MEMORIE PER LA STORIA DE’ NOSTRI TEMPI (II)
CAVOUR E GARIBALDI
nel maggio e nell’ottobre del 1860
(Pubblicato il 5 ottobre 1860).
Ornai le contraddizioni politiche sono il pane quotidiano degli uomini che governano di qua e di l� delle Alpi, e noi siamo disposti a ritrovarne ogni giorno delle audacissime e stomachevoli. Non ostante ci fe’ ribrezzo il confronto tra ci� che il conte di Cavour disse alla Camera dei Deputati il 2 di ottobre, e le parole che fe’ stampare sulla Gazzetta Ufficiale del Regno del 17 di maggio 1860.
Cavour il 2 di ottobre del 1860. Il governo del Re pot� non fallire all’assunto di secondare la fortuna d’Italia e compiere ardite imprese. — Altri undici milioni d’Italiani hanno infranto le loro catene. —11 ministero � al tutto alieno dall’attribuire unicamente a se stesso il merito di s� mirabili eventi. — A rispetto di Napoli e di Sicilia, � dovuto al concorso generoso dei volontarii, e pi� che ad altra cagione al magnanimo ardire dell’illustre loro capo, al generale Garibaldi. Il ministero si restringe a notare che questi memorandi casi furono conseguenza della politica proseguita per dodici anni dal governo del Re. Garibaldi � un generoso. patriota. — L’autorit� e l’impero di Napoli e Palermo stanno nelle mani gloriose di Garibaldi, il quale ha reso segnalali servizi alla patria� (Atti uff. della Camera, N� 138, pag. 539, 540).
Cavour il 17 di maggio 1860. �Alcuni giornali stranieri, a cui fanno eco quei fogli del paese che avversano il governo del Re e le istituzioni nazionali, hanno accusato il ministero di connivenza nell’impresa del gen. Garibaldi. La dignit� del governo ci vieta di raccogliere ad una ad una queste accuse e di confutarle. Basteranno alcuni brevi schiarimenti.
Il governo ha disapprovato la spedizione del generale Garibaldi, ed ha cercato di prevenirla con tutti quei mezzi, che la prudenza e le leggi gli consentivano. La spedizione ebbe luogo non ostante la vigilanza delle autorit� locali; essa fu agevolata dalle simpatie che la causa della Sicilia desta nelle popolazioni. Appena conosciutasi la partenza dei volontari, la flotta reale ricevette ordine d’inseguire i due vapori e d’impedirne lo sbarco. Ma la marineria reale non lo pot� fare, nella guisa stessa che non’ lo pot� quella di Napoli, che pure da parecchi giorni stava in crociera nelle acque di Sicilia. Del resto l’Europa sa che il governo del Re, mentre non nasconde la sua sollecitudine per la patria comune, conosce e rispetta i principii del diritto delle genti, e sente il debito di farli rispettare nello Stato, della sicurezza del quale ha la risponsabilil� (Gazzetta Ufficiale del Regno, num. del 17 di maggio).
Dunque nel maggio del 1860 Cavour disapprova la spedizione di Garibaldi, manda ordine d’inseguirlo, lo denunzia all’Europa come violatore del diritto delle genti. E nell’ottobre del 1860 Cavour applaude alla spedizione di Garibaldi, la chiama mirabile evento, memorando caso, magnanimo ardire, segnalato servizio reso alla patria!!
FRA SEI MESI! SPERANZE E TIMORI DEL CONTE DI CAVOUR
(Pubblicato il 13 ottobre 1860).
Nella tornata dell’11 di ottobre il conte di Cavour ha dichiarato solennemente ai deputati che vuol togliere al Papa anche la citt� di Roma, e che se gliela lascia per poco, si � per cagione dei tempi, per difetto d’opportunit�, per timore del mondo cattolico. Quando per� si presenti il destro, Roma seguir� le sorti delle Romagne, delle Marche e dell’Umbria.
E il conte di Cavour aggiunse che questa � l’idea piemontese da dodici anni in qual Come? Mentre i liberali scioglievano le labbra in inni e benedizioni a Pio IX, meditavano di spogliarlo perfino di Roma? Mentre Carlo Alberto si profferiva cos� affezionato al Pontefice Romano, divisava di strappargli dalla fronte la Corona? Noi non avremmo osalo di gettare quest’insulto sulla memoria di quel Re.
