Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE DEL MEDIOEVO

Posted by on Feb 24, 2022

L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE DEL MEDIOEVO

Si può dire che l’attuale società è fondata sul sistema salariale. Sul piano economico, i rapporti tra uomo e uomo si riconducono ai rapporti tra capitale e lavoro: lo schema dei rapporti sociali consiste nel compiere un dato lavoro, e nel riceverne in cambio una certa somma. Il denaro ne è la linfa vitale, poiché eccettuate rare eccezioni, una determinata attività si trasforma dapprima in denaro, per poi divenire l’uno o l’altro degli oggetti necessari alla vita.

Per capire il Medioevo bisogna immaginare una società che vive secondo un modello completamente diverso, da cui la nozione di lavoro salariato, ed in parte addirittura quella di denaro, sono assenti o del tutto secondari. La base dei rapporti umani, è la duplice nozione di fedeltà, da una parte, e di protezione, dall’altra. Si consacra a qualcuno la propria devozione, ed in cambio ci si attende da lui la sicurezza. Si impegna non la propria attività, in vista di un lavoro preciso con una ben determinata remunerazione, ma la propria persona, o piuttosto la propria fedeltà, ricevendo in cambio mantenimento e protezione, in tutto il significato del termine: questa è l’essenza del legame feudale.

Questa caratteristica della società medioevale si spiega considerando le circostanze che hanno presieduto alla sua formazione. L’origine si trova nell’Europa caotica del V sino al VIII secolo. L’Impero romano crollava sotto il duplice effetto della decomposizione interna e della spinta delle invasioni. Tutto a Roma dipendeva dalla forza del potere centrale; nel momento in cui questo potere fu rovesciato, la rovina era inevitabile; né la scissione in due imperi, né gli sforzi di restaurazione passeggera potevano impedirlo. Niente di solido rimane in un mondo in cui le forze vive sono state pressoché inaridite da un funzionarismo soffocante, dove il fisco opprime i piccoli proprietari, che non hanno ben presto altra via d’uscita che cedere le terre allo Stato, per liberarsi delle imposte che gravano su di esse, dove il popolo abbandona le campagne, e ricorre volentieri, per coltivarle, a quegli stessi barbari che così difficilmente vengono contenuti ai confini; è così che nella Gallia orientale i Burgundi si installano nella Savoia-Franca Contea, divenendo i mezzadri dei proprietari gallo-romani, con i quali dividono l’insediamento. A poco a poco, pacificamente o con la forza delle armi, le popolazioni germaniche e nordiche traboccano sul mondo occidentale; Roma è presa e ripresa dai Barbari, gli imperatori vengono nominati e destituiti dal capriccio dei soldati, l’Europa non è più che un vasto campo di battaglia dove si scontrano le armi, le razze, le religioni.

Come sopravvivere in un’epoca in cui i torbidi e l’insicurezza sono l’unica cosa certa? Lo Stato è lontano ed impotente, se non addirittura inesistente; ci si rivolge quindi molto naturalmente verso la sola forza rimasta relativamente solida e vicina: i grandi proprietari terrieri, quelli che possono garantire la difesa del proprio dominio e dei propri coloni; i piccoli ed i deboli ricorrono ad essi, affidando loro la propria terra e la propria persona, a patto di vedersi difesi contro gli eccessi fiscali e le incursioni straniere. Con un processo iniziato durante il Basso Impero e che non ha mai smesso di accentuarsi nei secoli VII ed VIII, la potenza dei grandi proprietari si accresce della debolezza del potere centrale. Sempre di più si ricerca la protezione del senior, la sola attiva ed efficace, che garantisce non solo dalla guerra e dalla carestia, ma anche dall’ingerenza dei funzionari reali. Così si moltiplicano le carte d’immunità, con le quali individui di bassa condizione si vincolano ad un senior per assicurare la propria sicurezza personale. I re merovingi avevano d’altra parte l’abitudine di circondarsi di una scorta di fideles, uomini devoti alla loro persona, guerrieri o altro, il che spingerà i potenti dell’epoca a raggruppare intorno a sé, per imitazione, quei vassi che hanno giudicato conveniente raccomandarsi ad essi.

Infine, questi stessi re hanno spesso contribuito a formare la potenza feudale, donando ai propri funzionari, sempre più sprovvisti d’autorità di fronte ai grandi proprietari, delle terre in retribuzione dei loro servigi.

