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L’esperimento costituzionale del 1848

Posted by on Mar 11, 2017

L’esperimento costituzionale del 1848

Ferdinando II fu il primo sovrano italiano a concedere la Costituzione, che venne promulgata il 10 febbraio 1848. Il re intendeva in tal modo togliere motivazioni agli indipendentisti siciliani, in rivolta dal 1847, e corrispondere alle pressanti istanze dei liberali napoletani (sempre nel 1847 Luigi Settembrini aveva scritto la “Protesta del popolo delle Due Sicilie”).

Sull’esempio di Ferdinando II, anche gli altri regnanti italiani intrapresero la via costituzionale (Carlo Alberto in un primo tempo dichiarò che “mica sono come quel Borbone che ha accettato il diktat degli insorti, facendo la cosa più deleteria che si possa immaginare (1)“).

Con la costituzione, il “suddito” acquisiva sia la dignità di “cittadinanza civile” (libertà personale, di stampa, di associazione, di proprietà), sia quella di “cittadinanza politica” (al Re si affiancava il Parlamento composto da due Camere, una di 164 deputati eletti dal popolo, l’altra di 50 “Pari” nominati dal sovrano). Le elezioni si svolsero il 18 aprile, ma il 15 maggio 1848, in coincidenza con l’apertura dei lavori parlamentari, una parte di deputati attuarono un tentativo di rovesciare la monarchia.

Utilizzando agenti provocatori e facinorosi, vennero erette barricate nelle strade e ci furono scontri con molte vittime. In effetti, da circa un secolo l’intellighenzia meridionale, conformatasi ai principi illuministici che nel Sud avevano trovato la massima diffusione, era stata su posizioni antimonarchiche.

A seguito della rivolta furono sciolte le Camere ed indette nuove elezioni per il 15 giugno 1848. Il 1° luglio il Parlamento aprì i lavori con la relazione programmatica del Re, che fu approvata il 1° agosto dalla Camera dei Deputati ed il 5 agosto da quella dei Pari. “Le due camere svolsero una modesta attività (…) non formularono alcun progetto di legge (…), il 5 settembre i lavori furono rinviati di due mesi (…), il 6 febbraio 1849 il Ministro delle Finanze fece un discorso sul bilancio dello Stato con le relative tasse, i deputati si opposero affermando che per esigere imposte occorreva un voto del parlamento e che il governo in carica (nominato dal Re) non riscuoteva la loro fiducia, inoltre si censurò la politica interna del sovrano; i contrasti non si appianarono e il conflitto governo-Re da una parte e deputati dall’altra fu risolto il 12 marzo da Ferdinando II il quale sciolse la Camera stabilendo nuove elezioni che mai si tennero (2)“. Il 7 agosto 1849 fu nominato presidente del Consiglio e delle Finanze il lucano Giustino Fortunato, già aderente alla Repubblica Napoletana e al governo di Murat.

La costituzione fu sospesa e il Re, restaurando la monarchia assoluta, assunse verso i liberali un atteggiamento sprezzante, chiamandoli “pennaruli” (3). Iniziò una ferma politica repressiva con le liste degli “attendibili” (cioè dei sospetti) compilate da un corpo speciale di polizia i cui membri erano chiamati “i feroci”.

Di contro i liberali continuarono ad affibbiargli gli appellativi infamanti che si aggiungevano a quello di “Re Bomba” acquisito dopo il bombardamento di Messina del settembre 1848 da parte della flotta da guerra (all’epoca la terza del mondo), nell’ambito della repressione del movimento indipendentista siciliano. Nessun liberale diede del “re bomba” a Vittorio Emanuele II che fece cannoneggiare, causando migliaia di morti, Genova, Ancona, Gaeta e Palermo e che invece conservò l’appellativo di “re galantuomo”.

I liberali continuarono a ricorrere anche a sanguinosi atti di violenza per rovesciare il sovrano, compreso un tentativo di regicidio.

La frattura del 15 maggio 1848 non si ricompose più e così fallì il primo esperimento costituzionale d’Italia. In realtà nessuno sa con certezza cosa pensasse Ferdinando, all’inizio del 1848, della Costituzione. Molti storici affermano che nel suo intimo la avversasse (come del resto tutti i sovrani dell’epoca), ma non c’è dubbio che l’esperimento costituzionale fallì anche per l’atteggiamento massimalistico dei liberali. Successivamente, con l’Unità, essi accettarono lo Statuto Albertino, che s’ispirava agli stessi principi della Costituzione Napoletana del 1848 che avevano avversato con la violenza.

La maggior parte del popolo meridionale, viceversa, non desiderava evoluzioni politiche, anzi le osteggiava considerandole una lesione alle prerogative assolute del sovrano; il monarca era amatissimo, come dimostrato dalle manifestazioni di affetto esternate dai sudditi nel corso delle suo visite nelle province nel regno. Veniva considerato “il padre”, cioè il garante dei diritti del popolo contro le pretese dei baroni.

