Alta Terra di Lavoro

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Lepanto e lo spirito di crociata

Posted by on Ott 30, 2021

Lepanto e lo spirito di crociata

Crisi della Cristianità medievale

Nel 1571 la Cristianità medievale non c’era più. Corrosa dallo spirito umanista e rinascimentale, spaccata prima dallo scisma d’Oriente e poi dall’eresia luterana, indebolita dalle politiche machiavelliche, in balìa dei godimenti sensuali che la nascente modernità offriva, l’Europa sembrava un frutto marcio pronto a cadere nelle mani dell’Impero Ottomano.

Anche nella Chiesa era penetrato questo marciume, dando luogo a una serie di Pontefici dediti più alla cura dell’arte e alle scienze umanistiche che non alla difesa della Fede e della Cristianità. Mi vengono in mente le parole dell’Apocalisse: “Conosco le tue opere; ti si crede viva e invece sei morta. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire” (Apoc. 3, 1-2).

Nessuno parlava più di crociata. La stessa Cavalleria, in altri tempi una delle più alte espressioni dell’austerità cristiana, era diventata prima amorosa e sentimentale, e poi meramente mondana. È indicativo che nella battaglia di Alcacer Quibir, combattuta nel 1578 dal Re Dom Sebastião contro i musulmani del Marocco, il reggimento di élite, che radunava il fior fiore della nobiltà portoghese, si chiamava Os Namorados, Gli Innamorati. Lo scontro finì con la totale sconfitta dei cristiani. Os Namorados furono sterminati.

Gli eroi dell’epoca non erano più San Luigi né San Ferdinando, bensì Giovanni delle Bande Nere, Bayard, Gaston de Foix, o lo stesso Muzio Attendolo, a cui Milano tanto deve. Guerrieri magnifici, ma in cui l’ideale specificamente cattolico era ormai pressoché assente.

Le stesse guerre di contenimento del nemico islamico, per esempio nell’Adriatico, erano dettate più da motivi politici e commerciali che religiosi. Lo spirito mercantilista aveva soppiantato l’idealismo crociato. Conosciamo bene la frase “Siamo veneziani, poi cristiani”. Ma lo stesso si poteva dire di quasi tutti i popoli europei.

La Francia, figlia primogenita della Chiesa e anima delle crociate – al punto che, fino ad oggi, i musulmani chiamano i cristiani “franchi” – era alleata del Turco, in chiave anti-imperiale. E anche se così non fosse stato, era talmente dilaniata dalle guerre di religione, che difficilmente avrebbe potuto partecipare a uno sforzo congiunto.

Lo stesso Filippo II – che poi sarà l’asse dell’alleanza cristiana – temporeggiò a lungo. Tutti gli storici lo ammettono, perfino quelli che lo ammirano: il Re di Spagna era un uomo molto indeciso e titubante. Dovendo risolvere una situazione, camminava lungamente avanti e indietro. Papa san Pio V dovette mandare un’ambasciata dopo l’altra per vincere la tremenda indecisione di Filippo. Secondo alcuni storici, fu proprio questa indecisione a provocare il disastro dell’Armata Invincibile nel 1587. Gli si rinfaccia, per esempio, l’aver scelto uomini molli, come Luis de Requesens, inviato a Lepanto come aiutante di campo di Don Giovanni d’Austria, ma in realtà per controllare gli “eccessi” di zelo del giovane condottiero. Infatti, nel consiglio di guerra tenutosi la vigilia della battaglia sulla nave ammiraglia La Real, Andrea Doria e Luis de Requesens opinarono per una ritirata strategica. Seccato, Don Giovanni d’Austria li rimproverò: “¡Ya no es tiempo de debate sino de combate!”.      

Un soffio rigeneratore

Potremmo andare avanti per ore, elencando i molteplici segni di debolezza e di decadenza di cui l’Europa dava allora mostra. Eppure, quando Papa Ghislieri lanciò l’appello che culminò nella formazione della Lega Santa, qualcosa di profondamente medievale soffiò in tutto il continente, non tanto nelle classi dirigenti quanto nella popolazione. Abbondano le memorie dell’epoca che raccontano il giubilo che accolse la notizia della convocazione, e lo slancio con cui si arruolarono i volontari. È frequente, almeno in Spagna, parlare di Lepanto come “un gran acontecimiento sentimental”, un grande evento sentimentale, vale a dire un evento che andò oltre gli aspetti politici e sociali, toccando il più profondo dell’anima europea. Lo stesso Miguel de Cervantes Saavedra, di spirito piuttosto liberale come più tardi vedremo, si arruolò e partecipò alla battaglia, perdendo perfino una mano. Per questo motivo è sopranominato il Monco di Lepanto.

