma per virtù di una gravità, non inalzarsi nello stato regolare nelle altre regioni dell’atmosfera».
Torniamo a ripetere che insipienza o malafede non possono ravvisarsi nell’alto consesso che si appella ad una falsa concezione eziologica.
Forse, anzi senza forse, la ravvisiamo nell’operato di tanti architetti, incaricati delle perizie, i quali, a scudo di Rocca d’Evandro, pongono il fiume Peccia e gran parte dei colli Pescito, Trocchia e S. Leonardo … ragion per cui «i popoli sottomessi alla triste influenza, po(teva)no ammalarsi per virtù di cagioni non miasmatiche».
Il prof. De Renzi, inviato sul posto, scriveva una memoria che val la pena di riportare nei suoi passi salienti: – Quattro giogaje di montagne poste verso l’estremità sud-est del distretto di Sora, tra i suoi confini con quei di Piedimonte, Caserta, e di Gaeta, chiudono un’ampia vallata per ove scorre il Garigliano, ed alla quale aprono altre Valli minori. Il terreno non è piano ed eguale, ma per ovunque è intersecato da poggi da colli di monticelli, fra i quali formansi diverse vallette dove scorrono vari rivoli, che riunendosi in fiumicelli, tutti portano il tributo delle loro acque al Garigliano. Alcuni di quei rivoletti venendo dalle falde settentrionali dei monti di Roccamonfina, si riuniscono in un solo alveo poco dopo Mignano, col nome di Peccia, la quale si dirige verso occidente ed ingrossata dai rivi di S. Vittore e di S. Pietro Infine, volgendo a mezzogiorno va ad incontrare il Garigliano nel tenimento di Rocca d’Evandro. Al declivio dei monti e sulle alture minori sono diversi paeselli, il primo dé quali è Mignano che s’incontra lungo la valle percorsa dalla Regia Strada che dirigesi verso Sora, e quindi alle falde dei monti settentrionali stanno S. Pietro Infine, S. Vittore e Cervaro a dritta della strada indicata, ed a sinistra verso il sud-ovest vedesi Rocca d’Evandro, alla quale sono riuniti due miseri villaggi, l’uno detto Camino sui monti che lo dividono da Mignano, l’altro a mezzodì detto Cocuruzzo a sinistra del Garigliano. Verso occidente evvi S. Angelo in Theodice e più in là Pignataro, i tenimenti dei quali sono dal Garigliano divisi da quelli di S. Giorgio e di S. Apollinare, e lo stesso fiume diparte quello di Rocca d’Evandro dagli altri di S. Ambrogio e di S. Andrea. I chini dei monti e dei colli sono vestiti di piante, e laddove presso la Peccia, ed in seguito presso il Garigliano, ai piè delle colline i terreni si vanno allargando in piccioli piani, questi in generale sono o inumiditi da frequenti sorgive, o acconci ad essere inaffiati da rivi o dai fiumi, cosicché tutto concorre a rendere in quel vasto spazio umida e greve l’atmosfera, e disposta a sentire tutte le vicende delle meteore.
Tutt’i paeselli nominati sono chi più chi meno abitati di contadini o poveri a poco agiati dei quali il maggior numero vive di rustici lavori o di piccole industrie di animali che nell’inverno soprattutto hanno con gli uomini comune dimora, e quindi le contrade intere divengono vaste stalle. I paesi sono per l’ordinario composti di piccoli vicoletti, tortuosi, sudici e pieni di archi, con casupole ingombre e senz’aria, eccetto pochi luoghi dei comuni maggiori come quello di Cervaro. Le strade, specialmente quelle di Mignano, sono ripiene di ammassi di letame, e tutte rose, non lastricate, e per ovunque ristagna un’acqua fetida prodotto delle evacuazioni degli animali immondi, o dell’acqua piovana che filtra dai letamai. Insomma alcuni punti di tale paesi somigliano ad una fogna in cui formicolano tutte le specie di animali misti con uomini miserabili e cenciosi … Alessandro Bianco di Saint Joroz, ufficiale piemontese, venuto a contatto nel 1860 con le condizioni di vita dei nostri contadini, scrisse esser le nostre terre un lembo dell’Africa selvaggia.
