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L’imbroglio nazionale intervista ad Aldo Servidio

Posted by on Lug 10, 2020

L’imbroglio nazionale intervista ad Aldo Servidio

Abbiamo posto le seguenti domande al dottor Aldo Servidio, autore del libro L’imbroglio nazionale. Unità e unificazione dell’Italia (18602000), edito da Alfredo Guida (via Port’Alba 19  Napoli).

Perché per il Suo libro ha scelto un titolo ‘Torte” come L’imbroglio nazionale? Non ha paura di essere accusato di “attentato all’unità nazionale”?

Il titolo “principale” (L’imbroglio nazionale) è stata l’ultima cosa che ho concepito. O, meglio, l’ho semplicemente trasferito in copertina dalle “conclusioni” della mia ricerca che riguarda (come indica il “sottotitolo”) i motivi e le circostanze che stanno alla base dello stranissimo processo di unione di un Paese che dopo oltre 140 anni non ha prodotto l’unificazione dei popoli italiani.

Non ho alcuna paura di attentare all’unità nazionale, perché questa paura dovrebbero averla quelli che l’hanno impedita per privilegiare un tipo di unione funzionale a precisi interessi che hanno sacrificato  e sacrificano  la piena valorizzazione delle risorse dell’intera comunità: non si attenta all’unità nazionale se si dimostra  per atti e documenti pubblici ed ufficiali  come l’aggettivo “nazionale” sia stato costantemente adoperato come “foglia di fico” per coprire comportamenti “antiunificanti”.

Vuole sintetizzare, per i nostri lettori, la Sua affermazione secondo cui l’obiettivo della reale unificazione dell’Italia venne concepito come “effetto passivo ed automatico” del rafforzamento organizzativo dell’Italia Superiore e, per conseguenza, “posposto” all’obiettivo dei mantenimento “costi quel che costi” di “quella Unità” come realizzatasi?

L’affermazione che la “potente organizzazione dell’Italia Superiore” fosse una priorità strategica degli “unitari” non è mia, ma è la precisa espressione usata, nel gennaio 1861, dal segretario di Cavour per spiegare al pugliese ori. Massari perché il Conte non “potesse venire a Napoli” per mettere ordine nella già disastrata gestione unitaria dell’ex Regno delle Due Sicilie. Che poi l’unificazione “reale” del Paese sia stato un obiettivo sistematicamente posposto al mantenimento del modello di unità desiderato dal blocco storico risorgimentale e dal successivo blocco sociale settentrionale, non è una mia “opinione”, ma il risultato che emerge con insopprimibile evidenza da “tutto” quel che è stato ‘Tatto e detto” dai protagonisti della Storia italiana per 140 anni (con una breve e travagliata parentesi dal 1950 al 1970): l’intero testo de L’imbroglio nazionale ne è la documentazione testuale.

Quando pubblicherà un’edizione più 9eggera” (nella forma, nel numero di pagine e nel prezzo) di questo Suo lavoro, importantissimo ma molto impegnativo?

La delicatezza del tema richiedeva un’esposizione anche un po’ arida e tecnica, per evitare ovvie supponenze interessate. Comunque, la domanda di una successiva edizione più leggera ed economica investe più l’editore che l’autore.

Quel che posso assicurare è la mia piena disponibilità e disinteresse economico anche a questa operazione; senza mancare di testimoniare la mia gratitudine all’editore che  nel pieno rispetto della Sua antica tradizione di coraggiosa promozione di tutte le voci culturali  ha affrontata la pubblicazione di un’opera di non facile “digestione”. Una buona risposta di pubblico già in questa fase potrebbe certamente costituire incoraggiamento per un’edizione meno impegnativa.

Vuole spiegarci meglio cosa intende con la frase: «Napoli non ha classe dirigente»?

La Sua domanda “semplifica” non un’affermazione contenuta nel libro, ma una mia risposta durante la presentazione dell’opera alla “saletta rossa” della Libreria Guida. Accetto la Sua semplificazione perché mi offre l’opportunità di dire qualcosa che va pur detta ma che può facilmente essere equivocata.

