Alta Terra di Lavoro

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Lucio Castrese Schiano risponde ad Antonella Orefice (II)

Posted by on Ott 28, 2018

Lucio Castrese Schiano risponde ad Antonella Orefice (II)

1799 . . . E OLTRE Un sottile ma tenacissimo filo lega fra loro i vari momenti della storia in un tutto organico e consequenziale dove ogni momento è la premessa del successivo sì che fatti apparentemente insignificanti o poco attinenti, in-fluenzandosi reciprocamente, generano situazioni che non si sarebbero verificate in assenza della circostanza che ne è stata la causa causante.

     Così una semplice affermazione secondo la quale, se Napoli – intesa come la capitale del Regno delle Due Sicilie – era conosciuta ed era diventata famosa in Europa, ciò lo si doveva non certo alla politica dei Borbone – nella fattispecie a Ferdinando IV – bensì a quegli “illuminati condannati al patibolo” non è per niente innocua o poco attinente con la “storia”, perché dà origine ad un orientamento di pensiero e di comportamento che, attraverso il citato filo, produce effetti anche sul presente.

     Intanto cominciamo a dire che Ferdinando IV, aveva intrapreso una politica di rinnovamenti e aveva dato al Regno tutti quei “primati” che non sto qui ad elencare, tanto che, contrariamente al giudizio consegnato alla storia dal Croce, era ritenuto abbastanza “illuminato” persino da illustri storici giacobini come il Colletta e il Cuoco, per citarne solo due. Secondo quest’ultimo, infatti,       “ … la nazione napoletana … incominciava a respirare dai mali incredibili che per due secoli di governo vicereale avea sofferti

     Ma perché insisto tanto sull’affermazione riguardo agli “illuminati”? Per dimostrare che, lungo l’invisibile filo, dal 1799, e, attraverso il 1860, fino ai nostri giorni, quelli che decisero di salire sul carro del vincitore ottennero privilegi di natura economica e potere nell’ambito della cultura, venendo a trovarsi a loro volta nella condizione di concederne a chi per motivi più o meno simili aveva fatto la stessa scelta. Costoro, conservando nepotisticamente – anche tramite istituti di ricerca creati su misura – la posizione di potere, hanno egemonizzato la cultura in modo che essa, da più di due secoli, scorrendo sempre nello stesso senso, ha scavato un alveo così profondo da rendere estremamente difficoltoso ogni tentativo inteso a gettare uno sguardo in quelle acque torbide per vedere se possano nascondere qualche altra cosa oltre quelle che vuole farci conoscere il potere costituito.

     Interessi economici e libertà di pontificare “ad libitum”, quindi, (cioè “interessi attuali” come li definisce Gramsci) sono alla base di questo modo tutto italiano – cioè scorretto – di presentare la storia, diversamente non si potrebbe spiegare come mai per intellettuali e storici di grande spessore termini come tradimento, lealtà, eroismo o viltà abbiano significato diverso.

     Il giudizio espresso dal professor Galasso (crociano) sugli “illuminati”, che col loro martirio avevano fatto echeggiare il nome di Napoli in tutta Europa, infatti, mi aveva richiamato alla memoria un’affermazione quasi identica (Ma guarda un po’!) fatta dal Croce sui componenti della Destra storica.

     Come per il professor Galasso i “martiri” del 1799 erano degli “illuminati”, per opera dei quali Napoli era diventata famosa in Europa, così per Croce gli appartenenti alla Destra storica erano “ un’eletta di uomini … da considerare a buon diritto esemplare per la purezza del loro amore di patria che era amore della virtù, per la serietà e la dignità del loro abito di vita, per l’interezza del loro disinteresse …”.

     Per quanto riguarda il giudizio del Croce, ognuno può attingere alla letteratura esistente sui vari personaggi, per verificare come sia la loro vita privata che la loro attività politica non siano state tali da renderli degni di meritare né il titolo di eroi né quello di persone moralmente corrette onde essere additati come esempi per le generazioni future.

     Relativamente agli “illuminati” del professor Galasso, riferendo della loro vita privata non esprimerò alcun giudizio né scenderò nei particolar intimi, per non cadere nel pettegolezzo. Gli esempi che porterò, infatti, hanno unicamente lo scopo di dimostrare che, forse, additando queste persone come modelli di virtù e quasi meritevoli di un processo di beatificazione si commette, quanto meno, un errore di valutazione.