Quando giunsero al potere i Carolingi, l’evoluzione era pressoché terminata: su tutta l’estensione del territorio signori più o meno potenti, circondati dai loro uomini e dai loro fedeli, amministravano feudi più o meno estesi; sotto la pressione degli avvenimenti il potere centrale aveva ceduto al potere locale, che aveva assorbito, pacificamente, la piccola proprietà, e restava in fin dei conti la sola forza organizzata; la gerarchia medioevale, risultato di fatti economici e sociali, si era formata da se stessa, ed i suoi costumi, nati sotto la spinta delle circostanze, si sarebbero mantenuti per tradizione.

I carolingi non tentarono di lottare contro lo stato di fatto: d’altra parte la dinastia di Pipino era giunta al potere proprio perché i suoi rappresentanti erano tra i più grandi proprietari dell’epoca. Essi si accontentarono di incanalare le forze in presenza delle quali si trovavano, ed accettarono la gerarchia feudale sfruttandone il vantaggio che era possibile trame.

Questa è l’origine dello stato sociale del Medioevo, il cui carattere è completamente diverso da quello che si era conosciuto sino allora: la autorità, invece di essere concentrata in un solo punto – individuo o organismo -, è ripartita sull’insieme del territorio. La vera saggezza dei Carolingi fu di non cercare di avere in mano tutta la macchina amministrativa, ma di conservare l’organizzazione empirica che avevano trovato. La loro autorità immediata si estendeva soltanto sopra un piccolo numero di personaggi, i quali possedevano a loro volta autorità su altri, e così di seguito fino agli strati sociali più umili; ma, per gradi, un ordine del potere centrale poteva trasmettersi a tutto il paese; quello che non toccavano direttamente poteva essere raggiunto indirettamente.

In luogo di combatterla dunque, Carlomagno si accontentò di disciplinare la gerarchia che doveva impregnare così fortemente i costumi francesi; riconoscendo la legittimità del doppio giuramento, che ogni uomo libero doveva a lui stesso ed al proprio signore, egli ha consacrato l’esistenza del vincolo feudale. Questa è l’origine della società medioevale ed anche quella della nobiltà, fondiaria e non militare, come si è troppo spesso creduto: “Il sistema feudale è stato la vivente organizzazione imposta dalla terra agli uomini della terra” (Henri Pourrat, L’homme a la béche. Histoire du paysan. pag. 83).

Da questa formazione empirica, modellata dagli avvenimenti, dalle necessità sociali ed economiche, deriva un’estrema diversità nelle condizioni delle persone e dei beni, poiché la natura dei mutui rapporti che uniscono il proprietario ai suoi coloni variava secondo le circostanze, la natura del terreno ed il modo di vivere degli abitanti; fattori di ogni genere entrano in gioco differenziando da una provincia all’altra, ed anche da un feudo all’altro, i rapporti e le gerarchie; ma ciò che rimane costante è la reciproca obbligazione: fedeltà da una parte, protezione dalla altra, – altrimenti detta: vincolo feudale.

Durante la maggior parte del Medioevo, la caratteristica principale di questo vincolo è di essere personale: il tale vassallo, unico e determinato, si raccomanda al tale signore unico e determinato; egli decide di vincolarsi a lui, gli giura fedeltà e ne attende in cambio assistenza materiale e protezione morale. Vediamo Orlando morente che invoca “Carlo, il suo signore che l’ha nutrito“, e questa semplice invocazione spiega abbastanza la natura del legame che li unisce.

Soltanto a partire dal XIV secolo il vincolo diverrà più reale che personale; sarà collegato al possesso di un bene, e deriverà dalle obbligazioni fondiarie esistenti tra il signore ed i suoi vassalli, e i loro rapporti da allora assomiglieranno sempre di più a quelli tra un proprietario ed i suoi locatori; è la condizione della terra che determina la condizione delle persone. Ma per tutto il periodo medioevale propriamente detto, i vincoli si creano tra un individuo ed un altro individuo. “Nihil est praeter individuum” non esiste nulla oltre l’individuo: il gusto di tutto ciò che è personale e preciso, l’orrore dell’astrazione e dell’anonimato sono d’altra parte caratteristici dell’epoca.

