Lex orandi, lex credendi di Gianandrea de Antonellis

«La fede della Chiesa precede la fede del credente, che è invitato ad aderirvi. Quando la Chiesa celebra i sacramenti, confessa la fede ricevuta dagli Apostoli. Da qui l’antico adagio: “Lex orandi, lex credendi” (oppure: “Legem credendi lex statuat supplicandi”, secondo Prospero di Aquitania). La legge della preghiera è la legge della fede, la Chiesa crede come prega. La liturgia è un elemento costitutivo della santa e vivente Tradizione».
Catechismo della Chiesa Cattolica, 1124
Letteralmente: “la legge della preghiera [è] la legge del credere”, oppure potremmo parafrasare “il contenuto e il modo di pregare determina il contenuto e il modo del credere”. L’espressione sembra attribuibile a Prospero d’Aquitania (390-430 ca.), in un suo scritto contro il pelagianesimo (De gratia Dei et libero arbitrium contra collactiones)ed è divenuta un vero e proprio principio teologico.
Esso si riferisce alla relazione tra il culto e la fede: in epoca in cui ancora non esistevano formule di fede o promemoria di fede quali saranno i dogmi, e ancora non era stato fissato il canone biblico, regola di fede erano gli annunci presenti nelle asserzioni della liturgia, il cui valore “probante” cresceva con l’uniformità tra le chiese sparse nei territori in cui avevano predicato gli apostoli.
Il rapporto tra lex credendi ed orandi ricorda un po’ quello tra legittimità di origine e di esercizio: la lex credendi precede e determina inizialmente la lex orandi, ma successivamente il rapporto si può ribaltare e il modo di pregare determina il modo di credere.
Il principio lex orandi, lex credendi, è la principale fonte per fissare i contenuti della fede ed esprime la relazione reciproca tra liturgia e dogma.
Detto più semplicemente, significa che la preghiera liturgica al contempo riflette ma anche influenza ciò che viene creduto comunemente. I cambiamenti nel contenuto dottrinale delle preghiere liturgiche, quindi, cambiano inevitabilmente ciò in cui credono i fedeli.
Monsignor Lefebvre ha affermato:
Non è possibile modificare profondamente la lex orandi senza modificare la lex credendi. Alla Nuova Messa, corrisponde un nuovo catechismo, un nuovo sacerdozio, nuovi seminari, nuove università, la chiesa carismatica e pentecostale – tutte opposte all’ortodossia e all’antico magistero della Chiesa.
Dal canto loro, i modernisti, forse più che qualunque aspirante riformatore religioso precedente, riconoscevano questo innato e profondo potere che la liturgia possiede perché il sentimento e l’esperienza religiosi costituiscono uno dei fondamenti del loro sistema. Se la liturgia (la lex orandi) può essere cambiata in una tale maniera da riflettere l’“illuminata” ideologia modernista, l’esperienza religiosa del credente cambierà, e con essa, ciò che egli crede (la lex credendi). In questo modo il dogma progredirà ed evolverà.
Lex orandi, lex credendi – la legge della preghiera sarà la legge del credere. E così, le conseguenze della messa di Paolo VI non dovrebbero sorprendere: Lex delendi, lex negandi.
Chiariamo un concetto: la messa di Paolo VI non è la traduzione in italiano della Messa tradizionale, bensì qualcosa di completamente diverso. Di conseguenza, quando si propone di tornare alla “Messa di sempre”, non si propone solamente
Nella messa antica il Sacerdote è rivolto all’altare (simbolicamente verso Dio), e lo scopo del rito è la purificazione del sacerdote che celebrerà la Messa e la lode di Dio. Nella messa nuova, il prete si rivolge all’assemblea (simbolicamente verso l’uomo), e lo scopo del rito è di favorire l’unità tra i membri dell’assemblea che, collettivamente, celebreranno la Messa.
I risultati?
Non diciamo dunque ‘nuova Messa’, ma piuttosto ‘nuova epoca’ della vita della Chiesa”. Così ha detto Paolo VI nel suo discorso del novembre 1969 sul nuovo rito.
E in effetti così è stato. Perché in quaranta anni da quella funesta prima domenica di Avvento del 1969, quando la Messa di Paolo VI fece il suo debutto, le ordinazioni negli Stati Uniti sono diminuite del 72%, le iscrizioni al seminario del 90%, i seminari del 66%, le suore insegnanti del 94%, le iscrizioni alla scuola cattolica del 55% e la partecipazione alla messa del 60% circa. Le istituzioni che rimangono sono infestate dal modernismo.
La vita cattolica in altri paesi ha subito un simile drammatico declino: ora è quasi morta in Europa, e un giorno in un futuro non troppo lontano, quello che fu il continente della Cristianità sarà musulmano.
Il Concilio Vaticano II, lungi dal lanciare quella che Giovanni Paolo II definì “una nuova primavera per la Chiesa”, si è rivelato una bomba atomica che ha scatenato un inverno nucleare. E ciò che ha indotto la sua ricaduta ai quattro angoli del mondo cattolico è stata la Messa di Paolo VI, il motore di una rivoluzione religiosa che ha distrutto la fede e la pietà nel-la mente e nel cuore dei Cattolici di tutto il mondo.
È tempo di mettere da parte le evasioni e le negazioni, e di liberare il mondo da quella mostruosità ecumenica e moderni-sta che è la messa di Paolo VI.
Questa Messa è finita. Deve andarsene.
Per approfondire la problematica, consiglio vivamente la lettura dell’ottimo saggio – da cui sono tratte le citazioni precedenti – di Anthony Cekada, Frutto del lavoro dell’uomo. Una critica teologica alla messa di Paolo VI (Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia 2019, p. 420, € 19), in cui viene ricostruita attentamente l’opera di distruzione della Fede cattolica attraverso l’abolizione della Messa tradizionale e vengono smontate le menzogne “archeologiste” dei modernisti.
Un altro testo dello stesso autore, contenuto nel precedente, è: Non si prega più come prima.
Per la storia del Messale tridentino:
Claude Barthe, Storia del messale tridentino, Solfanelli, Chieti 2028
Il romanzo cattolico a cui ho fatto riferimento è Il demone meridiano di Paul Bourget.
* * *
La “Barbajada” è una bibita inventata dal mio bisarcavolo Domenico Barbaja, mischiando cioccolato, caffè e latte, per stimolare, irrobustire e addolcire. La presente rubrica intende rivolgersi al lettore stimolandolo con il caffè delle considerazioni, irrobustendolo con il cacao delle dimostrazioni e, possibilmente, addolcire il tutto, rasserenandolo con lo zucchero dell’ironia o la panna della leggerezza.