L’emigrazione di cui è stata vittima Napoli è un fenomeno che può essere capito solo comprendendo che nella città si sono sommate l’emigrazione cittadina e quella dell’intero hinterland che nella capitale trovava le occasioni di formazione: l’emigrazione da Napoli di personale ‘Tormato” per essere classe dirigente ha finito col riguardare l’intera e potenziale classe dirigente della Campania, e non solo. Perché questo è avvenuto e avviene? Semplicemente perché sono state sistematicamente frustrate le occasioni e possibilità di “utilizzare” in loco la classe dirigente. Che cosa è rimasto? La possibilità di accettare le condizioni “possibili” di vita in una prospettiva di ripiegamento progressivo verso profili sempre più centrati sul particolare e personale. ~ quel che  nelle conclusioni della ricerca  definisco come “assenza di rivolta civile” e che  come è noto  non significa 1umulto di piazza” ma, al contrario, capacità di adoperare le istituzioni per ottenere il rispetto delle esigenze civili di una comunità (quella meridionale) minoritaria (siamo il 38%) ma decisiva per il pieno funzionamento delle stesse istituzioni.

Non pensa che, per poter seriamente sperare di ottenere un’efficace difesa dei nostri interessi economici, sociali e politici, sia essenziale ottenere un risveglio della coscienza civile, della dignità e dell’orgoglio del Sud ed una più ampia e coraggiosa difesa della verità storica che venga travasata senza timori anche nei libri di testo scolastici e nella toponomastica delle nostre città?

Sono assolutamente convinto che la condizione socioeconomica del Mezzogiorno abbia un passaggio ineludibile sul piano compiutamente “culturale”. Che questo passaggio possa essere aiutato attraverso la ridefinizione dei fatti storici fin dalla scuola dell’obbligo è indubbio. Ma credo che la condizione perché questo possa produrre frutti sia un atto di coraggio corale che deve fondarsi su qualche cosa di estremamente concreto: la percezione precisa (perché, purtroppo, è vera fino all’incredibile) che la situazione attuale dell’Italia e dell’Europa “non” offrono più nemmeno le scarse possibilità di “Forzoso adattamento” che furono offerte all’ex Regno delle Due Sicilie subito dopo l’Unità.

Oggi, “adattarsi” furbescamente, rinunciando ad assumersi le responsabilità necessarie a fare “in proprio” quanto necessario (ed i costi inevitabili), sarebbe mortale per il Mezzogiorno: la vite recessiva toccherebbe in modo pesante e decisivo l’intera area rendendola, rapidamente, invivibile ed irrecuperabile.

In una parola: non più rivendicazioni ma idee chiare sulle necessità, i mezzi, le scelte utili per avviare un responsabile cammino di rinascita economica e sociale. Senza paura di sbagliare, ma sapendo che senza azione si sbaglia di certo e che solo recuperando capacità di agire ci si può consentire persino il lusso di sbagliare.

Per il Sud sarebbe essenziale, per aver peso e voce in capitolo sulla scena politica italiana ed europea, cominciare a muoversi come un tutt’uno, a costituirsi in Macroregione Due Sicilie o quantomeno Macroregione Sud continentale? Pensa che i Governatori delle Regioni del Sud, cogliendo l’importanza dei momento storico che viviamo, saranno sensibili a quest’esigenza?

Il problema di “contare” non si risolve con “modelli” organizzativi né può essere affidato alla “sensibilità” di questo o quel Governatore: si tratta di un problema di sostanza prima che di “forme”.

Quel che occorre avere chiare sono le “esigenze” delle comunità per crescere.

Come si può pensare, ad esempio, che si possa sapere di quanto la comunità effettivamente dispone se oggi non sono certi neppure i luoghi dove concretamente le imposte vengono prodotte? O dove effettivamente si spendono i soldi pubblici? O come sia possibile che la Campania possa ‘Tare concorrenza” alla Baviera adoperando le stesse regole di concorrenza europee? O come si fa a non capire che gli “aiuti” che possono migliorare le condizioni di concorrenza del Sud “non” possono prescindere da interventi sulla “gestione”?

Perché non si impone agli estensori della Costituzione europea la necessità di impostare una forma di “costituzionalizzazione” di un Protocollo specifico per tutte le aree del continente ove “non esistono” parità di concorribilità con le zone più sviluppate?

Che queste cose le richieda una sola macroregione o sette Regioni è indifferente: quel che è necessario è la maturazione di queste esigenze in tutto il territorio meridionale l’approntamento della forza politica per obbligare lo Stato ad operare in questo senso! I mezzi istituzionali esistenti bastano ed avanzano: quel che ancora non c’è è la volontà di usarli.

Come hanno reagito al Suo libro le sacre vestali napoletane della leggenda risorgimentale?

Le vestali – come Lei sa bene – stanno rinchiuse nel tempio, curano che il sacro fuoco non si spenga, escono solo quando l’imperatore e lo il senato le chiama a celebrare i riti. Diventano inutili se i riti diventano inutili ed il popolo li diserta!


Nazione Napoletana

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