Questo vincolo personale che legava il vassallo al proprio sovrano è proclamato durante una cerimonia in cui si afferma il formalismo caro al Medioevo: poiché ogni obbligazione, ogni transazione, ogni accordo devono tradursi in un gesto simbolico, forma visibile e indispensabile dell’adesione inferiore. Quando per esempio si vende un terreno, l’atto di vendita è costituito dalla consegna, da parte del venditore al nuovo proprietario, di un filo di paglia o di una zolla di terra provenienti dal terreno in questione; se in seguito viene steso uno scritto, ciò che non sempre avviene, esso servirà soltanto per memoria: l’atto essenziale è la traditio, come nei nostri tempi la stretta di mano in certi mercati. “Io gli metterò in mano, dice il Ménagier de Paris, un filo di paglia o un vecchio chiodo o un sasso che mi furono consegnati in segno di qualche gran caso” (cioè come prova di una transazione importante). Il Medioevo è un’epoca in cui il rito trionfa,, in cui tutto ciò che si compie nella coscienza deve obbligatoriamente tradursi in un gesto; ciò soddisfa un bisogno profondamente umano: quello del segno fisico senza il quale la realtà rimane imperfetta, incompiuta, fatiscente.

Il vassallo presta “fede ed omaggio” al proprio signore: davanti a lui rimane in ginocchio, con la sola tunica, e mette la mano nella sua: tutti atteggiamenti che significano la devozione, la fiducia, la fedeltà. Egli gli si dichiara “ligio” e gli conferma la consacrazione della propria persona. In risposta, e per sigillare il patto che ormai li lega, il sovrano bacia il suo vassallo sulla bocca. Questo gesto implica molto di più che una generica protezione: è un legame di affetto personale che deve reggere i rapporti tra i due uomini.

Poi viene la cerimonia del giuramento, la cui importanza non potrebbe essere mai abbastanza sottolineata. Bisogna intendere giuramento (serment in francese) nel suo senso etimologico: sacramentum, cosa sacra. Si giura sui Vangeli, compiendo così un atto sacrale, che coinvolge non solo l’onore, ma la fede, la totalità della persona. Il valore del giuramento è dunque tale, e lo spergiuro così mostruoso, che non si esita a dar credito alla parola data anche in casi molto importanti, per esempio per provare le ultime volontà di un morente, sulla fede di uno o due testimoni. Rinnegare il giuramento rappresenta secondo la mentalità medievale la peggiore mancanza. Un brano di Joinville dichiara in modo molto significativo che è un estremo al quale un cavaliere non può mai ridursi, fosse anche in gioco la sua vita; durante la sua prigionia, i dragomanni del sultano d’Egitto hanno offerto a lui ed ai suoi compagni: “Dareste, dissero, per la vostra libertà nessuno dei castelli dei baroni d’oltremare? Il conte rispose che non vi aveva potere, poiché li si teneva da parte dell’imperatore d’Alemagna che allora viveva. Essi chiesero se avremmo dato qualcuno dei castelli dei Templari o degli Ospitalieri per la nostra libertà. E il conte rispose che non poteva essere: quando vi si metteva il castellano, gli si faceva giurare sui Santi che non avrebbe dato alcuno dei castelli per liberare corpi di uomini. Ed essi ci risposero che a loro sembrava che non avessimo voglia d’essere liberati, e che essi se ne andrebbero e manderebbero coloro che avrebbero giocato con noi con la spada, come avevano fatto agli altri” (che li avrebbero cioè massacrati come gli altri).

La cerimonia viene completata con la solenne investitura del feudo, fatta dal signore al vassallo: gli conferma il possesso di questo feudo con un gesto di “traditio”, generalmente consegnandogli una verga o un bastoncino, simboli della potenza che gli spetta d’esercitare sul dominio che riceve da questo signore: è l’investitura cum baculo vel virgo per usare i termini giuridici in uso nell’epoca.

Da questo cerimoniale, dalle tradizioni che esso presuppone, deriva l’alta concezione che il Medioevo faceva della dignità personale. Nessuna epoca è stata più pronta a trascurare le astrazioni, i principi, per valorizzare esclusivamente gli accordi da uomo a uomo; e nessuna d’altra parte ha fatto ricorso a sentimenti più alti come fondamento di tali accordi. Era rendere un altissimo omaggio alla persona umana. Concepire una società basata sulla fedeltà reciproca era certamente audace: come ci si può immaginare, ci furono degli abusi, dei tradimenti; le lotte dei re contro i vassalli recalcitranti ne fanno prova. Comunque, per più di cinque secoli la fede e l’onore rimasero la base essenziale, la ossatura dei rapporti sociali. Quando vi si sostituì il principio di autorità, nel XVI e soprattutto nel XVII secolo, non si può pretendere che la società ne abbia guadagnato; in ogni caso la nobiltà, già decadente per altre ragioni, perdette con questo l’essenza della propria forza morale.

