MAI PACE POSSANO TROVARE…DI ANGELO MANNA
L’unità fatta con massacri, stupri, furti e degli incendi patiti dalla povera gente di quelle strapovere terre sannite che la gloriosa massacratrice Italia-una ebbe il cinismo fottuto di ribattezzare terre di briganti. E quel maledetto ferragosto nel quale i bersaglieri scrissero la pagina più sporca della loro sporca storia risorgimentale.
I nordisti affogavano nei debiti. Erano degli squattrinati, e l’Austria gli aveva bell’è spedito l’intimazione di sfratto. E allora i nostri rinnegati gli fecero immaginare, da lontano, come fosse fatto l’oro: gli fecero capire che venendo quaggiù essi avrebbero risolto ogni loro problema (ma figuriamoci se la gang cavouriana non se ne fosse già resa conto…). Essi calarono giù da noi, e noi, fratellini belli, trasite e accomodateve, state servite!, ce li dovemmo accollare, co la mazza o co la carrozza, metterceli in casa, a spese nostre…
E in quel nostro oro gli facemmo bagnare prima un piedino, poi tutti e due, finché in quel nostro oro li facemmo nuotare… Ma – che grandi eroi ! – i fratellini ci sgozzarono come pecore e si fottettero l’oro e quant’ altro di prezioso avevamo. E si fottettero anche le nostre donne, e qui, a Pontelandolfo, afferrarono una ragazzina e (forse perché ce l’avevano troppo duro anche allora e pareva brutto mettere a sì cruda prova una povera verginella, NdA) furono tanto premurosi che la sverginarono con le baionette: la sventrarono.
Li facemmo uomini, quei criminali che ci ritroviamo eroi nei libri di storia. Li facemmo uomini grazie ai danari a palate che ci facemmo rubare dai banchi pubblici e privati. Oh, graziosi angioletti, soldatini cari: che i loro discendenti possano trovare morti lente, infinite ed atroci!… Li accogliemmo a braccia aperte, li sfamammo, li ingrassammo…
Saccheggiarono e dettero alle fiamme palazzi reali e patrizi, ville, stalle, masserie, pagliai,… Ah, quei bastardi! Quali averi, quali sostanze, quali danari, quali oggetti cari e preziosi non ci sottrassero con l’ inganno e con la violenza!… E poi? Eravamo ridotti all’osso, ché pure il pane niro e e ttuosto che c’era rimasto e pure le ultime patate e le ultime cipolle, che avevamo tolto dalle bocche dei nostri figli, avevamo dato a loro o ci eravamo fatti rubare per quieto vivere: vennero in campagna, noi buttavamo il sangue sui solchi, ci misero in fila e, unò-dué, ci ingiunsero di uscire dalla terra, ché il padrone era cambiato, i contratti erano scaduti, bastonarono a morte chi si rifiutò di obbedire, andarono via solo quando fin l’ultimo cafone fu sparito, raggiunsero il paese, sfondarono le porte delle chiese, rubarono cristi, madonne, santi, ostensori, pissidi, sacramenti d’oro e d’argento e se li andarono a vendere… A chi? Ai camorristi, amici e complici loro. Tentammo di opporci? Di reagire? Come no… Non lo avessimo mai fatto!