Le masse, insieme ai loro sovrani, consideravano i loquacissimi intellettuali liberali come degli inutili demagoghi. La popolazione, tutte le volte che poté scegliere, si schierò sempre con il proprio sovrano, come ben dimostrano i fatti del 1799, del 1820, del 1848 e infine la reazione postunitaria.

L’affetto del popolo per Ferdinando II era anche dovuto al carattere squisitamente meridionale del monarca che egli, pur nella consapevolezza della propria regalità, manifestava in tutti i suoi atti: dal senso della famiglia alla religiosità, dall’uso abituale del dialetto ai gusti alimentari, fino ad arrivare ai panni stesi ad asciugare nelle sale della reggia di Caserta.

Nel Sud l’ideale monarchico era talmente radicato da sopravvivere agli stessi Borboni, e finì per esternarsi persino nei confronti dei Savoia, i nuovi sovrani, nonostante la loro sciagurata condotta nei confronti del Sud. Nel suo esilio, Francesco II (ultimo re delle Due Sicilie) così rispose amaramente a chi gli ricordava il perdurante affetto del popolo meridionale: “Sì, è vero i Napolitani sono fedeli al Re, ma a qualunque Re del tempo, non alla mia persona”.

Ricordiamo al riguardo che nel Referendum repubblica-monarchia del giugno 1946 il Sud votò massicciamente per quest’ultima. Scrisse il ministro degli Interni Romita: “Nella notte tra il 3 e il 4 giunsero, pero’, improvvisamente i dati di un nutrito gruppo di sezioni meridionali e la Monarchia passò in vantaggio.

Fu la notte più terribile: intorno alle ventiquattro sembrò che ogni speranza fosse perduta (…) mi accasciai sulla poltrona, gli occhi fissi verso l’alto soffitto in ombra (…) il telefono squillò più volte (…) proprio a me, repubblicano da sempre, sarebbe spettato dire ai lavoratori che l’ultimo rappresentante della più inetta casa regnante d’Europa sarebbe restato al proprio posto ed enormemente rafforzato dalla riconferma popolare?

<> E che cosa avrei detto a Nenni, a Togliatti, a tutti gli altri, che non volevano l’avventura del referendum?”; quando Umberto II, ultimo re sabaudo, si imbarcò all’aeroporto di Campino di Roma per l’esilio in Portogallo “un vicebrigadiere dei carabinieri lo saluta, egli si ferma a stringergli la mano: ” Vi aspetteremo per sempre, Maestà!”, dice il giovane con accento napoletano“. (4)

<>Il convinto appoggio popolare convinse ancora di più Ferdinando II dell’inopportunità di una monarchia costituzionale e sulla giustezza della sua politica paternalistico-totalitaria. Nella sua concezione, Stato Nazione e Popolo si identificavano in un unico “totale”, che trovava espressione, guida e garanzia nella sua stessa persona.

Fu un autocrate con ministri ridotti al ruolo di semplici esecutori della sua politica. Voleva essere costantemente al corrente di tutto quello che succedeva nel regno e questo lo costrinse ad un impegno massacrante, diviso tra lavoro a tavolino e lunghe udienze nelle quali ascoltava pazientemente interlocutori che potevano arrivare anche a più di cento in una sola giornata. Il resto del tempo era dedicato alle funzioni religiose ed alla famiglia (ebbe numerosi figli: dall’unione con la prima moglie Maria Cristina di Savoia, nacque l’erede al trono Francesco; tutti gli altri dall’austriaca Maria Teresa, “Tetella”, sposata dopo la morte di Maria Cristina.

Le cerimonie ufficiali lo annoiavano. Amava assistere alle parate militari, ed i suoi svaghi erano limitati a qualche passeggiata in carrozza, che amava condurre personalmente. Nemmeno i più accessi oppositori riuscirono a muovere critiche riguardo la sua integrità morale, virtù non molto diffusa nei sovrani del suo tempo: basti pensare a Vittorio Emanuele II, che dilapidò somme enormi per le sue innumerevoli relazioni extraconiugali, e che generò uno stuolo di figli illegittimi.

È pur vero che la difesa dell’istituto monarchico assoluto da parte di Ferdinando II, a metà del 1800, fu una scelta anacronistica: essa mirava a contrastare l’avanzata del movimento rivoluzionario liberale (spesso asservito ad interessi economici stranieri), ma risultò alla fine insoddisfacente anche a quei ceti medi che, rafforzatisi grazie alla politica di sviluppo economico del Re, reclamavano partecipazione alla politica.

Note al capitolo 5: (1) Lorenzo Del Boca, “Indietro Savoia”, Piemme, 2003 torna al testo (2) Giuseppe Coniglio, ” I Borboni di Napoli“, Corbaccio, 1999, modif. torna al testo (3) cioè demagoghi, grafomani e simili torna al testo (4) Falcone Lucifero, L’ultimo re, Mondadori, 2002, pag. 556 torna al testo

Tratto da:

Le monografie storiche di Giuseppe Ressa

 

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