Durante tutto il Medioevo, senza dimenticare la propria origine legata alla proprietà terriera, questa nobiltà ebbe una fisionomia soprattutto militare; in effetti il suo obbligo di protezione comportava in primo luogo una funzione guerriera: difendere il proprio territorio contro le possibili usurpazioni; d’altra parte, per quanto ci si sforzasse di restringerlo, il diritto di guerra privata sopravviveva, e la solidarietà familiare poteva comprendere l’obbligo di vendicare con le armi le offese arrecate ad uno dei membri. Vi si aggiungeva una circostanza di ordine materiale: poiché infatti i signori possedevano la principale, se non l’unica, sorgente di ricchezza, la terra, avevano essi soli la possibilità di equipaggiare un cavallo da guerra, e di armare scudieri e soldati. Il servizio militare sarà dunque inseparabile del servizio di un feudo, e la fede giurata da un vassallo nobile comporta l’aiuto delle sue armi ogni volta che “sarà mestieri”. Il primo obbligo della nobiltà, ed uno dei più onerosi, è quello di difendere il feudo ed i suoi abitanti.

L’épée dit: C’est ma justice
Garder les clercs de Sainte Eglise
Et ceux par qui viandes est quise.

(Dice la spada: è mio ufficio / proteggere i chierici di Santa Chiesa, / e quelli per cui è richiesto del cibo)

I castelli più antichi, quelli costruiti nelle epoche dei disordini e delle invasioni, portano il segno visibile di questa necessità: il villaggio, le case dei servi e dei contadini sono addossate ai contrafforti della fortezza, dove tutta la popolazione andrà a rifugiarsi nel pericolo, dove troverà aiuto ed approvvigionamento in caso di assedio militare. La maggior parte delle usanze della nobiltà deriva dai suoi obblighi. Il diritto di primogenitura viene in parte dalla necessità di affidare al più forte l’eredità che egli deve proteggere, spesso con la spada. La legge di mascolinità viene anch’essa spiegata in questo senso: solo un uomo può assicurare la difesa di un torrione. Pertanto, quando un feudo passa in eredità ad una donna, il sovrano, sul quale ricade la responsabilità di questo feudo messo così in stato di inferiorità, ha il dovere di procurarle marito. Ecco perché la donna viene nell’ordine di successione soltanto dopo i suoi figli, ed essi dopo il primo tra loro; essi riceveranno solo degli appannaggi; ed i disastri sopravvenuti verso la fine del Medioevo traggono origine dagli appannaggi troppo imponenti lasciati da Giovanni il Buono ai suoi figli, la cui potenza fu per essi stessi una continua tentazione, per tutti una sorgente di disordini, durante la minorità di Carlo VI.

I nobili hanno anche il dovere di rendere giustizia ai loro vassalli di ogni condizione, e di amministrare il feudo. Anche qui non si tratta dell’esercizio di un diritto, ma di quello di un dovere, che implica delle responsabilità molto pesanti, perché ogni feudatario deve rendere conto del suo dominio non solo alla propria casata, ma anche al proprio sovrano. Etienne de Fougères dipinge la vita di un grande feudatario come piena di cure e di fatiche:

Cà et là va, souvent se tourne,
Ne repose ni ne séjourne:
Chàteau abord, chàteau aourne
Souvent haitié, plus souvent mourne.
Cà et là va, pus ne repose
Que sa marche ne soit déclose.

(Va qui e là, e spesso gira; / né riposa né si ferma: / vaga da un castello all’altro, / spesso affrettato, e più spesso stanco. / Va qui e là, né si riposa, / perché la sua marca non sia senza difesa)

Lungi dall’essere illimitata, come si è generalmente creduto, la sua potenza è ben più piccola di quella che ai nostri giorni hanno un capitano d’industria o qualunque proprietario, poiché egli non ha mai la proprietà assoluta del suo feudo, perché dipende sempre da un sovrano e perché in fin dei conti i sovrani più potenti dipendono dal re. Ai nostri tempi, secondo la concezione romana, l’acquisto di una terra da’ pieno diritto su di essa. Nel Medioevo non è affatto così: in caso di cattiva amministrazione, il proprietario incorre in pene che possono andare fino alla confisca dei beni. Così nessuno governa con un’autorità completa o sfugge al controllo diretto di colui dal quale ne è investito. Questa separazione tra la proprietà e l’autorità è uno degli aspetti più caratteristici della società medioevale.