Ad ogni modo � un bel guadagno per noi il conoscere oggid� nettamente le intenzioni del ministero. Garibaldi ha vinto Cavour. Imperocch� il dissenso insorto tra Cavour e Garibaldi era che quegli voleva arrestarsi alle mura di Roma, e Garibaldi fare di questa la Capitale del Regno Italiano. Ora il conte di Cavour sposa pienamente la politica garibaldina, e i due eroi, degni l’uno dell’altro, diventano due anime in un nocciolo.
Ma il conte di Cavour, nel vagheggiare il conquisto di Roma, e la totale spogliazione del Pontefice, non si pot� difendere da un arcano timore, e domand� a se stesso, domand� ai deputati: in quali condizioni sar� fra sei mesi l’Europa?
Questa domanda fu eloquentissima. Era una confessione, che il Piemonte trovasi oggid� come un bastimento in alto mare �nave senza nocchiero in gran tempesta� per dirla colla parola d’un nostro celebre poeta, e non sa dove andr� a riuscire.
Era un presentimento di grossi torbidi, di guerra vicina, di rivoluzione imminente, che ci trascineranno dove non vogliamo e non possiamo, come hanno trascinato sempre tutti coloro che vollero andare a Roma, a cui venne il capogirlo prima anc�ra che fossero giunti sul Campidoglio.
Era una dichiarazione di quanto sieno legittime le incertezze dei privati e dei popoli, quando colui medesimo che ha in mano la somma delle cose, che s’aggira nei segreti della diplomazia, che conosce i pensieri dei gabinetti europei, conviene di non saperne nulla, e chiede agli altri che cosa sar� da qui a sei mesi l’Europa?
Ma che cosa sar� l’Europa da qui a sei mesi? Il conte di Cavour noi sa, i deputati noi sanno, e lo sapremo noi? Eppure una cosa noi sappiamo, e possiamo dirla francamente senza esitare e senza paura d’essere smentiti: il Papa sar� sempre Principe temporale; sar� sempre Re di Roma! Passeranno sei mesi, passeranno sei anni, passer� il conte di Cavour, come pass� Crescenzio Numanziano, il conquistatore di Castel Sant’Angelo, come pass� Arnaldo da Brescia che volle di Pietro crollar l’immobil pietra, come pass� Stefano Porcari, come pass� Cola da Rienzo, come pass� Berthier e tanti altri invasori di Roma; ma una cosa non passer�: non passer� il dominio temporale dei Papi!
Vedete la gran differenza che corre tra noi cattolici e il conte di Cavour ed i suoi. Costoro hanno molte e grandi speranze, veleggiano col vento in poppa, si veggono favoriti in tutto dagli avvenimenti. Tuttavia nell’ebrezza del trionfo non sanno difendersi da un segreto timore e domandano: Che sar� l’Europa da qui a sei mesi?
Ma nessun timore di questo genere pu� intromettersi nel cuore d’un cattolico. Egli si farebbe coscienza di chiedere che sar� del Papa, che sar� del suo dominio temporale? Sa che questo dominio � necessario oggid� alla Chiesa per la sua indipendenza e libert�; e se per lo innanzi ne avesse menomamente dubitato, ora l’unanime consentimento di tutti i Vescovi del mondo l’avrebbe convinto dell’empiet� del dubbio.
Posta adunque questa utilit� e necessit�, nel cuore di noi cattolici non sono che speranze scevre da ogni timore, e le speranze nostre non si fondano n� sulla generosa Francia,, n� sulla g�vsta Inghilterra, ne sulla nobile Germania. Non abbiamo bisogno di largheggiare in epiteti come il conte di Cavour; perch� le nostre speranze si fondano sulla provvidenza, sull’onnipotenza, sulla giustizia di Dio.
Il quale appunto in questi momenti prepara la pili gloriosa vittoria del dominio temporale dei Papi. E come ci�? State a sentire.
Una vittoria � tanto pi� segnalata, quanto maggiore apparisce la potenza dei nemici, e minori i mezzi di difesa. Questo � evidentissimo. Or bene per la vittoria del Papato debbono andare innanzi questi due fatti: che il Papa venga assalito da una forza grandissima, e che non abbia nessun mezzo umano per ischermirsene.
E i due fatti ornai sono messi in luce, e tutti li veggono da s�. Ora la vittoria non pu� tardare. E quanto sar� gloriosa per Pio IX? E quanto sar� utile alla Chiesa? Se il Papa vincer� in questa lotta, e vincer� di certo, chi oser� mettere in dubbio l’intervento della Provvidenza in favore di Pio IX? Chi oser� ripetere ancora non essere il Papa-Re nei grandi decreti di Dio? Chi oser� pi� lusingarsi di poter atterrare Roma Pontificale?
