L’Ispanità
Gianadrea de Antonellis
L’Ispanità è un concetto che va ben oltre la Spagna o la Penisola iberica.
Esso indica, in sintesi, la mentalità missionaria che animò la Monarchia Cattolica (ovvero la Christianitas minor, erede della Christianitas maior, cioè il Sacro Romano Impero) a solcare l’oceano al principale fine di diffondere la vera religione e non di attuare conquiste territoriali e sfruttamento economico (come accadde invece in America settentrionale).
Assieme a Idea dell’Ispanità di Manuel Garcia Morente (Solfanelli, Chieti 2018), questo saggio, qui presentato in una nuova traduzione integrale, è un classico sull’argomento ed indica un concreto percorso alternativo al liberalismo e al progressismo.
Non a caso si conclude citando il motto «Dio, Patria Fueros e Re», proprio del Carlismo.
Il volume è una costante smentita alle falsità propagandate dalla “leggenda nera” anticattolica e antispagnola, che ripercorre le conquiste culturali e politiche del mondo ispanico (non soltanto la Penisola iberica, ma gli altri Regni legati alla Corona ispanica, a cominciare da quello di Napoli e continuando con le Americhe e le Filippine.
«Il gentiluomo ispanico dei nostri secoli XVI e XVII – ricorda Maeztu – riceveva durante la propria infanzia, adolescenza e giovinezza un’educazione così dura, disciplinata e aspra, che il popolo riconosceva volentieri la sua superiorità. Anche al tempo di Filippo IV e Carlo II sapeva maneggiare con eguale eleganza sia le armi che il latino. […] Ebbene, questo Stato teocratico, il più ignorante, il più superstizioso, il più incapace e il più goffo – secondo il giudizio della stampa rivoluzionaria – è riuscito ad ottenere ciò che nessun altro popolo civilizzatore ha raggiunto, né l’Inghilterra con i suoi indù, né la Francia con i suoi arabi, né l’Olanda con i suoi malesi, né gli Stati Uniti con i suoi schiavi africani e con gli indiani aborigeni: assimilare alla propria civiltà tutte le razze di colore che sottomettevano. Perché in nessun altro Paese è esistito un così perfetto affiatamento del potere religioso con quello temporale».
Se Manuel Garcia Morente parlava di “stile” per individuare l’elemento costitutivo di un popolo, Maeztu punta sull’apporto culturale che la severa educazione cattolica che le élites ispaniche ricevevano seppe generosamente distribuire in tutto il mondo.
Ramiro de Maeztu y Whitney (Vitoria, 4 maggio 1874 – Madrid, 29 ottobre 1936), di padre spagnolo e madre inglese, appartenne alla “Generazione del ’98”, visse a lungo a Londra (1905-1919) come corrispondente di giornali spagnoli e quindi brevemente in Argentina (1928-1930) come ambasciatore.
Nel 1926 pubblicò Don Quijote, Don Juan y La Celestina, uno studio fondamentale per analizzare l’opera di Cervantes, che segnò l’ultima fase del suo pensiero (maturato e profondamente cambiato dopo una gioventù affetta dalla vicinanza a idee liberali e rivoluzionarie), caratterizzato dall’avvicinamento al tradizionalismo spagnolo: il suo ideale divenne la civiltà ispanica e cattolica.
Sviluppò questa impostazione in una serie di articoli apparsi dal 1931 su «Acción Española», che poi raccolse nel volume Defensa de la Hispanidad (1934). Nel 1935 fu chiamato a far parte della Real Academia Española, occupando il seggio L, che era stato di José Zorrilla, il maggiore poeta del romanticismo spagnolo, dalle giovanili simpatie carliste.
Sinceramente monarchico e contrario alla proclamazione della Repubblica (1931), fu eletto fu eletto deputato alle Cortes per Renovación Española nel novembre 1933, opponendosi fieramente al regime instaurato dalla seconda repubblica. Poco dopo lo scoppio della Guerra civile spagnola venne assassinato dai Repubblicani.
Ramiro de Maeztu, Difesa della Ispanità, Solfanelli, Chieti 2025, p. 246, € 16
https://www.edizionisolfanelli.it/difesadellaispanitacarlismo.htm


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