L’intervista. De Benoist: “La famiglia rifugio al tempo della crisi e l’ideologia del gender”
Segnaliamo un’interessante intervista di Marina Simeone ad Alain de Benoist
(da Barbadillo.it, diretto da Michele De Feudis)
Pubblicato il 4 febbraio 2014 da Marina Simeone
Con Famiglia e società (Controcorrente, Napoli 2013) Alain de Benoist affronta un argomento-cardine del nostro tempo di narcisi, estranei a ogni aspetto di vita comunitaria, chiusi nel rifugio familiare. La famiglia moderna supplisce alle mancanze dello Stato e si chiude, separandosi dalla società e dalla socialità, messa in crisi dai modelli di sviluppo dei Paesi industrializzati. In Francia e in Italia, con minime differenze, si può seguire un percorso di vita della famiglia e intravvederne la morte, paradossalmente quando essa è formalmente più tutelata.
Signor de Benoist, per lei la monogamia non è né egualitaria, né una vittoria per le donne. Lei cita anche Lévi–Strauss: “Gli uomini hanno forti tendenze poligamiche”. Che cosa induce dunque uomo e donna al patto per la vita?
«Contrariamente a ciò che spesso si dice, la poligamia favorisce le donne, infatti non ne esclude nessuna dal matrimonio. E favorisce le nascite. Quindi giova al matrimonio. Infine può dissuadere gli uomini sposati dall’adulterio. D’altronde la poligamia implica più concorrenza tra maschi senza frustrare chi non abbia donne, generando conflitti o tensioni sociali e politiche. Che gli uomini siano più poligami delle donne è noto: anche nelle società sessualmente più libere, in media le donne hanno, lungo la vita, meno partner che gli uomini. La tendenza maschile alla poligamia spiega il punto di vista dell’evoluzione della specie».
Continui.
«Una donna non può avere più di un figlio l’anno. Un uomo, in teoria, può fecondare una donna diversa a ogni rapporto. La potenza riproduttiva dei maschi quindi aumenta col numero delle partner, non quella delle femmine. Per ottimizzare la riuscita riproduttiva, esse devono sceglier bene il partner, stabilendo col padre dei loro figli un rapporto sicuro e lungo. Originariamente il matrimonio non consacra amori, secondo l’ideale di ‘matrimonio romantico’, ma garantisce alleanze di famiglie o stirpi per prolificare. Il matrimonio poi risponde istituzionalmente alla domanda su chi possa accedere a donne adulte; in un certo senso riduce o regola la concorrenza tra maschi, proteggendo le donne da stupri o molestie».
In effetti ha una funzione sociale, più che romantica…
«… Il matrimonio è un vantaggio soprattutto per la donna, garantendo la sicurezza sua e dei figli. La parola deriva dal latino matrimonium e quindi da mater. A indurre uomo e donna a impegnarsi reciprocamente per la vita è, fin dall’origine, il desiderio di una famiglia. L’amore può essere un movente iniziale, ma poi si pone il problema della durata. Infatti il ‘matrimonio d’amore’ è quello che dura meno».
La famiglia cura ferite della società globale. E la società allenta tensioni vissute dal singolo nella famiglia. Società e famiglia come convivono? Il tempo muta il loro rapporto?
«La famiglia è ora principale rifugio, che compensa e contribuisce a sostenere le difficoltà dei singoli in società. Nell’Europa meridionale, la famiglia – specie la famiglia allargata nel clan – aiuta a fronteggiare la crisi economica. Ma la struttura familiare s’è evoluta. Una volta era una struttura differenziata sotto l’autorità del ‘capofamiglia’. Ora questo ‘capo’ manca e la famiglia è divenuta a poco a poco più ‘conviviale’ e egualitaria. Ecco perché la famiglia assume tratti da società globale. Da questo punto di vista è improbabile che essa contribuisca a fondare una ‘contro-società’ duratura».
La tradizione indo-europea. dalla quale discendiamo si modella sulla cultura della vergogna: l’onore, il nome, come beni più preziosi. La toponomastica latina ha nel genetliaco il carattere dominante per individuare un cittadino. Il nome prevale comunque sul sangue nelle culture classiche?
«Sì, la tradizione indo-europea si basa in gran parte sull’etica dell’onore (la vergogna ne è la controparte). Il cristianesimo ha sostituito l’etica dell’onore con la morale del peccato. Nell’etica dell’onore è ovviamente importante non disonorare il nome, disonorando nello stesso tempo coloro che lo hanno portato prima. Il nome è il distintivo del lignaggio. Non vedo, da questo punto di vista, nessuna opposizione e nessuna gerarchia stabilita tra il nome e sangue.
Nei Vangeli, Gesù pospone la famiglia alla comunità di fede. Solo dopo lungo tempo la Chiesa accetta il matrimonio come scelta preferibile rispetto al sesso libero. Il patto di fedeltà tra i coniugi limita la libera sessualità. Oggi la chiesa è il baluardo del sistema familiare tradizionale?
