MICHELE ARCANGELO PEZZA COLONNELLO DELL’ESERCITO NAPOLETANO E DUCA DI CASSANO ALIAS FRA DIAVOLO

Itri – 7 aprile 1771 – È in questo giorno che nacque a Itri in Terra di Lavoro, all’epoca la più grande Provincia del Regno di Napoli, Fra’ Diavolo, pseudonimo di Michele Arcangelo Pezza. Non è facile argomentare sull’uomo e sul personaggio, sulle cui grandi gesta sono state scritte e realizzate opere uniche. Per tanti era un brigante e per altri, non solo un Ufficiale dall’esercito borbonico ma un vero eroe che, con ogni mezzo e prendendo parte alle insorgenze dei movimenti legittimisti sanfedisti, combatté l’invasore francese – tra quei combattenti anche miei diretti Avi. Fra’ Diavolo, era il quintogenito degli otto figli di Francesco Pezza, appartenente ad una delle famiglie più in vista del paese, la famiglia Pezza e di Arcangela Matrullo.
Il suo doppio nome al fatto di essere stato battezzato nella Chiesa di San Michele Arcangelo nel centro storico alto di Itri, qui nei miei scatti unitamente ai luoghi della sua infanzia e adolescenza. I suoi fratelli erano: i gemelli Giuseppe Antonio e Vincenzo Luca, nati nel 1762, Maria Saveria Giuseppa, nata nel 1766, Francesca Erasma Marianna, nata nel 1768, Giovanni Nicola, nato nel 1774, Regina Maria Civita, nata nel 1778, Maria Anna Zaccaria, nata nel 1776, e Angelo Antonio, nato nel 1782. All’età di cinque anni, una grave malattia mise in serio rischio la sua vita e poiché le cure si erano rese inefficaci, la madre fece voto a san Francesco di Paola e lo promise frate se si fosse salvato. Il voto non era tanto gravoso: consisteva nel vestire il bambino con un saio da frate sia d’estate, sia d’inverno, sino a quando il vestito si fosse consumato per poi riportarlo al santo e sciogliere il voto. Per adempiere al voto materno, Michele trascorse tutta l’infanzia vestito con il saio, guadagnandosi il soprannome di «Fra’ Michele». Quando il voto venne sciolto, era già adolescente. Ricevette la prima istruzione in parrocchia ma non si rivelò adatto agli studi. Durante una lezione, il canonico Nicola De Fabritiis, suo insegnante, davanti alla sua poca voglia di studiare e alla sua pigrizia, lo apostrofò con la frase: “Tu non sei Fra’ Michele Arcangelo; tu, tu sei Fra’ Diavolo!”. Cresciuto, aiutava il padre nel lavoro nei campi ma questi, vedendolo interessato più ai cavalli che alle olive, lo mandò a lavorare presso la bottega dell’amico bastaio, Eleuterio Agresti, come su già detto, sellaio del paese. Nelle mie immagini ammiriamo Vico Squizzari, testimone vero degli eventi storici in narrazione. Un giorno, durante un’accesa discussione, Eleuterio mise le mani addosso al ragazzo il quale, per tutta risposta, uccise il mastro sellaio con un grosso ago usato per imbastire le selle. Poi sentendosi minacciato ne assassinò il fratello, Francesco Agresti, detto “Faccia d’Argento”, che gli aveva giurato vendetta. Dopo questi tristi eventi iniziò il periodo di vagabondaggio sui nostri Monti Aurunci, dove si mise al servizio del barone Felice di Roccaguglielma, nel feudo di Campello. Si trasferì a Sonnino, nello Stato Pontificio, appoggiandosi a una famiglia itrana qui trasferitasi e da latitante, entrò in contatto con numerosi briganti instaurando buoni rapporti. In breve tempo ottenne una considerazione degna di un capo che lo portò ad essere un vero capo-massa. Nel decennio storico francese, che va dalla Repubblica alla restaurazione borbonica, gente misera, tradita da’ soldati, abbandonata dal suo Re, si sollevò contro l’invasore a difesa per proprio Paese e con impreveduto ardimento, combatté e morì. Michele Pezza, lungi dall’essere un brigante, si comportò da condottiero magnifico di quella nostra gente, e fu il più bellicoso e il più leggendario di quegli insorti, e un’imprendibile primula rossa che fece impazzire di sdegno e di