Questo soffio rigeneratore, che prescindeva dalla titubanza interessata dei capi – che perdevano tempo a litigare tra loro – si propagò per mezza Europa, e in particolare nei Paesi latini cattolici. Gli autori ispanici – quelli che ho maggiormente letto a questo riguardo – sono concordi nel dire che l’appello di Papa san Pio V fece balenare nell’anima di molti un risorgimento dello spirito di crociata. Questo entusiasmo si propagò agli Ordini di cavalleria, quasi fosse un’opportunità per risuscitare vecchie glorie. Nella sua celebre Histoire des Croisades, lo storico Joseph François Michaud afferma: “La battaglia fra cristiani e turchi [a Lepanto] ricordava in certo modo lo spirito e l’entusiasmo delle crociate” (Libro XIX, p. 553).

È degno di nota ricordare l’acceso fervore religioso con cui la flotta si preparò a Messina. Le cronache raccontano che quasi tutti gli ottantamila marinai e soldati si accostarono alla Confessione e alla Comunione. Abbondarono i casi di conversione e di cambio di vita. Un piccolo esercito di figli di Sant’Ignazio di Loyola, alloggiati nel Collegio dei gesuiti presso la chiesa di San Giovanni Battista, diede manforte ai cappellani militari delle galee. I sacerdoti lavoravano a turni 24 ore su 24. San Pio V aveva chiesto esplicitamente a Don Giovanni d’Austria di licenziare i soldati che mostrassero cattive abitudini, promettendogli in questo modo la vittoria.

In aperto contrasto con lo spirito umanista dell’epoca, l’epopea di Lepanto fu intrisa d’ideale religioso. San Pio V affidò l’impresa alla Madonna, ordinò preghiere speciali e consegnò a Don Giovanni d’Austria il Gonfalone di San Pietro, issato sulla nave ammiraglia, il cui mastro centrale portava l’enorme Cristo di Lepanto, che possiamo ancora venerare nella cattedrale di Barcellona. Don Giovanni d’Austria portava sul suo petto una reliquia della Santa Croce. Una cronaca dell’epoca descrive le due flotte mentre si approssimavano: mentre da quella turca provenivano urla e gemiti animaleschi, da quella cristiana si innalzava un soave mormorio di preghiera. Lepanto non fu una battaglia moderna. Fu una battaglia medievale.

La figura centrale dell’epopea di Lepanto, direi il parafulmine di questa grazia di crociata, fu senz’altro Papa san Pio V. Se non fosse stato per il suo impegno non ci sarebbe stata la Lega Santa. San Pio V si comportò da vero eroe, combattendo fino all’ultimo momento. Si può supporre che la famosa visione che egli ebbe sull’esito della battaglia sia stata una ricompensa della Provvidenza per i suoi sforzi. San Pio V era in riunione con alcuni dignitari della Curia. A un certo punto si alzò e iniziò a pregare, sollecitando i prelati a unirsi a lui. Poi, guardando dalla finestra, ebbe la visione della Madonna Ausiliatrice, che gli rivelò che la battaglia di Lepanto era stata vinta. Rivolgendosi ai prelati esclamò: “Signori, abbiamo riportato una grande vittoria!”. Fu chiaramente una rivelazione soprannaturale, poi confermata giorni dopo con l’arrivo della notizia. Ora perché proprio a lui? Prima di tutto perché era il capo della Cristianità. Ma anche perché era stato un vero eroe che aveva fatto uno sforzo uguale o maggiore di quello dei combattenti di Lepanto.

Protagonista di questa grazia di crociata fu anche la Spagna. Essa veniva da otto secoli di lotta contro i musulmani, l’ormai leggendaria Reconquista, e passò senza soluzione di continuità alla conquista del Nuovo Mondo, portandovi lo stesso spirito di crociata. Usando un’espressione coniata da Guilbert de Tournai nel 1260, e poi ripresa dal beato Raimondo Lullo, si passò dalla crux cismarina alla crux ultramarina. La Reconquista fu definita una crociata dai Papi dell’epoca. Anzi, la Spagna fu la prima a ottenere il privilegio di crociata, vale a dire le indulgenze legate alla guerra contro gli infedeli, da Papa Alessandro II, nel 1063, ben trent’anni prima che il beato Urbano II predicasse la prima crociata a Clermont. Nel 1102, Papa Pasquale II equiparò la Reconquista alle crociate in Terra Santa, proibendo agli ispanici di recarsi in Medio Oriente per non disperdere le forze. Quando san Luigi IX di Francia chiese a suo cugino san Ferdinando III di Castiglia aiuto per la sua crociata nell’Africa settentrionale, costui rispose: “Hartos moros tengo yo en España – Ne ho abbastanza di mori qui in Spagna”.