Fino a che punto potesse permettersi un simile giudizio, lo apprendiamo dalla Nuova Enciclopedia Popolare, edita nel suo paese da Pomba nel 1847, la quale recita testualmente: … I Monferrini ogni anno all’epoca della raccolta si recano a stuolo nel Vercellese d’onde ricavano gran parte della loro sussistenza … reduci (poi) ai loro colli, portano ordinariamente seco loro, col ben guadagnato riso, la squallida febbre. Misero il salario … 80 cent. dalla metà di marzo sino alla metà di settembre, d’indi sino alla metà di novembre cent. 60 da quest’epoca sino alla metà di marzo cent. 40! … bene spesso li oltraggiano con mali trattamenti, con stramazzi, con ingiuste esigenze e col continuo disprezzo … Avvilito, coperto di stracci, estenuato di forze, è costretto a faticare, ora esposto ai raggi cocenti del sole, ora ludibrio dei venti, delle nebbie, della pioggia, immerso metà le gambe nella fanghiglia … molte volte obbligato eziando a faticare di notte sull’aia a cielo scoperto. In seno alla famiglia dell’indigente risaiuolo la miseria si mostra in tutta la sua laidezza; egli è obbligato a beversi per la scarsità dei pozzi, l’acqua impura delle fosse ad abitare casolari o piuttosto tuguri angusti umidi, oscuri, senza pavimento e spesso senza imposte alle finestre …
Sorvoliamo sulle condizioni delle donne altrettanto infelici … Non è opinabile che coloro i quali coltivavano frumento o legumi stessero meglio!!!
Nondimeno ad onta di tali circostanze, la posizione dei paesi in sulle alture, e le correnti d’aria e la bella vegetazione delle campagna, li sosteneva mediocremente salubri finché una speciale cagione non venne a spargervi le malattie e la morte. Questa cagione appunto è la coltivazione del riso che si fa in alcune di quelle valli nel tenimento di Galluccio, come in quello di Rocca d’Evandro e nel suo villaggio di Cocuruzzo, e presso la Peccia e presso il Garigliano. Esse sono più o meno lontane dai comuni, ma la posizione dei luoghi le rende infeste anche per i comuni che hanno la distanza legale, contribuendo moltissimo da una parte la posizione delle valli a trasportare i miasmi e d’altra parte la circostanza che nei tempi estivi quasi le intere popolazioni sono sparse per le campagne più o meno prossime alle risaie.
E che siano esse dannose alle popolazioni è un fatto che non si può negare in alcuna maniera, imperocché l’epoca della loro esistenza ed aumento segna per quei comuni l’epoca delle malattie e della mortalità. Sono esse tanto più malefiche per la ragione che la situazione topografica dei luoghi soggetta a risentire più fortemente le generali variazioni metereologiche, la gravezza dell’aria, l’umidità ed anche la condizione di poca agiatezza degli abitanti, fanno acquistare un carattere sempre più grave alle cagioni morbose.
Né l’osservazione del danno delle risaie è nuova per quelle popolazioni. Quando nel 1794 furono stabilite le risaie dal duca di Mignano furon tante le malattie e tale la mortalità che produssero che quei comuni desolati ne mossero querele al Governo, il quale convinto delle loro ragioni ne ordinò l’abolizione, siccome era anche avvenuto nel 1692 e nel 1713 (8).
Le risaje di Galluccio sono state in ogni tempo sorgente d’infezione per i numerosi villaggi che lo compongono. Il prof. Giovan Nicola del Giudice chiamato a curare le numerose gravi malattie di quei popoli nel 1803, fra le cagioni del loro sviluppamento annovera le risaie, sì che nell’indicare i mezzi da adottarsi per ispegnere le sorgenti dei loro malanni, si esprime con le seguenti parole: – Bisognerebbe abolire le risaie, come un’altra causa valevole a contaminare l’aria atmosferica – (9).
Dal 1832 (continua De Renzi) dacché estesi terreni del tenimento di Rocca d’Evandro sono coltivati a risaja, sono cresciute le malattie e le morti non solo per le comuni di Rocca d’Evandro e di S. Vittore … ma anche per le comuni più lontane … Il Decurionato di Cervaro, spaventato dal gran numero di malattie e di morti osservate dalla metà di giugno alla metà di settembre dell’anno 1837, se ne occupò seriamente … e fu da tutti riconosciuto che l’enorme numero di morti (102) era da imputarsi alle risaie.
Non bisogna dimenticare, però, che l’anno 1837 è l’anno della recidiva colerica che fu molto feroce.
Nel 1838 fu sospesa la coltivazione del riso e quelle delle popolazioni godettero uno stato plausibile di sanità, eccetto i disturbi dovuti alle forme croniche. Ma nel 1839 coltivatesi nuovamente le risaje si vide in tutt’i comuni una iliade luttuosa di cali. Il governo vi rivolse le sue sollecitazioni; per il che vi si recò il sotto-Intendente del distretto, un Consigliere provinciale ed il Regio Giudice, i quali esaminati i Sindaci, i Parroci, i Decurioni ed i medici di ciascun comune, alla metà di settembre, rilevarono che in Cervaro oltre mille della popolazione erano malati, dei quali morirono sessantuno in due mesi e mezzo, mentre nell’anno precedente nello stesso spazio di tempo erano morti sola 29. In Rocca d’Evandro trovarono una febbre intermittente perniciosa … ch’erasi sviluppata sopra 343 infermi, dei quali erano morti 26. In S. Vittore trovarono 340 malati con la morte di 24 e … e pari cosa era avvenuta per i comuni di S. Pietro Infine, di S. Elia, di Mignano ecc. E queste cose vennero anche verificate dall’abate generale di Montecassino dai capi della Gendarmeria …. (10)
Era incontestabile ormai l’affermazione che le risaie fossero cagione di affezioni perniciose … la malattia era ormai di casa a Mignano dove era tornata «per più anni e con ordine di tempo».
