Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Le tre anarchie di Lazzari e Sanfedisti e la crisi di riconoscenza dei Giacobini napoletani di Giuseppe Gangemi

Posted by on Mar 10, 2025

Le tre anarchie di Lazzari e Sanfedisti e la crisi di riconoscenza dei Giacobini napoletani di Giuseppe Gangemi

Perché Carlo De Nicola, borbonico, spesso critico nei confronti del proprio re, scriva nel proprio Diario di tre anarchie e non definisca anarchia il periodo dell’occupazione francese, è semplice da comprendere: egli prova un forte sollievo per il fatto che la parte della città in cui vive viene solo marginalmente toccata dai saccheggi delle truppe francesi.

Saccheggio che considera naturale perché connesso a ogni occupazione militare. In Veneto, al contrario, vari diaristi (Ignazio Menin, Sigismondo Moll e un anonimo il cui testo viene ricopiato da Gaetano da Re) di città che hanno subito gli stessi saccheggi, non considerano così naturali i comportamenti dei Francesi. Essi denunciano il fatto che i soldati francesi combattano furibondi perché assumono, prima della battaglia, acquavite e pane mescolati con polvere di cantaride, un potente afrodisiaco. Questi soldati sono ancora furibondi, dopo la battaglia e compiono stupri più degli altri eserciti. Al punto che persino le meretrici di Verona, commenta Menin, se ne sono spaventate: “Le Meretrici dai loro publici (sic) sozzi destinati postriboli dovettero fuggire per la grande quantità di soldati famelici carnali [e non paganti], che colà in flotta accorrevano a saziare le loro sordide brame”. 

Prima del saccheggio, De Nicola confessa la diffusa “paura di essere sacrificati ai Francesi” e subire le loro scelleratezze dato che il popolo, molto numeroso, è riuscito ad armarsi durante la prima anarchia, mentre gli appartenenti alla propria classe sociale sono relativamente pochi e disarmati. A saccheggio terminato, attribuisce il merito di aver salvato la propria casa al generale Championnet che ha dato “ordini clementissimi” per evitare questo sacrificio. È più probabile che il mancato sacrificio della di lui classe sociale sia dipeso dal fatto che i possidenti aderiscono alla repubblica in massa e, di conseguenza, le loro case vengono risparmiate. Viene sacrificato, invece, il popolo con stupri proseguiti per tutta l’occupazione francese (la casa del povero non merita un saccheggio, ma mogli e figlie valgono uno stupro).

La mancata denuncia di un’anarchia costituita dai Francesi e dai collaborazionisti, secondo il prestigioso storico francese François Furet, uno storico francese tra i più prestigiosi, dipende dal fatto che i notabili italiani hanno coperto le scelleratezze francesi perché si sentivano socialmente più vicini ai borghesi francesi che guidavano la rivoluzione che ai Lazzari napoletani o ai contadini calabresi.

Per quanto riguarda la presunta mitezza di Championnet, essa sarebbe dipesa dal fatto che era consapevole di non avere forze sufficienti per tenere l’intero Regno di Napoli. Il divieto di saccheggiare le case degli agiati-ricchi favorevoli agli occupanti o quelle dei già saltati sul carro dei vincitori viene mantenuto con rigore per evitare quanto successo laddove il popolo s’è unito agli agiati-ricchi per combattere i Francesi. Inutilmente perché “contro i notabili liberali italiani che coprivano il saccheggio francese, l’esempio dei lazzaroni napoletani è seguito dai contadini calabresi, [insorge] la nuova Vandea del Mezzogiorno italiano schierata contro la Repubblica dell’ateismo francese. Dopo la Francia del 1793, anche i contadini vicini trovano la loro controrivoluzione popolare”  (La Révolution 1770-1880, pp. 352-353). Non solo a Napoli, ma ovunque nella penisola, il numero di invasori uccisi sale alle stelle.

Il giornalista veneziano (di Corfù) Antonio Paravia spiega che la mattanza di Francesi e Giacobini è una reazione alle violenze che i soldati francesi compiono durante l’occupazione di un territorio: “Sentesi sempre delle scelleratezze de soldati francesi nelle campagne, ed i Villici, ch’hanno la moderazione d’arrestarli soltanto, corrono il pericolo di soggiacere a periglio di vita come succede a due de contorni di Peschiera, arrestati e minacciati d’esser trattati militarmente. All’opposto, ovunque se li ammazza, e nasconde, si liberano da tale flagello senza alcun rischio. Questo espediente prende voga nelle nostre campagne, lagnandosi li Comandanti francesi che manca loro 400 individui senza saperne la fine, e nel territorio di Salò mancarono 150, che gl’abitanti di quei monti se ne liberarono in maniera secreta. Un prete ne’ contorni di Salò, assalito in sua casa da quattro, dopo averli bene pasciuti, ne uccise due, e fece fuggire li altri malamente feriti”.

Il caso del Regno di Napoli è stato solo quello più famoso e più significativo. In molti altri luoghi d’Italia, si sono realizzate insurrezioni analoghe a quella del Regno di Napoli: in Piemonte, in Lombardia, nella Serenissima, a Parma e Piacenza, a Lucca, in Toscana, a Bologna, a Ferrara, a Ravenna, nelle Marche, nel Lazio. Ovunque, le insorgenze vengono guidate da contadini, pastori e artigiani, mentre i filofrancesi sono nobili, borghesi, ecclesiastici, specie quanti influenzati dall’illuminismo o dalla massoneria francese. Sconfitto, temporaneamente, l’esercito francese (nel marzo 1800, solo Genova, assediata, rimane sotto controllo francese) numerosissime sono le ritrattazioni (laddove, come nelle Marche, vengono accettate).

Vincenzo Cuoco, nella prima edizione del Saggio storico sulla rivoluzione napoletana, denuncia la responsabilità del militare francese Mejan, ma non spiega perché. Lo spiega Francesco Lomonaco in una lettera a Carnot: Mejan non ha cannoneggiato i Sanfedisti, dal castello Sant’Elmo che domina la città, oltre ad aver messo nel castello pochi cannoni e munizioni. Come è noto, il giudizio di Lomonaco su Mejan viene spesso collegato a quello di Cuoco. Amedeo Ricciardi, Giacobino poi emigrato in Francia, e Francesco Pignatelli Strongolo, generale di brigata, accusano Mejan solo per non aver utilizzato, vedendo infranta la capitolazione, il “dritto di rappresaglia su di quattro innocenti vittime messe in pegno nelle sue mani” e sui prigionieri inglesi in base al diritto che gli deriva “in forza di questo trattato”.

I Giacobini Cuoco, Lomonaco, Pignatelli e Ricciardi, come altri napoletani, nel 1799, si sono sentiti abbandonati dai Francesi e, per questo, addossano a Mejan, e per lui ai Francesi, la responsabilità della seconda e terza anarchia. In pratica, Cuoco e Lomonaco pretendevano carneficine indiscriminate, mentre Ricciardi e Pignatelli pretendevano solo più durezza nell’esigere il rispetto della capitolazione. Ritornati i Francesi nel 1806, i Giacobini, nuovamente riconoscenti, si lasciano tutto alle spalle. Tuttavia, solo Cuoco potrà togliere, riscrivendo il proprio testo, i riferimenti alle responsabilità di Mejan e dei Francesi.

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.