È riconosciuto dagli storici che il passare dalla Reconquista alla Conquista senza soluzione di continuità, preservò largamente la Spagna dalla decadenza in cui era precipitata buona parte dell’Europa. Sicché essa poté portare a Lepanto lo spirito di crociata che ancora animava le sue armate.

Una parola a margine. Si parla tanto della “flotta spagnola”, brillantemente comandata da Don Álvaro de Bazán, marchese di Santa Cruz. In realtà, essa era composta anche da navi siciliane, pugliesi e napoletane, senza dimenticare la flotta calabrese agli ordini del principe Gaspare Toraldo di Tropea. E non possiamo non menzionare la galea Lomellina, al comando di Agostino Canevari. E anche le truppe imbarcate erano in buona parte italiane. Dal Tercio di Napoli, agli ordini di Don Pedro de Padilla, imbarcato sulle navi napoletane e messinesi, al Tercio di Sicilia, agli ordini di Don Diego Enríquez, imbarcato sulle galee siciliane.

La controffensiva

La Rivoluzione non poteva rimanere inerte di fronte a un tale risveglio dello spirito di crociata. E partì dunque la controffensiva. Parlando della Spagna, proprio a quell’epoca inizia una sorta di rivoluzione culturale che, attraverso soprattutto la letteratura e la musica, attua profondi cambiamenti nella mentalità delle persone. Nasce, per esempio, la commedia picaresca, che introduce uno spirito frivolo, gaio e spensierato che spazza via l’austera serietà dei tempi antichi, fondamento dello spirito di crociata.

Alcuni autori sollevano l’ipotesi che il celebre romanzo Don Quijote de la Mancha, di Miguel de Cervantes, sia stato scritto con questa finalità. Esso racconta, infatti, la storia di un idalgo che, a forza di leggere romanzi di cavalleria, “usciva di senno”. Il Chisciotte è la perfetta caricatura del cavaliere. Allo stesso tempo lo glorifica e ne celebra il funerale. Dopo il Chisciotte, lo spirito di cavalleria non sarà mai più lo stesso. Qualsiasi sfoggio d’idealismo sarà ipso facto deriso come una “chisciottata”. Qualsiasi desiderio di lottare contro la Rivoluzione sarà schernito come un “caricare mulini a vento”.

È possibile questo soffio rigeneratore oggi?

Mi avvio alla conclusione sollevando una domanda: è possibile un tale soffio rigeneratore nei giorni nostri? È possibile che lo spirito di Lepanto si manifesti ancora? Tutto sembrerebbe indicare una risposta negativa.

Tanto per cominciare, non abbiamo un beato Urbano II, né un san Pio V, né un beato Innocenzo XI. Non abbiamo nemmeno un Giovanni d’Austria, un Eugenio di Savoia o un Jan Sobieski.

Tuttavia, se analizziamo dal punto di vista teologico questa grazia che ho chiamato “spirito di Lepanto”, vediamo che essa ha come caratteristica principale l’essere concessa proprio in momenti di grande decadenza. Nel 1571 la Cristianità medievale non c’era più. Eppure, questa grazia fu concessa e ci fu la vittoria. Nel 1936, la Chiesa in Spagna era decadente. Eppure, come scrisse il cardinale Isidro Gomá y Tomás, Primate di Spagna, “la guerra ebbe il merito di trasformare una Chiesa decadente in una Chiesa martire”. E anche qui ci fu la vittoria.

Chiediamo alla Divina Provvidenza che, in questo auge delle tenebre, ci conceda la grazia che mosse i guerrieri a Lepanto, affinché anche questa volta ci sia la vittoria. Una vittoria in realtà scontata, poiché a Fatima la Madonna promise il trionfo del suo Cuore Immacolato.

fonte

https://www.atfp.it/novita/2051-lepanto-e-lo-spirito-di-crociata

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