Nel 1840 era cominciata a Caserta l’epidemia ed aveva colpito Maddaloni, Aversa ecc. spostandosi verso il distretto di Sora, invadendolo tutto e portandosi «in altre remote province»; compresi «alcuni Comuni della Comarca di Roma».
E finalmente la suprema magistratura sanitaria pur riconoscendo che la risaia Ciaraldi era garentita dall’art. 6 era costretta a riconoscere che non era garentita la pubblica salute.
E rivolgendosi ai medici, ne stigmatizzava il comportamento tante volte ambiguo … certificati spesso senza firma e senza «sugello», inosservanza di regolamenti per cui non avevano denunziato la terribile epidemia di Roccasecca del 1823 né la mortalità infantile, sempre dovuta alle «esalazioni palustri» verificatasi nel 1838 e 39 … «i bambini grassi e gonfi da prima, smagrirono in prosieguo e quindi in gran numero muoiono».
Con rescritto del 19 maggio 1841 si «ordinò la pronta ed assoluta repressione di tutte le disputate risaje».
Ma nel cominciare del 61, togliendo utile partito dalle politiche agitazioni in cui era involto il paese, il signor Giuseppe De Petrillo … procacciò di ristabilire in valle Corvara la imprecata coltura del riso.
Produsse egli «sorda domanda al Ministero d’Industria, Agricoltura e Commercio» che ignorando i trascorsi precedenti, chiese informazioni al sindaco, al Governatore di Terra di Lavoro ed alla suprema magistratura.
Avuto parere favorevole da tutti fu «ripristinata nei bassi fondi d’intorno Galluccio la malaugurata coltivazione del riso … insorsero di nuovo i lamenti e i clamori dei circostanti comuni, in quali rappresentando i danni gravissimi che da simile industria procedono alla pubblica sanità e richiamandosi giustamente alle prescrizioni del prefato rescritto, chiedevano l’immediata sospensione».
Tranne il prezzolato sindaco di Galluccio che si appellava ancora alla vecchia storia della miseria e della disoccupazione, insorsero tutti i sindaci dei comuni minacciati.
Questa volta non fu ignorato il rapporto statistico del consigliere provinciale Cedronio del quale si rilevava «un notevole scemamento della popolazione dei comuni di Rocca d’Evandro e Cocuruzzo nel decennio incremento in venti anni posteriori alla loro abolizione». Era più che sufficiente per il nuovo governo il quale decretava: – Tutte le risaie poste nel perimetro che corre dal comune di Rocca d’Evandro a quello di S. Vittore, comprese le risaie del de Petrillo, in valle Corvara e l’altra nascente del Sig. Giacomo Colizza, (devono) essere assolutamente abolite, come sorgente di malsana e di morte alle adiacenti popolazioni» (11).
Note:
(6) Istruzioni per i coltivatori sul metodo di preparare … del sig. Christian, Napoli 1819.
(7) Cenno sul coltivamento del riso secco cinese del dottor GIOVANNI GUSSONE, Napoli 1826. Già nel 1805 si erano fatti esperimenti a Torino sulla coltivazione dei riso cinese … «pochissimi semi di questo riso erano nati e nessuna delle piante ottenute aveva fruttificato» in «Nuova Enciclopedia», op. cit.
(8) De Renzi prende l’informazione dai Consulti medici di Cirillo e per quanto riguarda l’abolizione delle risaie di Mignano fu ottenuta con la transazione di cui abbiamo scritto nel testo.
(9) «l’abolizione della coltura di tali generi» fu già richiesta nel 1788 dal Galanti, in «Istruzioni per gli coltivatori», op. cit.
(10) Relazione sullo stato di salute del distretto di Sora di Salvatore De Renzi, in «A.S.N.» Protomedicato fascio 188 – pubblicata anche nel periodico Il Fitiatre Sebezio del 1840.
(11) per la macerazione, «A.S.N.», Fusari Supr. Mag. di Salute f. 173/278; per le risaie «A.S.N.», Protomedicato f. 188, «A.S.N.», Supr. Mag. di Salute fascio 133/228.
fonte:RASSEGNA STORICA DEI COMUNI , n. 76-77 GENNAIO-GIUGNO 1995
Bimestrale di studi e ricerche storiche locali , Organo ufficiale dell’Istituto di Studi Atellani.
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80027 Frattamaggiore (NA) – Via Vergara, 13
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GIUSEPPE GABRIELI
fonte
RASSEGNA STORICA DEI COMUNI , n. 72-73 GENNAIO-GIUGNO 1994
Bimestrale di studi e ricerche storiche locali , Organo ufficiale dell’Istituto di Studi Atellani.
fonte
http://www.roccadevandro.net/archivio-stampa/articolo_risaie.htm