Luisa de Molina, coniugata Sanfelice, donna molto irrequieta, per il suo comportamento e per i diversi amori extraconiugali, non fu certo un esempio di correttezza morale. All’età di 17 anni andò sposa al cugino Andrea Sanfelice dei Duchi di Laurino di Agropoli, con il quale ebbe quattro figli. La turbolenza del loro rapporto coniugale indusse la Corte a separarli e la Sanfelice fu internata nel Conservatorio di Montecorvino Rovella. Con l’avvento dei giacobini ebbe maggiore libertà di movimento e si diede addirittura ad un menage a quattro, dividendosi tra il marito, il magistrato giacobino Ferdinando Ferri e il tenente di cavalleria Gerardo Baccher, che per sua colpa fu condannato a morte insieme al fratello Gennaro, agli altri due fratelli Fernando e Giovanni La Rosa e a Natale D’Angelo. Come si vede, per soddisfare la sua sete di “amore”, la Sanfelice non prestava la minima attenzione alla casacca indossata dall’amante di turno e, quindi, a seconda delle circostanze, era una volta realista e una volta repubblicana.

L’altra doppiogiochista Eleonora de Fonseca Pimentel, mentre frequentava le stanze della regina Maria Carolina venendo lautamente retribuita quale curatrice della sua biblioteca, e mentre dedicava sonetti al Borbone ( “ … L’età di Ferdinando / ogni altra avanzerà che l’alme illustri / dai regi sguardi accesi / ardite muoveranno a nuove imprese … “) già si era data anima e corpo al giacobinismo e le lodi appena intessute per la dinastia di cui si professava leale suddita divennero tosto minacce di morte intrise di genuino odio giacobino : “ … l’ora segnata è in ciel / ed un sol fil arresta / la scure appesa sul tuo capo ancora”.

Carlo Lauberg, ex sacerdote, ammogliato e primo presidente della Repubblica Napoletana. Nell’ aprile del 1799, intuendo che la situazione stava precipitando, abbandonò Napoli e scappò a Parigi non dimenticando, però, di portare con sé la cassa contenente il tesoro accumulato con le contribuzioni estorte ai napoletani. Corse anche voce che, egli, insieme al Piatti, si fosse servito di pesi truccati per pesare i metalli preziosi dei contribuenti. Una volta in Francia (il massimo dell’incoerenza o della falsità!) divenne suddito e sostenitore dei Borbone di Francia e, per la occasione, cambiò, francesizzandolo, anche il proprio nome. Ma questo è poca cosa nei confronti dell’ignominiosa azione di cui si macchiò poco dopo. Quando il suo passato di giacobino protagonista della Repubblica Napoletana stava per compromettere la posizione raggiunta, l’ “eroe” pensò bene di attribuire le sue gesta al fratello ancora vivente e residente a Napoli.

<< Ai posteri l’ardua sentenza!>>

Mario Pagano, altro protagonista della Repubblica Napoletana, in nome della “liberté”, firmò una legge liberticida che all’articolo 1 prevedeva la condanna a morte entro le ventiquattro ore per chiunque fosse stato sorpreso ad indossare “palese o nascosta” una coccarda non repubblicana, mentre all’articolo 9 teorizzava l’omicidio come unico strumento per conquistare e mantenere i propri “diritti”.

Michele Natale, una volta ordinato sacerdote, per raccomandazione del Re, ottenne la cappellania di S. Maria in Abate a Capua divenendo successivamente cappellano maggiore di Corte e precettore dei principini quando la Corte si trasferiva a Caserta; nominato Arcivescovo di Vico Equense su proposta di Ferdinando IV; sempre da Ferdinando IV, che lo aveva in grandissima considerazione, fu nominato Segretario della Giunta dei Vescovi e continuò a fare carriera nella gerarchia ecclesiastica.

    Come credete che siano state ricambiate tante attenzioni? E’ subito detto.

     “ Il 2 febbraio 1798 a Roma,durante la consacrazione episcopale … fu il solo, fra tredici vescovi del regno, a protestare pubblicamente l’eccezione del diritto di regalia dovuto al suo sovrano.” (citazione da : “Una lettera del Vescovo Natale condannato nel 1799”, di Dante B. Marrocco). L’arcivescovo ad un certo momento depone l’abito talare e diventa il “cittadino” Natale, Presidente della Municipalità di Vico, componendo addirittura un Catechismo ad uso dei repubblicani.

