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Meglio un reazionario, un conservatore o un moderato?

Posted by on Feb 4, 2022

Meglio un reazionario, un conservatore o un moderato?

 

Per la gente comune, il termine reazionario è di per sé negativo. Anche chi osteggia il progressismo più spinto (quello che vuole imporre il gender, l’animalismo, l’ecologismo estremo) si sente meglio protetto da un politico o da una ideologia del campo conservatore o moderato, anziché una del campo reazionario, come se moderazione e/o moderazione fossero opposti al pensiero rivoluzionario.

In realtà, già due secoli or sono, il pensatore cattolico Jaime Balmes (1810-1848) scriveva a proposito dei partiti spagnoli moderato (del 1833 – scoppio della prima guerra carlista) e conservatore (costituitosi dal precedente per le elezioni generali del 3 settembre del 1844 in vista della revisione della Costituzione del 1845): «Il partito del 1833 fu battezzato dai propri istinti e venne chiamato moderato; il partito nato nel 1844, nel quale risiede la grande idea di governo, è battezzato dal sistema vigente e viene chiamato conservatore: il primo era destinato a moderare gli impeti di una rivoluzione risoluta nei fini e violenta nei mezzi; l’altro è destinato a conservare gli interessi di una rivoluzione consumata e riconosciuta»[1].

Né l’uno né l’altro – ma nell’uso comune e nella prassi politica conservatore e moderato sono pressoché equivalenti – sono quindi in grado di respingere l’assalto della rivoluzione, le sue dannose innovazioni: entrambi – ma sarebbe più corretto dire la fazione moderata, conservatrice, centrista – cercano di moderare gli effetti della rivoluzione, cioè della legislazione progressista, senza disconoscere (anzi, spesso esaltandone) i principi.

La “Legge della memoria storica”

Un esempio ci viene dalla legislazione spagnola: l’infausto governo socialista Zapatero (2004-2011) ha approvato sia una legislazione (allora all’avanguardia in Europa) che ha sancito l’equiparazione dell’unione tra invertiti al matrimonio tra persone normali; ed inoltre ha varato la Legge 52/2007, detta “Ley de Memoria Histórica” – che per certi versi ricorda lo “spirito” della legge Mancino e suoi successivi inasprimenti – la quale pretende di cancellare ogni ricordo del periodo franchista (ed anche del Carlismo).

Limitandoci a quest’ultima – e per non citare le ridicole modifiche apportate in senso “paritario” alle luci dei semafori pedonali, che in varie città spagnole ora presentano non solo l’omino rosso fermo e l’omino verde in marcia, ma anche la donnina nelle due pose e nei due colori! – va detto che sotto la mannaia della damnatio memoriae sono cadute anche figure storiche che non potevano essere minimamente messe in rapporto né con la guerra né con il regime franchista: è il caso, ad esempio, di José Calvo Sotelo, assassinato dai rossi prima dello scoppio della guerra,la strada in onore del quale a Granada è stata rinominata Avenida Madrid. Un altro esempio è quello del teorico politico tradizionalista Juan Vázquez de Mella (1861-1928), ideologo del Carlismo (non certo accusabile di franchismo per evidenti ragioni anagrafiche!): ebbene, si è chiesto che la piazza a lui dedicata a Madrid sia intitolata ad un attivista per i “diritti” degli invertiti.

Questo durante il governo progressista.

Ma il successivo governo popolare Rajoi (2011-), da buon conservatore, non ha cancellato, bensì appunto conservato tutti gli effetti della rivoluzione che lo ha preceduto, senza mettere in discussione i… “diritti acquisiti”! È immaginabile che la politica dell’alternanza porti ad un futuro governo nuovamente progressista che potrà quindi partire da una base legislativa già avanzata per poter compiere la propria opera demolitrice della sana civiltà cristiana europea.