«No. L’esperienza dimostra che le famiglie cristiane non resistono meglio di altre, tendenti attualmente alla disintegrazione. La Chiesa nella sua storia ha anche adottato posizioni piuttosto fluttuanti. Nei Vangeli, Gesù destituisce la sua famiglia biologica in favore di quella formata dai suoi discepoli (Mc 3, 31-35, Matt12, 46-50, Luca8, 19-21.). L’idea del celibato è centrale nell’insegnamento di san Paolo, che scrive: “E’ bene per un uomo non toccar donna”. In queste condizioni il matrimonio può essere solo un rimedio alla ‘dissolutezza’ (porneia) o un male minore per coloro che non riescono a praticare la continenzae la castità connessi al celibato: ‘Meglio sposarsi che ardere’ (1Cor. 7, 9).
E la Chiesa…
«… Anche quando esalta le finalità del matrimonio, la Chiesa proclama la verginità superiore, ragione per la quale ha imposto continenza e celibato alla sua élite. Del resto è solo all’inizio del XIII secolo che la Chiesa fa del matrimonio un sacramento. La Chiesa però ha voluto limitare il sesso all’ambito matrimoniale, idea estranea alla mentalità antica. La società greca, per esempio,era sia monogama, sia poli-erotica. Pensi alle affermazioni attribuite sia a Demostene, sia ad Apollodoro: “Disponiamo di cortigiane per il piacere, diconcubine per la cura quotidiana, di mogli per darci prole legittima e custodire la casa’. Gli antichi conoscevano dunque la differenza tra Venere e Giunone”.
L’evoluzione della funzione della donna nella privatizzazione della famiglia ha corrisposto ad una sua emancipazione?
«Ha favorito una maggiore autonomia delle donne. Ma autonomia non corrisponde automaticamente a emancipazione. Si potrebbe dire lo stesso del lavoro salariato, che oggi riguardala maggioranza delle donne: liberazione, ma anche alienazione. Molte donne stentano a conciliare lavoro e famiglia, ecco perché più salgono socialmente, meno bambini hanno(e aumenta l’età della prima gravidanza).
Ci sono responsabilità del femminismo?
«Alcune femministe (non tutte) hanno accanitamente difeso l’integrazione delle donne sul lavoro intravvedendo, non senza ragione, un modo per le donne di avere i mezzi materiali per l’autonomia. Ma ciò senza chiedersi se ciò divenisse una forma di alienazione o se questa integrazione non avrebbe portato alle donne lavoro ulteriore (lavoro casalingo, cui aggiungere il lavoro in fabbrica o in ufficio) e soprattutto se questo movimento non servisse in ultima analisi gli interessi capitalistici. L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro ha creato una nuova modalità d’accumulazione capitalistica, remunerando soprattutto il lavoro femminile dipendente. Il capitalismo ha strumentalizzato i ‘valori di remunerazione’ per giustificare flessibilità e precarietà. Il motivo principale per il quale le donne lavorano è economico: oggi per sostenere una famiglia occorrono due redditi (uno bastava, prima).
L’omogeneità sociale causata dalla globalizzazione tocca anche la famiglia. Uomo e donna – lei scrive – si “confondono”. Questo minaccia l’educazione dei figli?
E’ in corso l’attacco dell’‘ideologia del genere’ per separare l’identità sessuale dal sesso, sostituito dal ‘genere’ (gender), che sarebbe una mera costruzione sociale. Questa teoria si basa sul presupposto della ‘neutralità’ d’appartenenza sessuale alla nascita: allevare un maschio come una femmina e ne farai una femmina; alleva una femmina come un maschio e ne farai un maschio. Chi dissente è accusato di diffondere ‘stereotipi’».
Chi dissente è emarginato anche dalle istituzioni pubbliche, ormai.
«La teoria che confondendo i sessi rende più difficile per ognuno di loro assumere la sua identità. La teoria del ‘genere’ è infatti insostenibile. Non solo le ipotesi di una ‘neutralità di genere’ non corrispondono alla realtà, ma l’appartenenza sessuale, fin dalla prima infanzia, risulta da comportamenti specifici per ciascun sesso. Le strutture sociali hanno un ruolo nel definire l’identità sessuale, ma queste costruzioni sociali si sviluppano su base anatomica, biologica e fisiologica. La teoria del genere confonde sesso biologico, genere (maschio o femmina), orientamento sessuale e ciò che si può definire sesso psicologico, cioè che certe donne hanno tratti caratteriali maschili e certi uomini tratti caratteriali femminili. Basandosi sull’idea che ci si possa creare da se stessi, partendo da zero, si approda a un delirio di auto-perpetuazione».
Marina Simeone