     I “fulgidi” esempi potrebbero continuare, ma mi fermo qui per tirare un po’ le somme.

     Tutto quanto è stato oggetto di queste poche righe non si può negare che sia la naturale conseguenza delle raccomandazioni del grande Voltaire : << Calunniate. Calunniate sempre. Alla fine qualcosa rimarrà!>>.

     E di calunnia in calunnia (di cui i Borbone e tutti i regnicoli ne sanno qualcosa!) si pervenne al Risorgimento, i cui protagonisti, degni continuatori dei fratelli giacobini, continuarono sugli stessi binari. Si arrivò così, anche per quest’altra epoca della nostra storia, a proporre come “eroi” ed esempi di virtù un Pisacane, che rubò una moglie al legittimo marito (Dioniso Lazzari) ed una madre ai propri figli, finendo, poi, per condividerla con un altro “eroe” del nostro Risorgimento : Enrico Cosenz, che da generale borbonico tradì il giuramento di fedeltà fatto al suo Re e alla sua patria e, passando nell’esercito piemontese, diresse i cannoni contro la sua ex patria e i suoi ex commilitoni e conterranei. (Strana coincidenza con l’ analogo comportamento degli “eroi” della Repubblica Napoletana, che, dall’alto del castello di S. Elmo, presero a cannonate e fucilate quelli che fino al giorno prima erano stati i loro amici o i loro parenti). Divennero eroi molti personaggi della Destra storica le cui vite non brillarono né per giustizia né per fortezza né per temperanza; massacratori di popolazioni inermi; invasori che, per il loro comportamento, possono definirsi solamente “barbari” (e in questo caso, sì, che gli si fa troppo onore definendoli “barbari”) per aver invaso una nazione non solo senza una dichiarazione di guerra ed in mancanza di qualsiasi “casus” anche fittizio, ma mentre il monarca che di lì a poco sarebbe stato detronizzato veniva rassicurato dal ” re galantuomo” che non aveva nulla da temere!

     Che begli esempi da tramandare!

     Ora, se la Rivoluzione francese si snodò sulla linea delle parole di Voltaire; se la Repubblica Napoletana pose a fondamento del diritto l’assassinio come unico strumento per conquistare e mantenere la libertà; se il Risorgimento si fondò sui principi denunciati dal Saint Joroz (savoiardo, si badi bene!); se assassini, libertini, ladri e traditori sono stati consegnati alla storia come eroi e martiri; se l’amoralità e la corruzione, rimanendo nel solco della tradizione, sono state adottate come valori positivi e come fondamenta su cui poggia la nazione, non meravigliamoci dell’attuale situazione che stiamo vivendo né della nessuna considerazione in cui siamo tenuti perfino da un minuscolo Lussemburgo che, tramite un suo parlamentare europeo, si può permettere di offendere impunemente la nostra nazione.

     Non è difficile immaginare che, se siamo arrivati a questo punto, buona parte di colpa è da attribuire agli “storici che non insegnano”, i quali, continuando ad abusare del potere loro conferito, nascondono o manipolano la storia, negando ogni possibilità a chi, alla ricerca delle proprie origini, potrebbe avere interesse, o addirittura il diritto, di conoscerla senza censure e senza alterazioni.

 

Castrese Lucio Schiano

Prima parte

 

Fonti consultate

Cesare Linzalone – “Della nostra antica Patria” – CS Editrice

Napoli 1799 – I giornali giacobini – Libreria Alfredo Borzi

Dante B. Marrocco – “Una lettera del Vescovo Natale condannato nel 1799”

1 Comment

  1. Lucio Castrese Schiano si legge come un romanzo, anzi le sue sono tante trame che sembrano inventate per romanzi… ma purtroppo sono realtà, tristi e tenute nascoste da chi sicuramente le conosceva ma le ha sempre utilizzate capovolte per legittimare i protagonisti del momento e i loro misfatti… che storici sono quelli che poi si son lasciati ingannare!. tutti colpevoli perché hanno continuato a farlo, per comodità o per pigrizia, per assecondare l’andazzo denigratorio nei confronti dell’avversario, e seminare odio con falsità sul legittimo comportamento del re Borbone…

    Caterina Ossi

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