La “Legge Mancino”

In Italia un esempio si è avuto con la cosiddetta Legge Mancino (n. 205/1993), in teoria volta a reprimere in generale l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali (ma escludendo la lotta di classe!), in pratica utilizzata solo e soltanto per colpire le formazioni extraparlamentari tradizionaliste e nazionaliste. Tale legge sarebbe potuta essere abolita da uno dei quattro governi Berlusconi. Ma anche in questo caso, da buon moderato-conservatore, Berlusconi ha rispettato la legge e così si è avuto prima un inasprimento nel senso di punire anche chi «nega la realtà, la dimensione o il carattere genocida» dei crimini di guerra (trasformando così una ipotesi storiografica in una verità assoluta: in un Paese in cui si può negare l’esistenza di Dio, non è possibile porre in dubbio quella dell’Olocausto)[2] e poi aggiungere l’omofobia e la transfobia (sic!) ai reati da reprimere (c.d. decreto Scalfarotto)[3].

Tra parentesi, va ricordato che la legge Mancino costituisce la ricezione della Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, o Convenzione di New York[4], imposta tramite l’Onu a tutti gli Stati da Israele, che però non la volle recepire nel proprio ordinamento (comprensibilmente, perché la discriminazione in base a motivi religiosi è parte fondante di quello Stato stesso).

Ma come è stata possibile tale cecità da parte dei governi “conservatori”?

Troni e patiboli

Visto che abbiamo citato l’ideologo tradizionalista Juan Vázquez de Mella (1861-1928), bisogna ricordare una sua meravigliosa frase secondo cui non è possibile «levantar tronos a las causas y cadalsos a las consecuencias»[5], vale a dire «impiccare gli effetti dopo aver incoronato le cause», ovvero, per essere più aderenti al testo originale, prima porre le premesse sopra un trono, poi alzare un patibolo alle conseguenze.

Questo significa che non è possibile criticare solamente gli “eccessi” della rivoluzione francese ed esaltarne i presupposti, cioè rifiutare il Terrore del 1793, ma considerare positivi gli “immor(t)ali principi” del 1789.

Non è possibile criticare il terrore stalinista, ma difendere i principi della rivoluzione bolscevica, il pensiero di Lenin e quello di Marx.

Non è possibile criticare gli eccessi del nazionalismo senza rifiutare anche i presupposti del pensiero hegeliano o l’immoralità della politica attuale esaltando la “modernità” del pensiero machiavellico…

E ciò vale in tutti i campi: considerando la Chiesa cattolica e passando agli eccessi in ambito liturgico, non è possibile criticare le disinvolte scelte dei ministri di culto – vescovi che ballano il flashmob a Rio de Janeiro davanti a Bergoglio o che si presentano sull’altare imbracciando una chitarra ad Avellino; preti che scorrazzano tra i fedeli su biciclette, segway o hoverboard (ma perché non definirlo monopattino elettrico autobilanciato o senza manubrio?) o che celebrano con il naso da clown, e via enumerando… – senza criticare l’introduzione del Novus Ordo (1969) e l’evento epocale che ne sta alla base, il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965).

La punta della lancia

La rivoluzione – intesa non nel senso etimologico proposto da Evola, né in quello edulcorato di riforma innovatrice, bensì in quello classico di distruzione della cultura tradizionale – è come una lancia: è la punta in metallo che colpisce, ma essa può ferire solo in quanto innestata su un’asta di legno. E quest’ultima è il risultato della sedimentazione continua di un pensiero antitradizionale che, talvolta a poco a poco, talaltra con forti sbalzi, ma sempre con costanza, ha modificato il comune sentire.

I partigiani comunisti che durante la guerra civile combatterono mettendo a repentaglio la loro vita per realizzare lo stato bolscevico anche in Italia – sottolineò qualche anno fa Marcello Veneziani – avrebbero mai pensato che i loro discendenti (i rappresentanti del PD) avrebbero posto come punto fondamentale del loro programma politico non la lotta di classe o la dittatura del proletariato, bensì… il riconoscimento dei “diritti” degli omosessuali, che gli stessi partigiani di un tempo avrebbero bollato come invertiti?