Egli � in questo senso che noi diciamo apparecchiarsi oggid� la pi� gloriosa vittoria del dominio temporale dei Papi, e fra qualche tempo ci saprete dire se c’inganniamo. Non preciseremo n� i giorni, n� i mesi, imperocch� il tempo � in mano di Dio che conosce i tempi ed i momenti.
Ma voltiamo la pagina e torniamo alla domanda del conte di Cavour: che Sar� l’Europa da qui a sei mesi? Che sar� della Francia? Che sar� dell’Italia? Che sar� del nostro Parlamento? Che sar� del conte di Cavour medesimo?
Il Piemonte ha ammesso un grande e terribile principio. Predicando il non intervento, il Piemonte � intervenuto negli Stati Pontificii per ristabilirvi Por dine morale, per dare ai popoli la libert� di esprimere i loro voti!
Questo principio potrebbe formare argomento del Congresso di Varsavia, o di qualche altro Congresso. L‘ordine morale e la libert� dei popoli potrebbero apparire ad altri Principi in modo ben opposto a quello in cui li vide il governo piemontese, e allora che sarebbe di noi?
Grandi fatti si stanno maturando: aspettiamoli con pazienza e con rassegnazione, non istancandoci mai di pregare e di compiere il nostro dubbio, nei timori e nelle incertezze. Ringraziamo Iddio che ci ha fatto la grazia di stare uniti a quella pietra che non si smuove, e di entrare nelle file di quell’esercito che � sicuro della vittoria.
I SI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
(Pubblicato il 31 ottobre 1860).
�Le masse hanno risposto s� signore come rispondono sempre, diceva l’avvocato Deforesta il 9 di giugno del 1860 nel Senato del Regno, ed ora i si fioccano a Napoli ed in Sicilia, e sono s� liberi e spontanei come quelli che gi� si raccolsero prima in Toscana e nell’Emilia, e poi nella Contea di Nizza.
Nella provincia di Napoli, dice il telegrafo, erano iscritti 229,780 cittadini. Risposero s� 185,468; e no soli 1609. Si vede che molti non risposero n� no, n� si! Se Francesco II, quando era a Napoli, avesse interrogato i Napoletani, credete voi che non avrebbe raccolto altrettanti s�? Suo padre Ferdinando II ne raccolse un numero molto maggiore quando volle abolire lo Statuto.
Nella votazione delle Due Sicilie troviamo un progresso ed un regresso, paragonandola colle votazioni precedenti nella Toscana e nell’Emilia. Il progresso � che s’incontrano di tanto in tanto alcune centinaia di no. Le quattro Assemblee di Toscana, di Bologna, di Modena, di Parma aveano detto s� all’unanimit�. Questo era troppo, e il soperchio rompe il coperchio.
Il regresso poi � che dall’Italia centrale prima della votazione si ritirarono i nostri pubblici ufficiali e le nostre truppe; laddove nell’Italia meridionale mandaronsi le nostre truppe, e perfino il nostro ministro degli affari interni, perch� assistessero alle votazioni.
Anzi il conte di Cavour commise la grande imprudenza di scrivere al prodittatore Pallavicino che il risultato del plebiscito era in gran parte dovuto al suo patriottismo. Che cosa ba egli fatto il Prodittatore? Noi credevamo che si fosse contentato di dare semplicemente il suo s�, in virt� del decreto che avealo nominato cittadino di Napoli. Ma un solo s� non meritava i complementi del conte di Cavour. Il Pallavicino ha procacciato moltissimi altri s�, dacch� il risultato del plebiscito � dovuto in gran parte a lui (1).
(1) Ecco il dispaccio del Conte di Cavour:
Al marchese Pallavicino, prodittatore—Napoli.
Torino, 24, ore 4, 45 pom. — Chieti, ore 7, 20 pom.
L’Italia esulta pel splendido risultato del plebiscito che al suo senno, alla sua fermezza ed al suo patriottismo � in gran parte dovuto. Ella si � acquistato cosi nuovi e gloriosi titoli alla riconoscenza della nazione.
Conte Cavour.
Oh conte di Cavour, che imprudenza avete commesso! Napoleone III che la sa pi� lunga si � guardato ben bene dal ringraziare il sig. Pietri, e dal dirgli che il voto di Nizza era in gran parte dovuto al suo patriottismo. L’Europa ne avrebbe riso, come rider� certamente del vostro dispaccio.