Gli obblighi che legano il vassallo al suo signore implicano d’altra parte la reciprocità: “Il sire deve altrettanta fede e lealtà al suo uomo, che questi al suo sire” dice Beaumanoir. Questa nozione di dovere reciproco, di mutuo servizio, si incontra spesso nei testi sia giuridici che letterari:

Graigneur fait a sire a son homme
Que l’homme a son seigneur et dome.

(Buon fatto che il signore abbia il suo uomo / e che l’uomo abbia il suo signore e patrono)

osserva Etienne de Fougères, già citato, nel suo Livre des Manière; e Philippe de Novare nota, in appoggio a questa constatazione: “quelli che ricevono servizio, e non ne danno guiderdone, bevono il sudore dei loro servitori, che per loro sarà veleno mortale per il corpo e per l’anima“. Da ciò anche la massima: “A buon servizio conviene ricompensa“.

Come è giusto, si esige dalla nobiltà più contegno e rettitudine morale che dagli altri membri della società. Per lo stesso delitto, la pena inflitta ad un nobile sarà molto più severa di quella inflitta ad un plebeo. Beaumanoir cita un delitto per il quale “ammenda di contadino è di sessanta soldi, e di gentiluomo di sessanta lire” il che è un rapporto notevole: da venti a uno. Secondo gli Etablissements de Saint Louis, la colpa per la quale un plebeo pagherà cinquanta soldi di ammenda, comporterà per un nobile la confisca di tutti i suoi beni mobili. Tutto ciò si trova anche negli statuti delle varie città; quelli di Pamiers fissano così le tariffe delle ammende in caso di furto: venti lire per il barone, dieci per il cavalieri, cento soldi per il borghese, venti soldi per il villano.

La nobiltà è ereditaria, ma essa può anche essere acquisita, sia come retribuzione di servizi resi, sia molto semplicemente per acquisizione di un feudo nobile. E’ ciò che accadde su vasta scala verso la fine del XIII secolo: i nobili uccisi o rovinati nelle grandi spedizioni d’oriente erano molto numerosi, e si videro famiglie di borghesi arricchiti accedere in massa alla nobiltà, cosa che provocò in quest’ultima una reazione. Anche la cavalleria nobilita colui al quale viene conferita. Infine vi fu in tempi successivi la patente di nobiltà, attribuita, è vero, molto parsimoniosamente. La tendenza dell’Ancién Regime è stata di impedire sempre più l’accesso alla nobiltà, il che ha contribuito a farne una casta chiusa che isolava il re dai suoi sudditi. Le numerose creazioni di nobili in Inghilterra hanno dato invece eccellenti risultati, rinnovando l’aristocrazia con l’aiuto di elementi nuovi e facendone una classe aperta e vigorosa. Se la nobiltà può essere acquisita, può anche essere perduta per decadenza in seguito ad una condanna infamante.

La vergogna di un’ora del giorno,
Di quarant’anni cancella l’onore

si diceva. Si perde anche per derogazione, quando un nobile viene accusato d’aver esercitato un mestiere plebeo, o un commercio qualunque: in realtà gli è vietato di uscire dal ruolo che gli è proprio, e non deve nemmeno cercare di arricchirsi assumendo incarichi che potrebbero fargli trascurare quelli ai quali deve essere votata la sua vita. D’altra parte non vengono considerati mestieri plebei quelli che, necessitando di notevoli capitali, non possono essere intrapresi che dai nobili: per esempio l’arte vetraria o il possesso di ferriere; anche il traffico marittimo è permesso ai nobili, perché esige, oltre a capitali adeguati, uno spirito d’avventura che ci si sarebbe guardati bene dal mortificare. Inoltre nel XVII secolo, Colbert ingrandirà il campo dell’attività economica della nobiltà, per dare più impulso al commercio e all’industria.

