L’importanza di un navigatore nel Medioevo siciliano
Si è sempre immaginato l’importanza delle navigazioni nel Medioevo condotte dagli italiani, per esaltare la predisposizione dei marinai italici verso il viaggio, soprattutto per mare. I grandi esploratori genovesi, veneziani, fiorentini inorgogliscono tutti gli italiani per le imprese compiute da questi uomini.
I viaggi per mare in un territorio programmato al commercio hanno contraddistinto le comunità del Bel Paese quando hanno portato nel mondo tante iniziative commerciali ancora oggi ricordati, per la relativa eccezionalità delle rispettive imprese compiute. La presenza delle repubbliche marinare, dei comuni anseatici rispetto a una contea, a un ducato oppure a un regno più consistente, determina la volontà politica di accrescere il prestigio di un territorio rispetto a un altro puntando a migliorare l’accaparramento di risorse in grado di sopperire ai bbisogni delle rispettive collettività.. Questo tipo di introiti ha proiettato queste società municipali a coltivare tutte le arti manuali, contribuendo nei secoli ad accrescere l’opulenza dei loro signori, e lo scambio di esperienze programmate a coltivare le strade del bel vivere. Se oggi l’Italia è nel mondo considerata la nazione più ricca di testimonianze artistiche in rapporto a materie come l’architettura, la pittura, la scultura l’artigianato, l’urbanistica è la conseguenza delle strategie politiche adottate da quelle comunità in questa nazione. Eppure, nel resto dei territori del Mezzogiorno italiano esistono le stesse testimonianze condivise dai confratelli italici del centro nord. Perchè la memoria storica non annovera fra le popolazioni del nostro meridione figure simili ai primi navigatori? Perchè la cultura non coltiva lo stesso esercizio nei confronti dei napoletani, degli abruzzesi, dei molisani, dei pugliesi, dei lucani, dei calabresi e dei siciliani? Come mai, il ministero della Publica Istruzione non adotta il medesimo strumento per esaltare le grandi imprese compiute da questi altri italiani? Da scolaro in giooventù, ascoltare le avventure dei navigatori della repubblica di Genova, quelli di Venezia, della signoria di Firenze, della repubblica di Pisa ha generato in me una forte attrazione verso quelle esperienze, ponendomi un quesito: quanti uomini nel sud italico hanno conquistato lo stesso simposio fra le città principali quali, Napoli, Salerno, Caserta, Pescara, l’Aquila, Campobasso, Foggia, Bari, Taranto, Lecce, Potenza, Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria, Messina, Catania, Siracusa o Palermo?. Nel remoto passato la culla della civiltà sotto le insegne della Magnia Grecia dava numerosi esempi di grandi uomini fra gli artisti, fra i matematici, fra gli architetti mostrando al mondo l’opulenza di questi territori, riportata dai monumenti che ne fanno ancora testimonianza. Poteva mai essere possibbile che in pieno umanesimo nessun italiano del sud era degno di essere ricordato per iniziative simili a quelle dei loro comprimari? Nella pubblicazione di fresco conio sulle imprese di un campano-siciliano, Pietro Rombulo, si ribalta un quadro dipinto a tinte fosche, mostrando nello stesso tempo storico dei Colombo, dei Polo, Vespucci, Caboto come di tanti altri che, anche nel Mezzogiorno, queste esperienze furono condivise da altrettanti personaggi ed esploratori. Non solo l’intrepido Pietro Rombulo aveva valicato le montagne del Medio Oriente, oppure le coste nord africane, ma altri come lui avevano fatto avventure medesime alla sua, vedi le imprese non meno degne di: Giovanni da Montecorvino che nel Duecento fu contemporaneo di Marco Polo per avere attraversato i territori dell’Asia Centrale spingendosi negli stessi anni del veneziano a Pechino, oppure Nino da Noto che un secolo dopo aveva percorso le stesse strade, spingendosi in Mongolia via terra, Giorgio Sur che nel Quattrocento dall’Africa orientale era penetrato in Persia per risalire gli altipiani e raggiungere da nord il Mar Nero, e da quelle sponde penetrare nel Mediterraneo per visitare i regni di Romania, Sicilia, Napoli e Roma, il Portogallo e il Belgio, se non che, in anni successivi altri fra i nostri esplorarono in epoche più vicine al Seicento Guatemala, El Salvador, l’Onduras e il Centro America, così pure l’Arizzona, e il Canada in una fase contraddistinta dagli incontri con i nativi d’America, come tanti altri ancora. La mia domanda rimane la stessa: che diritto hanno i nostri amministratori, politici, comunicatori, intrattenitori e artisti di determinare rispetto agli italiani, quanti sono degni di essere ricordati e celebrati, mentre il resto dei terroni no.
Alessandro Fumia