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Luigi Toro: la storia e le Opere – Parte III (a cura di C. A. Del Mastro)

Posted by on Gen 2, 2019

Luigi Toro: la storia e le Opere – Parte III (a cura di C. A. Del Mastro)

La giovane Giulia e le due nipotine presero via “Da Capo” e arrivarono a casa. Questo incontro, per me, spiega la vera anima del pittore e fa capire, chiaramente, come aveva vissuto e viveva la delusione dei suoi sogni patriottici. A casa Giulia raccontò tutto ad Antonio e i due sposi ripresero a piangere, poi pensarono alle bimbe e Giulia preparò la cena. Dopo alcuni mesi anche la masseria di Leverano con tutto il terreno intorno fu venduta e fu l’ultimo boccone della famiglia del Mastro ad essere ingoiato dal Dinosauro Piemontese.

Papà diceva che a comprare la masseria di Leverano era stato il signor Andrea Casale,il solo che non aveva approfittato della disgrazia e l’aveva pagata quanto realmente valeva. Tanto che papà era molto amico del figlio del signor Andrea Casale che si chiamava Giovannino ed io, da piccola, rispettando la buona educazione laurese che i figli chiamano zii gli amici dei genitori lo chiamavo “zio Giovannino” e papà spesso mi portava a visitare la masseria dei miei bisnonni e “zio Giovannino” me la faceva visitare tutta e a me bambina sembrava un piccolo e turrito castello. Ritornando al pittore, quel pianto fatto alla masseria di Leverano in memoria dell’amico Titta del Mastro dovette fargli bene, perché riprese a dipingere con più lena e dalle sue mani uscirono tre quadri capolavori. Terminò il primo quadro Agostino Nifo alla corte di Carlo V. 2) Taddeo da Sessa al concilio di Lione. 3)La morte di Pilade Bronzetti alla battaglia di Castel Morrone.

Il pittore terminò il quadro “Agostino Nifo alla corte di Carlo V” ed è uscito un vero capolavoro. Il quadro è lungo 3m ed alto 3m. Chi lo guarda viene trasportato in una vera reggia cinquecentesca. I vestiti dei personaggi sono perfetti,ma quello che colpisce di più è il parlare dei personaggi e la sorpresa che traspare dai volti dei nobili, perché il filosofo, non solo non si è tolto il cappello come hanno fatto tutti i presenti, ma si è addirittura seduto davanti all’imperatore, mentre tutti i presenti sono in piedi. L’imperatore è sorpreso, ma non irato, si nota che stima molto il filosofo a cui ha affidato l’educazione dei suoi figli. Luigi Toro con questo quadro non solo ha voluto dimostrare le sue idee riguardo all’istruzione e alla nobiltà ma ha voluto lasciare anche un ottimo insegnamento alle future generazioni: l’istruzione è superiore a tutti i titoli nobiliari, l’uomo dotto, colto e onesto è addirittura uguale all’Imperatore. Questo quadro per la mia famiglia paterna è stato sempre considerato sacro ed ogni volta che qualcuno della nostra famiglia lo guardava non poteva non recitare un eterno riposo per l’anima di zio Titta presente nel quadro (è alto, il primo a sinistra, un po’ di spalle). Il quadro è stato offerto al comune di Sessa e si trova sulla parete più importante del nostro Senato Cittadino. Il pittore alla fine del decennio 1860 si trasferì a Roma e prese casa a via Margutta, la strada degli artisti e lì dipinse i suoi ultimi quadri.

La cultura e l’uomo dotto sono anche i protagonisti del quadro “Il Concilio di Lione” lungo 6m e alto 4m, che occupa tutta una parete del nostro Senato Cittadino; ma per meglio capire ed apprezzare questo capolavoro, bisogna fare una breve introduzione storica. Siamo nel secolo XIII: é Re di Sicilia e Imperatore di Germania (Sacro Romano Impero) il grande Federico II, che con le sue leggi e il suo ottimo governo ha fatto diventare il Regno delle Due Sicilie il più ricco fra tutti i regni europei e la stessa cosa si prepara a fare, come Imperatore per la Germania, ma l’unione delle due corone: Re di Sicilia e Re di Germania non era gradita al Pontefice Gregorio IX, perché il papa non voleva che il territorio governato dallo stato pontificio fosse stretto e confinante con i possedimenti dello stesso sovrano a Nord e a Sud. Perciò Federico II doveva rinunziare o al regno di Sicilia o alla Corona Imperiale.

