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L’influenza di Giambattista Vico sull’Illuminismo napoletano

Posted by on Dic 2, 2024

L’influenza di Giambattista Vico sull’Illuminismo napoletano

Giuseppe Gangemi

Dal 1707 al 1734, Napoli è sotto il controllo degli Austriaci ed è guidata, da Vienna, da sovrani che credono nel principio del dispotismo illuminato (i Romanorum Imperator Giuseppe I e Carlo VI). Nel periodo 1707-1719, è presente a Napoli un importante esponente del partito viennese dei riformatori illuminati: il generale Wirich Philipp Lorenz von Daun. A Napoli, il suo intento riformatore produrrà pochi risultati. Gli insuccessi napoletani di von Daun si intrecciano in qualche modo con le vicissitudini accademiche di Vico.

Dal giorno 1 novembre 1707 al 30 giugno 1708, von Daun svolge la funzione di Governatore. In otto mesi, ha appena il tempo di costruire il primo nucleo della marina militare austriaca a Gaeta. Una moderna marina e un moderno esercito richiedono riforme tributarie. Per esempio, far pagare le tasse a nobili e Chiesa, i quali, con gli Spagnoli, avevano accumulato un’incredibile quantità di esenzioni e privilegi. Von Daun non può interessarsene. Esigenze di guerra lo portano a lasciare l’incarico.

All’apertura dell’anno accademico successivo alla partenza di von Daun, probabilmente inconsapevole che, con il nuovo viceré, cardinale Vincenzo Grimani, il clima politico è cambiato, Vico scrive e legge la settima orazione (il De nostri temporis studiorum ratione, sinteticamente: De Ratione) davanti agli accademici e ai rappresentanti dei sovrani austriaci. In essa, Vico affronta il tema squisitamente politico del dialogo tra togati (élite intellettuali e politiche) e gregari. Le critiche che ne seguono sono numerose e alcune accuse sono gravi; rischia un processo per eresia e di perdere il posto di professore di Retorica all’Università di Napoli. Il De Ratione è considerato la prima grande opera filosofica di Vico. Ciononostante, gli viene tolto il diritto, connesso alla sua cattedra di Oratoria, di tenere le successive orazioni inaugurali dell’anno accademico.

I principali filosofi neoplatonici napoletani (Paolo Mattia Doria e Giacinto De Cristofaro), per quanto critici delle sue affermazioni sulla matematica, si muovono in modo da aprire un dialogo con lui.

Nella sua Autobiografia, Vico spiega che alcune nuove idee che gli erano venute sul tema della lingua avevano incuriosito Doria: che Francesco Bacone avesse indagato le antiche favole dei poeti e che Platone avesse indagato la radice delle parole greche. Doria lo invita a parlarne a casa sua, dove abitualmente egli organizza conferenze filosofiche. Vico accetta l’invito e, nella sua relazione, spiega che le indicazioni di Platone e Bacone gli hanno suggerito la possibilità di indagare le radici della lingua latina alla ricerca della genesi della originaria mente collettiva degli Italici.

Il proposito viene apprezzato e Doria gli suggerisce di sviluppare quelle idee per dotarsi di una propria Metafisica con cui difendersi dalle accuse più gravi. Vico ne progetta una da pubblicarsi in tre libri di cui pubblica, nel 1710, solo il primo, il De Antiquissima Italorum Sapientia ex linguae Latinae originibus eruenda, sinteticamente: De Antiquissima. Scampato il pericolo, non dà seguito alla pubblicazione dell’opera.

Von Daun torna a Napoli, nel 1713, come Viceré. Ci rimane sei anni e viene richiamato a Vienna a svolgere un incarico più onorifico che operativo: direttore dell’artiglieria della capitale. Questa volta è sicuro che sono state le eccessive resistenze, di nobili ed ecclesiastici napoletani, alle riforme che voleva realizzare la causa dell’allontanamento. A Vico viene richiesto di tenere l’orazione accademica. Chi gli affida l’incarico vorrebbe, probabilmente, che egli sviluppasse il discorso iniziato con il De Ratione, nel 1708, alla prima partenza di von Daun. Vico ne scrive e recita una banale di cui sono rimaste solo poche righe. Nella sua Autobiografia, pubblicata un decennio dopo, spiega di aver comunque dato un seguito al De Ratione. Lo definisce, infatti, “un abbozzo dell’opera che poi lavorò, De Universi Juris Uno Principio, di cui è appendice l’altra De Constantia Jurisprudentis”. C’è un filo diretto, quindi, tra De Ratione [1708], De Uno [1720] e De Constantia [1721].

Pasquale Villani spiegherà, nel 1976, che i “primi a far risorgere la fama di Vico ed a render popolari le di lui opere sono stati [Gaetano] Filangieri che tanti de’ suoi principi ha adoperati nella sua Scienza della legislazione; [Mario] Pagano il quale ha tentato di esporla e commentarla in parte e renderla più chiara nei suoi Saggi politici e [Melchiorre] Cesarotti il quale ha mostrato di qual uso i principi della filosofia di Vico potevan essere nella bella letteratura”. Il che suggerisce che, prima del Vico anticipatore di Hegel c’è stato certamente un Vico iniziatore dell’illuminismo napoletano (e veneto).

Invece, l’interpretazione mainstream dell’illuminismo napoletano è che esso sia cominciato con Pietro Giannone, spesso definito un plagiario che assemblava scritti altrui e li pubblicava come proprie e che, quando partoriva qualcosa di suo, era confuso e banale. Ben misero inizio, se fosse vero. La preferenza a Giannone deriva dal fatto che l’illuminismo di questi era anticlericale, quello di Vico no.

Nel 1723, con un grande testo di filosofia del diritto al proprio attivo (De Uno), Vico concorre alla cattedra di diritto civile per uno stipendio sei volte maggiore. Naturalmente, perde. Il fallimento gli chiude, a 55 anni, ogni possibilità di una carriera accademica minimamente remunerativa. Nel 1725 pubblica la prima edizione della Scienza Nuova, in versione ridotta perché, all’ultimo, il finanziatore si tira indietro. Nel 1730, pubblica la seconda edizione della Scienza Nuova, pagata con la vendita di un prezioso anello. Nel 1734, con l’arrivo dei Borbone, ottiene il posto di storiografo regio che gli porta il raddoppio dello stipendio. Muore nel 1744 e il figlio, che lo sostituisce nella cattedra, pubblica la terza e definitiva edizione della Scienza Nuova.

Nel 1724, Von Daun diventa Governatore dei Paesi Bassi e nel 1725 Governatore di Milano. Qui, in dodici anni, realizza il proprio capolavoro politico: la parte tecnica della riforma del catasto del Ducato. I suoi periti agrari forniscono una stima esatta, per gli strumenti del tempo, della produttività di territori e proprietà agricole. Questa stima costituirà la base imponibile del Catasto Teresiano, la migliore riforma fiscale del Settecento.

Giuseppe Gangemi

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