L’eroismo, atto fondante del cristianesimo di Alfredo Saccoccio
L’archetipo dell’eroe italiano è ben lui, Michele Pezza, detto “Fra’ Diavolo”! Eroe perché aveva la scelta. Ci viene una definizione dell’eroismo: la scelta di morire per una giusta causa, quando vi si offre di vivere per tradirla. E’ probabilmente quella che è la più vicina alla tradizione di esaltazione del coraggio contro la viltà. Ne esistono certamente molte altre.
Quale differenza tra l’eroismo e il semplice coraggio ? Il coraggioso rischia la propria vita per una buona causa. Egli la rischia, è già enorme, ma la rischia soltanto. Una volta presa la decisione di fare atto di coraggio, la morte non è che una eventualità, al peggio una forte probabilità.
I nostri nonni della prima guerra mondiale erano eroi ? Certi lo sono stati, con atti individuali di coraggio. Altri no, perchè essi non avevano più la scelta tra vivere e morire. Era morire in ogni modo. La certezza di morire non conferisce, dunque, le insegne dell’eroismo. Per essere unn eroe, occorre dunque avere la scelta di non esserne una. Gli inventori dei campi di sterminio, staliniani o nazisti, gli scienziati dell’eliminazione pianificata, non hanno lasciato alcuna scelta alle loro vittime, soprattutto non quella di morire da eroe, per umiliarle ancora di più.
Pantheon morale
Il cristianesimo si è fondato su un atto di eroismo che ha posto la prima pietra del nostro pantheon morale. Dalla sua via crucis sotto la frusta dei Romani alla sua lenta crocifissione, Gesù avrebbe potuto rinunciare, mille volte, a quel Dio unico, la cui sola evocazione valeva la pena di morte. Niente monoteismo senza martire. Era il prezzo della causa, il solo garante della sua perennità. E il martire della fede si è perpetuato lungo tutti questi venti secoli. E non si è trovato un santo per rifiutare lo scambio della propria esistenza temporale contro la vita eterna. L’eroismo contiene la divinità fin nella sua etimologia. E che fanno gli eroi se questo non è perpetuare l’atto fondante del cristianesimo ? Peccato d’orgoglio diranno i guardiani del tempio. Chi sono questi eroi che si accendono per Dio ? Semplici cristiani che cercano di accedere alla vita eterna. E se non è nell’aldilà, almeno nella memoria umana. Michele Pezza sorvolerà i secoli.
Lo si è capito, l’eroismo esige una dose non ragionevole di sacrificio, ma questo dono di sè, della propria vita, non vale atto di eroismo che se è sotteso da una giusta causa. Ed è lì dove l’eroe, a nostro parere, deve applicarsi al massimo del discernimento. Nessuno ha dimenticato quei giovani tedeschi appena entrati nell’adolescenza, ingolfati nelle loro uniformi di drappo verde, resistenti delle ultime ore del maggio 1945, eroi disperati, accaniti a difendere il bunker dell’orribile bestia contro l’avanzata sovietica. Chi si ricorda di essi ? Come sapere che la causa era immonda, quando la gioventù hitleriana ha messo su , per vivere, una sola verità o soccombere. Chi si ricorda dei kamikaze glorificati nel loro tempo, funesti meccanici di orologeria regolati a seminare la morte sulle portaeree americane. Il fanatico non è un eroe. L’eroismo presuppone che xolui che dà la propria vita ha, in fondo a sè, l’intelligenza della propria causa. L’incosciente non ha il suo posto nella cerchia molto chiusa degli eroi, poiché la causa è indissociabile dalla coscienza del prezzo della vita.
Una buona causa sposa l’eternità. Non attraversano i secoli che quelli che hanno scambiato la loro vita con una irreprimibile avanzata dell’umanità intiera. Mermoz l’ha fatto, affinché delle lettere d’amore attraversino l’Atlantico Sud Per avvicinare questa umanità che ha tanta difficoltà a parlarsi. E se, dalla fine degli anni Sessanta, la gioventù diffida degli eroi, è perché essa dubita della perennità delle cause. La lotta contro il collettivismo vale di far credere a ragazzi che essi morivano da eroi nel Vietnam sterminando con napalm dei contadini annientati in risaie. La regressione del tempo e della storia è spesso impietosa per le grandi cause, di cui si percepisce il rovescio e l’inutilità del sacrificio che è stato loro consentito. “ Morire per delle idee”, diceva Georges Brassens, d’accordo ma di morte lenta.”