La nobiltà è una classe privilegiata. I suoi privilegi sono innanzi tutto onorifici: diritto di precedenza, ecc. Alcuni provengono dagli obblighi che ad essa competono: soltanto il nobile ha diritto agli speroni, al cinturone e alla bandiera, ciò che ricorda che in origine soltanto i nobili avevano la possibilità di equipaggiare un cavallo da guerra. Accanto a questo, la nobiltà gode di alcune esenzioni, quelle di cui un tempo godevano tutti gli uomini liberi; per esempio l’esenzione dalla taglia e da certe imposte indirette, la cui importanza, nulla nel Medioevo, sarebbe sempre più cresciuta nel XVI e specialmente nel XVII secolo.

Infine la nobiltà possiede diritti precisi e, questa volta, sostanziali: sono tutti quelli che derivano dal diritto di proprietà: diritto di percepire canoni, diritto di caccia e altri. I tributi ed i canoni pagati dai contadini, non sono altro che l’affitto della terra sulla quale hanno avuto il permesso di installarsi, o che i loro antenati avevano creduto opportuno di affidare ad un proprietario più potente di loro. I nobili, percependo i loro tributi, erano esattamente nella medesima condizione di un proprietario di immobili che percepisce il suo affitto. L’origine lontana di questo diritto di proprietà si cancellò a poco a poco e, all’epoca della Rivoluzione, il contadino è arrivato a credere di essere il legittimo proprietario di una terra di cui era invece locatario da secoli. Lo stesso per il famoso diritto di caccia, che ci si è compiaciuti di rappresentare come uno degli abusi più stridenti di un’epoca di terrore e di tirannia: cosa c’è di più legittimo, per una persona che affitta un terreno ad un’altra, che riservarsi il diritto di cacciare su di essa? Bisogna anche fare una distinzione tra le epoche: il diritto di caccia fu riservato, e unicamente per la grossa selvaggina, solo tardivamente, nel XIV secolo circa. Le proibizioni formali compaiono solo nel XVI secolo. Quanto alla pesca, rimase libera per tutti. Proprietario e colono sanno entrambi quello che fanno nel momento in cui convengono le loro obbligazioni reciproche, e badano all’essenziale; il feudatario non cessa di essere sulle sue terre, quando caccia vicino alla dimora di un contadino; che alcuni di essi abbiano abusato di questo diritto, e “calpestato con gli zoccoli dei loro cavalli le messi dorate del contadino”, per esprimersi come nei manuali per l’insegnamento elementare, è cosa possibile, per quanto non verificabile, ma non si riesce a capire perché essi avrebbero dovuto farlo sistematicamente, visto che buona parte dei tributi consisteva in una percentuale del raccolto; il feudatario era dunque interessato a che questo raccolto fosse abbondante. Lo stesso accade per i diritti prediali: il forno ed il torchio sono all’origine dei servizi offerti ai contadini, in cambio dei quali è normale percepire un compenso, proprio come ora in certi comuni si noleggia ai contadini la trebbiatrice od altri strumenti agricoli.

Tuttavia è fuori dubbio che a poco a poco, verso la fine del Medioevo, gli obblighi della nobiltà diminuirono senza che ne fossero limitati i privilegi, e che nel XVIII secolo, per esempio, la sproporzione tra i diritti, anche legittimi, di cui godeva ed i doveri insignificanti che le competevano era evidente. Il grave errore fu di strappare i nobili alle loro terre e di non avere saputo adattare i loro privilegi alle mutate condizioni di esistenza; dal momento in cui il servizio di un feudo e specialmente la sua difesa cessò di essere un obbligo oneroso, i privilegi della nobiltà rimasero privi di fondamento. Questo determinò la decadenza della nostra aristocrazia, decadenza morale che doveva essere seguita dalla decadenza materiale, ben meritata. La nobiltà è direttamente responsabile del malinteso, che andrà crescendo, tra il popolo e la monarchia; divenuta inutile al trono, e spesso nociva, (è in mezzo alla nobiltà e grazie ad essa che si diffusero la dottrina degli Enciclopedisti, l’irreligiosità volterriana e le divagazioni di un Jean-Jacques), essa ha contribuito grandemente a portare Luigi XVI al patibolo, e Carlo X in esilio; era giusto che essa li dovesse seguire, l’uno e l’altro. Ma ciò nondimeno è lecito pensare che si trattò di una grave perdita per il nostro paese; un paese senza aristocrazia e un paese senza ossatura, senza tradizione, esposto ad ogni deviazione ed a ogni errore.

…quei tempi detti oscuri
(Miguel de Unamuno)

Regine Pernoud

fonte

http://www.totustuustools.net/altrastoria/index.html

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.