Le tornate segrete di Torino- ….sui briganti di Napoli
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Da pag.176 A 180
LE TORNATE SEGRETE DI TORINO – SUI BRIGANTI DI NAPOLI
(Pubblicato il 6 maggio 1863).
…OMISSIS…
iL 4 e 5 di maggio i profani vennero espulsi dalla Camera dei deputati. Gli uscieri gridavano: Procul, procul, e barravano le porte, e tappavano le fessure degli usci, e sopravegliavano gli approcci, mentre gli onorevoli, stretti a consiglio, faceano un po’ di bucato in famiglia, parlando sotto voce, e raccontando le comuni miserie. In quelle due segretissime tornate il dep. Massari lesse la relazione della Commissione, che fu spedita dalla Camera sul cominciare dell’anno per attingere sui lunghi notizie precise dei briganti e del brigantaggio. E pare che notizie n’abbia attinte assai, giacchè la semplice lettura della relazione doveva durare otto ore. E pare eziandio che le notizie fossero pessime, se no ce le avrebbero dette anche a noi. Buone o cattive, la legge ci proibisce di parlare delle tornate segrete della Camera, e noi ce ne laviamo le mani.
Però, pensandoci bene, non ci dovrebbe essere oggidì neppur più un capello di briganti nel regno di Napoli, e il deputato Massari trova ancora materia da discorrerne per otto ore? Imperocchè noi ragioniamo e calcoliamo così. I briganti sono i nemici del regno d’Italía, non è vero? Verissimo. I nemici del regno d’Italia in Napoli sono quelli che votarono pel no nel famoso plebiscito. Non è vero? Vero anche questo. Dunque tanti doveano essere i briganti nel regno di Napoli, quanti furono i no del plebiscito. La conseguenza è giusta? Giustissima. Di fatto il brigantaggio nasceva in Napoli, compiuto appena il plebiscito. Nove giorni dopo la famosa votazione il governatore rivoluzionario di Teramo, De Virgilii, il 2 novembre 1860 pubblicava: `Tutti i comuni della provincia, dove si sono manifestati, o si manifesteranno movimenti reazionari, sono dichiarati in istato d’assedio…… I reazionari, presi colle armi alla mano saran fucilati.
Ora, le cifre del plebiscito furono queste: 1,313,376 sì, e 10,312 no. Dunque i briganti non potevano essere che 10,312. I quali, da bel principio, si presero a fucilare bravamente. Il Pinelli, da Ascoli, a dì 3 febbraio 1861, diceva ai soldati : “Siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali la pietà è delitto”. E Cialdini scriveva per telegrafo al governatore di Molise: “Faccia pubblicare, che fucilo tutti i paesani armati che piglio. Oggi ho già cominciato. E si fucilò nel 1860, si fucilò nel 1861, si fucilò nel 1862, si fucilò nei primi mesi del 1863. Di guisa che il 18 di aprile, a detta del deputato Ricciardi, il totale dei briganti fucilati era di settemila cento cinquant’uno (Atti Uff. N° 1193, pag. 4643).
Abbiamo adunque le seguenti cifre:
Cifra totale dei briganti, 10,312
Fucilati all’aprile del 1863, 7,151,
Restano briganti, 3,161
Or quanti altri briganti sono in pigione? Lo stesso deputato Ricciardi, nella tornata del 18 di aprile 1863, ci dava la statistica di tre sole prigioni (Atti uff., N° 1192, pag. 4642). E risultava che v’erano:
Nel carcere di S. Maria, prigionieri: 1,191
In Campobasso, prigionieri: 1,013
In Avellino, prigionieri: 1,836
Insieme prigionieri: 4,040
Dunque restavano vivi 3,171 briganti, ne abbiamo rinchiusi dentro tre sole prigioni del Napoletano 4,040, epperò voi ben capite che a quest’ora briganti non ce ne possono essere più, salvo che si volesse pretendere una cosa impossibile, che cioè fucilati o imprigionati tutti coloro che nel plebiscito dissero no, si mettesse mano a fucilare o imprigionare quegli altri che dissero sì.
Come dunque la Camera il 4 e il 5 di maggio potè spendere ancora due tornate segrete sui briganti e sul brigantaggio?
DEL NOME DI BRIGANTI
NELLA PRIMAVERA DEL 1860 – (Pubblicato l’8 maggio 1863).
La Camera dei deputati ha speso tre lunghe tornate di sei ore ciascuna per udire la relazione sul brigantaggio; e durante queste diciott’ore il presidio raddoppiato della guardia nazionale vegliava per impedire che gli estranei si avvicinassero alla sala. Delle precedenti tornate segrete venne sempre a subodorarsi alcunché, ma delle ultime finora non si seppe nulla, e quest’alto mistero dà luogo a più gravi sospetti a quell’infallibile criterio, che si tace ciò che fa contro di noi. Soltanto i giornali annunziano quest’oggi, e crediamo di poterlo ripetere nell’Armonia, che nell’ultima tornata segreta i deputati discussero se convenisse pubblicare la relazione sul brigantaggio letta dal Massari in nome della Commissione. E gli onorevoli concordemente decisero di no, perchè non si potevano far sapere al popolo sovrano certe cose, che l’avrebbero alquanto spaventato, e che dall’Italia poi sarebbero passate a notizia dell’Europa e di tutto il mondo civile. Tuttavia, siccome la Commissione d’inchiesta sul brigantaggio avea proposto alcuni articoli di legge quale rimedio alla formidabile malattia, così dicono che alcune parti della relazione verranno pubblicate come schiarimento di questi medesimi articoli.