L’eroe di guerra è in via di sparizione. L’approccio puramente tecnologico dei conflitti rende la sua produzione aleatoria. I bombardieri volano ad altezze che li mettono praticamente fuori di tiro, inattaccabili. La fanteria non interviene che dopo lunghi preparativi che le assicurano di non incrociare lo sguardo del nemico. I conflitti non lasciano più spazio all’atto individuale. Gli intellettuali l’hanno capito. Essi sono passati dal combattimento, come Malraux durante la guerra di Spagna, al sostegno umanitario, che permette di parlare forte lasciando ai professionisti la cura di fare il loro mestiere.
L’eroismo sarebbe divenuto per i nostri contemporanei tanto desueto quanto quelle medaglie di combattenti francesi della Prima Guerra mondiale, che si scambiano al mercato delle pulci per qualche euro, senza preoccuparsi che esse ricompensavano la perdita di una gamba, di un braccio o di un occhio. Senza dubbio, perché il secolo scorso che aveva cominciato parlando dei doveri collettivi dell’umanità termina parlando dei diritti individuali di ciascuno, anche se alcuni pretendono il contrario. I prescrittori delle grandi cause hanno perduto la loro credibilità e la loro forza di convinzione. Si realizza così,- era ora- che non è per forza necessario prendere delle vite per far avanzare l’umanità. L’eroe non era finalmente profondamente legato alle idee di patria, di nazione, di ideologia, di reazione al dominio arbitrario, che si sono fuse, per noi occidentali, in un gigantesco internazionale del commercio che stabilizza le democrazie. L’eroe si è adattato., divenendo un prodotto. Cinematografica, mediatica, Hollywood è un’industria dell’eroe americano, basata su un principio accessibile a tutti : il bene americano contro il male proteiforme.
Un motociclista italiano è morto per le fiamme nell’ultima delle diciotto scorte che gli avevano permesso di salvare tante vite dall’inferno del tunnel del Monte Bianco. Due trafiletti in una stampa che monopolizza le sue colonne a piangere sui suoi eroi decaduti, sui ciclisti dopati, sugli imbroglioni che una moltitudine all’impiedi acclama come benefattori dell’umanità. Ci sentiamo a disagio, quando si applica il termine di “eroi” ai vincitori dells Coppa del Mondo di calcio . il rischio era così scarso…
Gli eroi sono morti
Gli eroi sono morti con le parole, poiché una stessa parola è utilizzata per uno sportivo ed un pilota di Spitfire, della battaglia di Inghilterra. Non c’è alcuna nostalgia ad aver, per tante lacrime e tanto sangue, un semplice pudore riconoscente.
La progenie degli eroi si è spenta. Il suo ramo cadetto, quello del coraggio, gli sopravvive. Con segni di affanno, per mancanza di essere esaltata come dovrebbe da una classe politica , di cui questo non è la qualità dominante. Qualcuno si lascia dolcemente circondare da questi estremi contro i quali hanno combattuto i nostri eroi. Non dimentichiamo che essi erano le eccezioni. Anche se si è voluto farci credere che l’Italia intiera era resistente.
Essa è una forma di eroismo di cui si parla poco, che si enuncia come il contrario della prima. E’ l’eroismo di quelli che hanno tutte le ragioni per morire e che, malgrado ciò. continuano a vivere. Essi sono attorno a noi, in gran numero. La malattia, una disgrazia ha distrutto il loro mondo infliggendo loro l’inumana coabitazione con l’assurdo. Essi si aggrappano alla vita per il semplice fatto di onorarla. Pensiamo ai nostri giovani amici che hanno perduto la loro figlioletta unica l’anno scorso. La loro dignità è il nostro eroismo. Resta del campo per l’ammirazione dei nostri contemporanei. Lo si dimentica troppo spesso.