E con il passare del tempo, da un Togliatti che cercava di evitare l’omosessuale Luchino Visconti, radical chic che smaniava per essere “accettato” dai vertici del PCI, siamo passati ad una Sinistra che ha accolto – prima con qualche remora, poi pienamente – Pier Paolo Pasolini ed infine è degnamente rappresentata dai Vladimir Luxuria e dagli Scalfarotto che si battono – in un’Italia allo sfascio morale, sociale ed economico – non in favore dei diritti dei lavoratori, bensì contro le discriminazioni verso gli omosessuali e i transessuali, come se non fossero ben altre le priorità del popolo che sono – teoricamente – chiamati a rappresentare (ma l’articolo 67 della Costituzione li libera da ogni vincolo di mandato).

Conclusione

Per riportare la politica alla razionalità sarebbe necessario, dunque, un governo non semplicemente moderato o conservatore, bensì decisamente reazionario, capace di reagire allo sfacelo attuale, non di limitarsi a moderarlo o, peggio, a conservarlo. Ma poiché, assieme alla guerra mondiale, l’Europa ha perso anche – e soprattutto – la guerra culturale, il solo termine reazione spaventa le masse (come i termini fascismo, nazismo, nazi-fascismo, usato molto spesso del tutto a sproposito) mentre il concetto di progressismo viene percepito come positivo ed il concetto di comunismo viene considerato come una idea politica discutibile, ma tutto sommato accettabile, separandola dai crimini che ad essa sono necessariamente collegati (ricordo che le stime vanno dagli 80 ai 200 milioni di morti dovuti ai vari regimi di matrice comunista nel mondo: ma il male assoluto rimane solo e soltanto il nazi-fascismo, che pur sommando tutti i morti accreditatigli, rispetto alle cifre anzidette farebbe una figura da dilettante…).

È quindi necessaria e propedeutica una battaglia linguistica ed ideologica per poter permettere lo sviluppo di una sana politica che abbia a cuore i veri problemi della popolazione.

Gianandrea de Antonellis


[1] «Al partido de 1833 le bautizaron sus instintos y se llamó moderado; al partido que nace en 1844, partido cuya vida se reconcentra en la grande idea de gobierno, le bautiza su sistema y se llama conservador: el uno estaba destinado a moderar los ímpetus de una revolución osada en sus fines y violenta en sus medios; el otro está destinado a conservar los intereses creados de una revolución consumada y reconocida». Jaime Balmes, El Pensamiento de la Nación (1844), Escritos políticos, tomo III (volumen XXV de las Obras completas), Barcelona, 1926, p. 241, cit. in  Miguel Ayuso, Las murallas de la Ciudad, Nueva Hispanidad, Buenos Aires 2001, p. 124.

[2] Va detto che tra i firmatari della proposta si trovano anche due senatori provenienti dalle fila di AN: Gasparri e Viespoli, coerenti nel loro percorso di “moderati”. Cfr. https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/286209.pdf.

[3] Cfr. http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0003090.pdf.

[4] Perché fu aperta alla firma a New York, presso l’Onu, il 7 marzo 1966; venne recepita dall’ordinamento italiano con legge 13 ottobre 1975, n. 654.

[5] La frase originale, indirizzata ai liberali, recita: «Vosotros levántais tronos a las premisas y cadalsos a las consecuencias». Vázquez de Mella, Crítica del liberalismo. Le ley de jurisdicciones, Discurso en el Congreso de los Diputados, 3 de marzo de 1906, in Obras Completas del Excelentísimo Señor Don Juan Vázquez de Mella y Fanjul, volumen IX [Discursos parlamentarios IV], Madrid, Junta del Homenaje a Mella, 1932, p. 141.

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