Lasciando adunque a’deputati seppellire segretamente i loro morti, noi pure ci occuperemo di briganti e di brigantaggio, studiando l’origine di questo nome nella primavera del 1.860, ossia cercando chi dopo la pace di Villafranca fosse il primo in Italia a parlare di briganti, e quali uomini si accusassero di brigantaggio. E in questo studio ci aiuterà il signor Nicomede Bianchi, che nella Rivista Contemporanea del mese di aprile, fascicolo CXIII, parlando del conte Camillo di Cavour, e pubblicando sul suo eroe documenti editi ed inediti, ci mise sotto gli occhi le curiose primizie dell’accusa di brigantaggio.
Questa parola incomincia a proferirsi in Italia nel maggio di tre anni fa, dopo la spedizione di Garibaldi in Sicilia, e i primi a scriverla sono il rappresentante di Francesco II, re di Napoli, presso la Corte di Pietroburgo, e il commendatore Carafa, ministro sopra gli affari esteri del re delle Due Sicilie. L’ambasciatore napoletano in Russia, il signor Regina, scriveva da Pietroburgo il 14 di maggio 1860 un dispaccio, dove era detto: ” L’indignazione che ha provato l’Imperatore e il principe di Gorciakoff, allorchè gli diedi conoscenza del telegramma di V. E., con cui m’informa dello sbarco a Marsala dei BRIGANTI partiti da Genova, è stata proporzionata alle enormità commesse tanto dal gabinetto sardo, che dagli uffiziali inglesi che hanno favorito lo sbarco. La postilla dell’imperatore sul dispaccio in parola che rimandò al ministro degli affari esteri è : “c’est infame, et de la part des Anglais aussi”.
E questo dispaccio era una risposta ad un altro che il ministro Carafa avea spedito per le vie telegrafiche agli agenti diplomatici della Corte di Napoli all’estero, per dar avviso dello sbarco de’ Garibaldini a Marsala. Il ministro Carafa si esprimeva così:
“Malgrado avvisi dati da Torino, e promesse di quel Governo d’impedire SPEDIZIONE Di BRIGANTI organizzati ed armati pubblicamente, essi sono partiti sotto gli occhi della squadra sarda; sbarcati ieri a Marsala. Dica a cotesto ministero tale atto di selvaggia pirateria promosso da Stato amico” .
CARAFA
Vedete un po’ che orrore! Chiamar briganti coloro che difendevano la libertà, l’indipendenza, la patria comune! E l’orrore è tanto maggiore, perché l’accusa di brigantaggio non rovesciavisi solamente sui Garibaldini, ma sul conte di Cavour, sul Governo sardo e su tutti coloro che aveano aiutato la spedizione di Sicilia. Intorno a ciò troviamo nell’articolo del signor Nicomede Bianchi preziose rivelazioni, e ne faremo tesoro per dimostrare quanta estensione avessero l’accusa di brigantaggio e il nome di briganti scritto dai ministri napoletani nel maggio del 1860.
Il Bianchi prova trionfalmente che Garibaldi conquistò In Sicilia coll’efficace cooperazione del Governo di Torino. E per dimostrare questa tesi, che, quanto a noi non avea bisogno di veruna dimostrazione, il signor Nicomede Bianchi esce ne’ più minuti particolari, e racconta così:
“Francesco Crispi, che fu uno de’ preparatori più animosi e operosi di quella rivoluzione siciliana del 1860, poco tempo prima che essa scoppiasse, evasi clandestinamente introdotto nella sua terra materna, e l’avea percorsa per conoscere lo stato reale delle cose e portarvi una fraterna parola dincuoramento e di speranza. Ora trovo scritto con abbastanza d’autenticità : che Luigi Farini, dittatore allora dell’Emilia, gli era stato largo dei migliori mezzi per condurre a termine tanta difficile impresa, per la quale non bastava il coraggio pernonale. Trovo parimente autenticato dalle migliori testimonianze, che il conte di Cavour, come venne informato del lavoro in corso della Società nazionale onde portare aiuto alla rivoluzione siciliana per mezzo di una spedizione marittima di volontari, si mostrò tutt’altro che avverso alla medesima.