I Pontefici si potevano permettere di fare questa richiesta, perché tutto era stato già confermato durante la minorità di Federico II, che nato nel 1194, rimasto orfano del padre, l’imperatore Enrico VI morto nel 1197, fu affidato dalla madre, l’imperatrice Costanza d’Altavilla al pontefice Innocenzo III, che rimase il solo a prendersi cura del piccolo principe quando anche la madre nel 1198 morì. Nel 1208 Innocenzo III dichiarò maggiorenne Federico a 14 anni e lo incoronò Re delle Due Sicilie, facendogli, però, promettere di rinunziare alla Corona Imperiale di Germania. Tutto procedeva bene, quando nel 1216 Innocenzo III morì e fu eletto papa Onorio III molto legato a Federico che nel 1220 incoronò Federico II anche Imperatore di Germania (Sacro Romano Impero). Morto Onorio III nel 1227 fu incoronato papa Gregorio IX, che subito ordinò a Federico di deporre una delle due Corone e rispettare gli accordi stabiliti nel 1208. Poiché Federico, appoggiato dai Siciliani e dai Germani resisteva, il Papa ricorse all’arma della scomunica: lo scomunicò perché Federico ritardava a organizzare la sesta crociata promessa e liberare la Terra Santa dai Musulmani.

Nel 1228 Federico organizzò la crociata e partì, ma invece di combattere con le armi, risolvette tutto diplomaticamente. Si incontrò in Egitto con sultano al-MaliK al Kamil a cui Federico cedette tutti i porti dell’Egitto e dal sultano ebbe libera la Terra Santa. Poi i due sovrani firmarono l’accordo e si salutarono con una stretta di mano. Quando Federico II consegnò al Papa la Terra Santa liberata, Gregorio IX gridò come un pazzo: <Cosa hai fatto?! Sei venuto con le spade pulite!? Tu dovevi venire con le spade sporche di sangue musulmano. Gli infedeli si uccidono! Tu hai stretto la mano del sultano! Tu sei un Anticristo scomunicato e scomunicato resterai>. Furono tempi duri fra il Papa e Federico II anche se i due nel 1230 arrivarono ad un accordo firmato a San Germano (Montecassino ).

Morto Gregorio IX nel 1241, dopo un anno e mezzo di sede vacante fu eletto papa Innocenzo IV nel 1243 e mentre continuavano le trattative con Federico II e il Papa, Innocenzo IV fuggì improvvisamente a Lione dove convocò un concilio nel quale scomunicò e depose Federico II, bandendo, addirittura, contro di lui una crociata e chiese aiuto alla Francia alla quale promise il Regno delle Due Sicilie. A questo punto entrò in scena il più grande giurista del tempo,(oggi 2016 possiamo dire il più grande giurista di tutti i tempi) il nostro concittadino Taddeo da Sessa, nato a Sessa nel 1190. Taddeo da Sessa era il più grande giustiziere della Curia Imperiale, giurista eminente, tenuto in gran conto alla corte di Federico II, che gli affidò nel 1243 la sua difesa presso Innocenzo IV al Concilio di Lione 1243. Il nostro giurista difese l’imperatore con un’arringa in Latino degna di Cicerone, ma tutto fu inutile. Innocenzo IV non solo non tolse la scomunica a Federico II, ma lo considerò decaduto e bandì contro di lui addirittura una crociata. Chi guarda questo quadro si trova subito fra i prelati presenti nel duomo di Lione, illuminato dalle luci delle candele. A sinistra di chi guarda sta il Papa in trono solo, brutto, cattivo. La folla dei chierici, in bianco, sembra un ammasso di statue, più spaventati che cantanti il Te Deum. I prelati non sanno dove guardare, né dove correre.

Alcuni hanno il coraggio di raggiungere (sulla destra guardando) il giurista Taddeo da Sessa, che il pittore ci presenta disgustato, irato al punto che sta per strappare le carte con i documenti, che ha tra le mani. Questo quadro, che, veramente, per come è fatto, è un vero capolavoro, perché anche in questo quadro tutti i personaggi non solo sono -loquaces- ma arrivano a mostrare anche il loro carattere. Un quadro bellissimo di cui noi Suessani siamo orgogliosi.