Quei prodi italiani (che erano soldati, bersaglieri, garibaldesi, carabinieri…) ci chiusero nei covili, nei tuguri, nelle baracche, sbarrarono le porte e ci dettero fuoco ! E mentre noi morivamo fra quei roghi orrendi, quegli eroici figli di puttana (mai pace possano trovare i figli dei figli dei figli per settantasette generazioni!) spronavano i cavalli e, urlando Briganti ! Briganti! (e va sapendo i briganti eravamo noi!…), giravano e rigiravano attorno alle fiamme, bevevano, sputavano, sgruttavano, sghignazzavano in preda a una furia, a una foia animalesca che era arraggimma, era fregola di gatte in calore, urlavano cose incomprensibili, scaricavano le loro rivoltelle e i loro fucili verso le stelle: le quali, duttó’, come diceva quello, restavano a guardare… I superstiti? Zitti! Se tenevano la posta. E sse l’avevano da tènere…
Nfaccia all’Italia-una, chi cumannava tribule e catene aveva da essere sultanto ubberito. Vulimmo parlà e parlammo… Che cacchio poteva rappresentare la nostra morte di fronte ad un’Italia-una che noi vittime e loro assassini stavamo realizzando con tanto patriottico amore reciproco? I morsi delle fiamme nelle nostre carni dovevano sembrarci carezze al pensiero che dalle Alpi alla Sicilia saremmo stati uniti, e che nostro re sarebbe stato quel re galantuomo, quel del Savoia ca pozza àrdere, assiemme co li suoie, dint’a lo peggio furno de lo nfierno… Zitte le supèrstete, felice e cuntiente… Si tenevano la posta. Ih che mmonnezza!…
Poca storia locale? E tragica sol’ perché esagerata nel racconto dei figli di coloro che se la videro scrivere addosso, sulla propria pelle, non già rimettendoci calamariere d’inchiostro, ma fiumi di sangue… In quante comunità del conquistato Sud non si verificarono, in quel tempo maledetto, episodi di tanta efferatezza? In quali terre dell’ex Reame i vincitori lasciarono in pace i cafoni, non li massacrarono chiamandoli briganti!, o non gli gettarono addosso i terribili cani di presa amici loro, i camorristi o briganti veri, allo scopo di tutelare gli sporchi interessi dei latifondisti che avevano finanziato la spedizione di Garibaldi ottenendo in cambio che i piemontesi chiudessero gli occhi sulle usurpazioni delle terre demaniali e sulle espropriazioni abusive degli usi civici? I fatti eroici degli eroi dell’eroico risorgimento erano stati più o meno quelli. In tutto il Sud liberato e redento. Ma come due poveri vecchi conoscevano, la verità, e i grandi autori dei grandi libri di storia no?…
E cchisto è ’o fatto!… Basta sfogliare un qualsiasi testo di storia d’Italia per rendersi conto dell’indecente faziosità con la quale gli infranciosati conquistatori e i loro degni accoliti (i nostri bravi traditori fra quelli…) montarono i fasti del cosiddetto risorgimento e affrontarono il tema, ad esso pertinente, dell’altrettanto cosiddetto brigantaggio post-unitario nelle provincie meridionali. E non è necessario andarlo a pescare, questo qualsiasi testo (da aprire e leggere per vomitare…), fra i cimeli delle premiate Fiere delle Falsità allestite dal Sessanta in poi, mentre quei funesti eventi si compivano.
Sorelle carnali di quelle messe in piedi dopo il Novantanove e il Quarantotto, esse dànno ancora i numeri a qualsiasi ora del giorno e della notte, e non chiudono, e non sbaraccano mai… A finanziarle e a proteggerle pensa babbuccio loro, lo Stato unitario che quei numeri deve far uscire su tutte le ruote e, neppure due volte la settimana, ogni giorno: sennò perde la faccia! E certamente è questo l’aspetto più vergognoso della cosiddetta storia del cosiddetto risorgimento.
La Storia di tutti i Paesi del mondo rivede se stessa ogni volta che si trovi di fronte a nuove scoperte documentali: procede alle opportune revisioni senza far drammi, si aggiorna. La storia d’Italia (che è consapevole delle proprie falsità) resta inchiodata alle spudoratezze vigliacche ponzate dai panegiristi della Solenne Impostura Risorgimentale: continua, con cinica premeditazione (mentendo sapendo di mentire), a spacciare Falsità su Falsità. I buoni? Sempre loro: i vincitori. E i cattivi? Sempre noi: i vinti…
Angelo Manna