Ma o ridere o piangere, l’Italia ornai � fatta; ci mancano ancora i s� delle Marche, che si attendono dal patriottismo di Lorenzo Valerio, e poi il bel paese dove il s� suona � risorto a forza di s�. Sono si preziosi, che si portano sul cappello, s� che vengono scritti sulle porte delle case, s� che sono deposti nelle urne, s� che trovansi dappertutto, meno forse nell’interno de’ cuori.
Oh fi fortunali, si benedetti, s� eloquentissimi I Uno scrittore francese poco ortodosso, il signor Mignet, ha visto la libert� del mondo nel famoso no, pronunziato dalla Dieta di Vormazia. La libert� d’Italia invece consiste nel si, che rester� famoso come quel no.
Dicevano cosa tanto difficile riunire la Penisola, e ricordavano come non ci fossero neppure riusciti gli antichi Romani colle loro legioni. Ma Garibaldi e Cavour hanno provalo all’Europa essere cosa facilissima. L’Italia si fa con una sillaba: si stampa un s�, si mostra, si consegna e l’Italia � fatta.
Tuttavia ci d� gran pensiero quell’aforisma che dice: eademres per quascum que causas nascilur per easdem et dissolvitur. Un s� ha fatto improvvisamente l’Italia, e un s� potrebbe improvvisamente disfarla. Il popolo � mobile assai, epperci� Vincenzo Gioberti chiamava il suffragio universale un assurdo ed una follia.
NOTA DEL CONTE DI CAVOUR AL MINISTRO DEL RE DI NAPOLI
(Pubblicato 18 novembre 1860).
Il sottoscritto ha ricevuto la N�ta 24 andante, con la quale l’illustrissimo signor cavaliere Canofari, inviato, ecc., ecc., ha informato che nei proclami sparsi dal generale Garibaldi in Sicilia esso assume il titolo di Dittatore in nome del Redi Sardegna, e richiama su tal fatto la disapprovazione e la contraddizione del governo di S. M. il Re di Sardegna.
Bench� non possa nemmeno cader dubbio su questo proposito, il sottoscritto, d’ordine di Sua Maest�, non esita dichiarare—che il governo del Re � totalmente estraneo a qualsiasi atto del generale Garibaldi, che il titolo da lui assunto � onninamente usurpato, �d il reale governo di Sua Maest� non pu� che formalmente disapprovarlo.
Rinnova, ecc. ecc.
Torino, 26 maggio 1860.
1.Cavour.
2.
Questa nota veniva rimessa il 26 di maggio. Alcuni giorni prima la nostra Gazzetta Ufficiale, riconoscendo ancora i principii dell’antico diritto delle genti, pubblicava la seguente dichiarazione:
�Alcuni giornali stranieri, a cui fanno eco quei fogli del paese che avversano il governo del Re e le istituzioni nazionali, hanno accusato il ministero di connivenza nell’impresa del generale Garibaldi. La dignit� del governo ci vieta di raccogliere ad una ad una queste accuse e di confutarle. Basteranno alcuni brevi schiarimenti.
�Il governo ha disapprovato la spedizione del generale Garibaldi, ed ha cercato di prevenirla con tutti quei mezzi,che la prudenza e le leggi gli consentivano. La spedizione ebbe luogo non ostante la vigilanza delle autorit� locali; essa fu agevolata dalle simpatie che la causa della Sicilia desta nelle popolazioni. Appena conosciutasi la partenza dei volontarii, la flotta reale ricevette ordine d’inseguire i due vapori e d’impedirne lo sbarco. Ma la marineria reale non lo pot� fare, nella guisa stessa che non lo pot� quella di Napoli, che pure da parecchi giorni stava in crociera nelle acque di Sicilia. Del resto l’Europa sa che il governo del Re, mentre non nasconde la sua sollecitudine per la patria comune, conosce e rispetta i principii del diritto delle genti, e sente il debito di farli rispettare nello Stato, della sicurezza de) quale ha la responsabilit� (Gazzetta Ufficiale del Regno, numero del 17 di maggio).
fonte
Tutta l’Italia insorta contro il ciclone Napoleone…un periodo epico che la sconvolse da nord a sud opponendosi contro un nemico comune benché ciascun popolo e ciascuna coscienza attingesse alle proprie forze per sentimenti di rivolta che venivano dal profondo della propria storia e del proprio sentire… Un vero patrimonio di testimonianze da ricordare e valorizzare! caterina ossi