Sono pertanto scritti di sua mano i seguenti avvisi, inviati a chi dirigeva quei prepentivi:
“Villamarina annunzia che si combatte in Palermo, e che l’insurrezione si estende. Carafa invece telegrafa a Canofari tutto essere tranquillo in Sicilia. Molta agitazione in Napoli ; le serva…
“Ho notizia da Napoli del 29, da Messina del 26. Il dispaccio dice: – Qu’on rencontre résistance énergique et qu’il faut gagner le terrain pas à pas. –
“Addì 6 aprile 1860, la notizia della rivoluzione di Palermo giunge a Genova per le vie telegrafiche. In quella città l’attendevano Nino Bixio, Crispi, Rosolino Pilo, i quali fino dal mese di febbraio avevano la promessa del generale Garibaldi, ;che nel caso di un serio sollevamento in Sicilia egli si porterebbe a prenderne la direzione. Abbisognavano uomini, armi, navi e denari, italiani di ogni classe, volenti Italia e Vittorio Emanuele, accorsero da ogni parte all’animoso appello del generale Garibaldi. Il quale giudiziosamente vedendo la convenevolezza di raggruppare sotto la sola sua direzione gli apparecchi per le progettate spedizioni, stando egli a Quarto nella villa Spinola, fece chiedere a Giuseppe La Farina se voleva assentire a ciò. L’intendersi fu pronto, e per tal modo vennero posti a disposizione del generale Garibaldi gli efficacissimi mezzi di che disponeva la Società nazionale, fra i quali certamente non doveva calcolarsi per ultimo la segreta cooperazione del Governo di Torino. Garibaldi ben comprese l’utilità grande di siffatto concorso, laonde al La Farina, insistente per accompagnarlo in Sicilia, persuase di rimanere a servire d’intermediario tra lui ed il conte di Cavour.
La direzione dell’ordinamento e degli apparecchi della prima spedizione vennero affidati a Nino Bixio. Con quella indomabile energia di volontà di mente ed operosità instancabile, che a lui sono proprie, egli giunge a superare moltissime difficoltà. Ma all’imbarco delle armi non potè provvedere da solo; gli venne in aiuto la mano del Governo. L’avvocato Fasella che allora era uno degl’ispettori della questura di Genova, aiutò con due suoi agenti il trasporto dei fucili sul mare. Se in tanto e sì manifesto tramestio d’uomini e di cose nel porto di Genova, di barche cariche d’armi e di munizioni dirette verso la Foce e a Quarto, le autorità governative locali non videro nè seppero nulla, benchè fosse appariscente il vigilare severo allo sbocco della Polcevera e al lido di Cornigliano, torna ridicolo il pensarlo e dirlo, non fu per paura o per impotenza ad agire ,contrariamente, ma sì perchè Giuseppe La Farina erasi portato a Genova, munito d’alcune parole scritte dal conte di Cavour all’Intendente di quella città. Compiuta felicemente la prima spedizione, divenne urgente il bisogno d’aver armi in pronto per fornire le altre spedizioni che si stavano apparecchiando. Per ordine espresso del governo di Torino dall’arsenale di Modena vennero estratti fucili e consegnati a Genova a coloro che ne difettavano. Armi o munizioni da guerra ebbero dal conte di Cavour le due spedizioni capitanate da medici e da Ceosenz. Non potendo il Governo di Torino riconsegnare al generale Garibaldi i fucili allogati negli arsenali dello Stato per sequestro anteriore senza incorrere in qualche responsabilità troppo grave, comperò quelle medesime armi e consegnò il denaro ai signori Finzi e Bezzana, che così poteronoo provvederne altre per condurre innanzi l’impresa siciliana. Se la flotta parti da Genova con l’incarico apparente di tagliare la via allo sbarco dei volontarii sulle costiere siciliane, il conte Persano teneva un biglietto di mano del conte di Cavour, nel quale stava scritto: “Signor Conte, vegga di navigare fra Garibaldi e gl’incrocicciatori napoletani ; spero che mi avrà capito” .
Da questa preziosa relazione, che noi confermiamo di tutto punto come verissima, risulta, che nel maggio del 1860 il sig. Carafa e il signor Regina, ministri dei re di Napoli, osavano chiamare briganti, chi mai? Il conte di Cavour, il generale Garibaldi, e Francesco Crispi, e Nino Bixio, e Giuseppe la Farina, e l’avvocato Fasella, e simili. Ma “Vedi giudizio uman, come spess’erra!” Nel maggio del 1863, ossia tre anni dopo, Nino Bixio è reduce in Torino da un viaggio parlamentare fatto in Napoli per esaminare il brigantaggio, e Crispi e La Farina ed altri studiano rimedi contro i briganti, e briganti sono coloro che stanno con Francesco II, ed egli stesso vien chiamato il re dei briganti, e l’autore dei brigantaggio. Come mutano le cose e i giudizi in soli due anni!.
Quanto a noi, ognuno capisce che diciamo e dobbiamo dire essere briganti coloro che vogliono rovesciare nell’Italia meridionale il presente Governo, non gli altri che atterrarono l’antico. Ci auguriamo però che la storia, raccolti i fatti ed esaminate le relazioni d’una parte e dall’altra, possa ripetere questo nostro giudizio.