Non così, purtroppo è stato per la Chiesa Cattolica, che non ha mai dato il suo sostegno al nostro pittore, perché la Chiesa non ama far conoscere i suoi peccati. Per avere il sostegno della Chiesa il nostro pittore doveva seguire l’esempio di Michelangelo, di Signorelli ed altri: tutti osannanti… Tutti protetti. Il nostro pittore invece, presentando il Concilio di Lione non solo ha voluto far conoscere il grande giurista Taddeo da Sessa, ma ha dimostrato anche la sua libertà di pensiero, qualità importante per l’artista.

Il quadro ” La morte di Pilade Bronzetti”.                                                                                       Anche questo quadro è grandissimo è lungo 6m e alto 4m, il pittore ci presenta il campo di Castel Morrone dopo la battaglia e la morte del suo amico Pilade Bronzetti. Anche questo quadro fu dipinto a Roma, dove Luigi Toro si era trasferito e abitava in via Margutta, la strada dei pittori. Il pittore per fare questo quadro chiese un prestito al Banco di Napoli, ma il prestito non potette essere saldato perché il quadro non fu venduto. Il quadro è stato solo poche volte esposto ed è stato sempre conservato dal Banco di Napoli.

I perché sono tanti: chi dice che è troppo grande- chi dice che mette sotto gli occhi di chi lo guarda quella terribile <accisaglia> di italiani contro italiani che portò alla conquista del Regno delle Due Sicilie. Tanto è vero che il re Vittorio Emanuele II arrivò addirittura ad ordinare di far bruciare il quadro, perché non voleva far vedere quello che era avvenuto per la conquista dell’Italia Meridionale. Fortunatamente il Banco di Napoli si oppose e noi oggi possiamo ammirare questo grande capolavoro. Che il quadro sia un vero capolavoro lo conferma la bellissima critica di Gabriele d’Annunzio, scritta sulla Tribuna di Roma, ne riporto alcuni pensieri: “le figure sono disegnate con bravura… il paesaggio pare partecipare al triste destino degli uomini in guerra. Il paesaggio occupa uno spazio rilevante nella composizione. Scegliendo, dunque, il versante del Naturalismo più aggiornato il pittore aurunco riuscì ancor meglio a descrivere e caratterizzare l’episodio storico”- Gabriele D’Annunzio.

Fra tutte le critiche su questo sfortunato quadro ho scelto quella del poeta Gabriele D’Annunzio per far capire agli italiani del 2016 che depositato nei forzieri del Banco di Napoli c’è un vero capolavoro, che merita di essere esposto ed ammirato. Questo quadro causò anche la rovina economica del pittore, perché, per farlo, non solo consumò tutti i suoi risparmi, ma chiese prestiti anche al Banco di Napoli, che non vendendo il quadro non poté saldare. Trascorse gli ultimi anni della sua vita povero e triste. anche se aveva ottenuto il primo posto il suo dipinto “Riposo dei cacciatori” all’Esposizione Internazionale di Vienna.

Luigi Toro non ebbe mai il coraggio di ritornare a Lauro, per fortuna un suo carissimo alunno Nicola Borrelli ne ebbe pietà, lo prese e lo portò a casa sua a Pignataro Maggiore, dove il giorno 13 aprile del 1900 alle due antimeridiane l’alunno raccolse le sue ultime parole: <Ho sempre pregato Iddio perché mi avesse concesso di morire in mezzo agli amici> e tali, più che fratelli furono quelli che lo assistettero e lo piansero. Fu sepolto a Pignataro nella tomba della famiglia Borrelli. Il Consiglio Comunale di Sessa Aurunca lo commemorò nella seduta del successivo 18 aprile. <Il giorno 13… spegnevasi in Pignataro Maggiore il nostro illustre concittadino Cav. Luigi Toro con Lui Sessa perde un patriota preclare, un cittadino integerrimo, un artista di fama nazionale… Sessa piangendone la perdita rende il dovuto omaggio alla memoria di un suo cittadino che le accrebbe lustro e nome>.

I resti mortali del pittore il 12 maggio 1973 furono traslati da Pignataro Maggiore a Lauro, il paese che gli aveva dato i natali ed ora riposano in pace nell’antica tomba di famiglia: La tomba dei suoi cugini i colonnelli Toro, nel cimitero antico di Lauro.

A cura della Prof. Cecilia Aida Maria Del Mastro, tratto da “Archivi Storici, archivi domestici”-

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fonte

https://www.generazioneaurunca.it/turismo-cultura/luigi-toro-la-storia-e-le-opere-parte-iii-a-cura-di-c-a-del-mastro/

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