Alta Terra di Lavoro

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Lo sai da dove derivano i termini “Caccavella” e “Appanna”?

Posted by on Feb 27, 2021

Lo sai da dove derivano i termini “Caccavella” e “Appanna”?

Appanna: Quando a Napoli o più generalmente  in Campania si vuole un po’ meno luce o un po’ di privacy in una stanza, s’appanna ‘a fenesta oppure ‘o barcone .

Ma perchè si usa Appanna? da dove nasce?

Lingua Napoletana: Appanna-Appannare

Quando si Appanna non si alita sui vetri, ma si chiude ‘o scuro (dal longobardo skur, “copertura”), ‘a ‘mposta (dal latino ponĕre, porre); ‘a persiana (dal francese persianne, detta cos’ perché proviene dai paesi orientali, dove era necessario, per il maggiore calore, proteggere dalla luce senza impedire la circolazione dell’aria); o, inifine, ‘a gelusia (dal greco ζηλoς (zelos), cura scrupolosa).

C’è un perché etimologico : la vista di un vetro appannato, che la condensa ha reso opaco, di colore lattiginoso, ci suggerisce un nesso con la panna. Ma è un suggerimento fallace. Perché appannare viene dal latino ad + pannum, cioè coprire con un panno, velare.

A Napoli si usano anche i veli, cioè le tende (o le zanzariere), ma per maggiore sicurezza e/o velatura si usa l’imposta di legno , che può anche essere detta scuro (perché l’onbra è scura), o gelusia (che non solo protegge gli ambienti da polvere e corpi esterni, ma è anche una forma di riserbo e di difesa della propria intimità).

Si racconta che gli Spagnoli nel quartiere Napoletano che da loro prese il nome, non facessero usare i balconi alle proprie donne così…per gelosia: nessun altro doveva guardarle al di fuori del legittimo consorte (o uomo, cioè proprietario). Ma le donne ne sanno una più del diavolo, e ben presto risolse la questione con opportuni segnali, come ci raccconta Ernesto Murolo:


Stámmoce attiente a ‘o segno cunvenuto:
– Barcone apierto: Ce sta ancora ‘o frato
– Perziana scesa: ‘O frato se n’è asciuto…
e ‘appuntamento è sotto ‘o pergulato!…

’A Caccavella

Le parole di uso comune nella lingua napoletana nascondono sempre un etimologia legata alla storia e alle varie influenze linguistiche  che hanno reso il napoletano unico nel suo genere.

‘A Caccavella e derivati: Parliamo di grandi o più piccoli recipienti di rame e/o di coccio. il cui nome deriva dal latino caccabus, contenitore, a sua volta dal greco χαχχαβίς caccabios, con la solita mutazione della b in v (come per vacile, varca, vasà, vàttere, gravone, ecc.).

La prima Caccavella

Il primo, caccavo, a Napoli, come afferma Bracale, non era una pentola di uso domestico, quanto piuttosto ai grossi pentoloni in uso presso taluni monasteri che quotidianamente preparavano e distribuivano minestre per i poveri, di cui il più celebrato era quello del Monastero di Santa Maria La Nova.


Rigorosamente di creta e con i manici, il caccaviello, piuttosto alto ma non enorme, viene ancora oggi usato per bollire, in modo che la schiuma di bollitura non cada fuori.
‘A caccavella era la pentola dedicata alla cottura del ragù o dei fagioli, di misura inferiore.

La caccavella, vanto degli artigiani di Sessa Aurunca, aveva una forma panciuta e bassa. Figurativamente il termine fu esteso anche a indicare donne basse e corpulente, oppure a bizzarri cappellini, posti di sghimbescio o ancora a qualsiasi meccanismo che non funzioni, come un’auto o un orologio.


Della caccavella è stato anche fatto un uso particolare, cioè quello musicale; il putipù, infatti, altro non è che una caccavella sulla quale viene posta una pelle d’asino tesa e seccata e nel cui centro viene fatto sfregare con le mani un bastoncino che emette un suono cupo e basso, tipico accompagnamento della tarantella, che a Capri e dintorni viene definito crò.crò.

Gabriella Cundari

fonte

https://napolipiu.com/cultura-napoletana/lingua-napoletana

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