rabbia i suoi segugi. Era stato, si, un assassino ma avendo chiesto al suo Re di poter servire per tredici anni sotto le armi in cambio dell’espiazione del suo crimine, l’aveva ottenuto; cosicché, anche senza mai mostrarsi troppo allineato e coperto: sempre ligio al dovere, sì, ma mai come gli si comandava che dovesse esserlo, conquistò sui campi di battaglia i gradi di colonnello, e il titolo di Duca di Cassano, di cui non si servì mai, e una pensione, e oneri e glorie che certo si meritò’. Un breve passaggio su un evento storico del 15 maggio 1799:”Fra’ Diavolo passava in rassegna in Maranola ed in Itri le truppe a massa da lui organizzate. Vi era una 1^ Compagnia di Itri col Capitano Giovanni Merluzzi e co’ Tenenti R. Petrilli e Clemente Addessi di 157 uomini; una 2^ Compagnia di Itri comandata da Giovanni Tatta con 134 uomini; una 1^ Compagnia di Castelforte, comandata da Filippo Gionta con 105 uomini, ed un’altra Compagnia omonima comandata da Giuseppe Velluccio, con 93 uomini; una Compagnia delle Fratte, comandata da Angelo Castello di 49 uomini; una Compagnia di Fondi, comandata da Marino Face, con 101 uomini e fra essi il sacerdote Onorato Costanzo; una Compagnia di fucilieri di Montagna, comandata da Tommaso Addessi, formata da 31 uomini; una Compagnia di Traetto, comandata da Ferdinando Morena con 63 uomini; una di Maranola, comandata da Carmine D’Urso con 54 uomini; una di Castelnuovo, comandata da Ant. Petrucca con 43 uomini; una di Spigno, comandata da Giovanni Ant. Tedeschi con 25 uomini; una di Lenola, comandata da Giuseppe Quinto, con 21 uomini e una Compagnia di 22 artiglieri , comandata da Francesco Guacci. Un totale di 967 persone….. Dopo 15 giorni in questi Paesi, passava in rassegna altre Compagnie di uomini: Vallecorsa, comandata da Saverio Iannone; Terracina, comandata da Silvano Lanza; Roccagugliema, comandata da Tommaso Moretti; Pico, San Giovanni e Pastena, comandate da Vincenzo Conti; San Lorenzo, comandata da Filippo Panici; di Maenza, comandata da Ernesto Colafranceschi; S. Apollinare, Sant’Andrea, San Giorgio, Santa Maria, Pulcherini, Tufo, Pontenuovo e Sonnino, con un totale di 1707 uomini. Altre riviste a Castellone il 15 giugno 1799; sulla spiaggia di Gaeta il 30 giugno 1799 ed altre due il 15 ed il 29 luglio sempre sulla spiaggia di Gaeta….”. Fra’ Diavolo, durante la sua resistenza ai francesi, venne da questi catturato a Baronissi, sabato 1° novembre 1806, su indicazione di un farmacista del luogo, tale: Matteo Barone, figlio di Bernardino e Rosa Ricci e non da Vito Galdi del Comune di Coverchia, che lo aveva riconosciuto. I francesi erano guidati dal Colonnello Joseph Léopold Sigisbert Hugo – Giuseppe Leopoldo Sigismondo Hugo, nato a Nancy nel 1774 – padre del famoso scrittore Victor Hugo. Fra’ Diavolo venne impiccato in Piazza del Mercato a Napoli l’11 novembre del 1806. Dal Registro della Congregazione dei Bianchi:” L’esecuzione seguì verso l’una al Mercato e il paziente morì con segni di vero cristiano e con molta edificazione “. Sul patibolo Fra’ Diavolo con l’uniforme e gradi da brigadiere dell’Esercito Borbonico. Il cadavere fu lasciato bene in vista, per più di ventiquattro ore, a mo’ di monito nei confronti della popolazione. La notizia della sua morte venne appresa a Palermo dalla Corte, con dispiacere immenso. Per onorare la morte del fedelissimo suddito che, potendo scampare alla morte, la volle ricevere in gloria del proprio sovrano, venne ordinato che nella Chiesa di San Giovanni de’ Napolitani fossero resi solenni funerali ai quali intervennero il Capitano Generale e le truppe inglesi e napoletane. Quel giorno le campane di Palermo suonarono lungamente mentre un’urna simbolica, posta di fianco all’altare maggiore, era accompagnata dalla seguente iscrizione:
“Non omnis moriar;virtus post…Affinchè io non muoia del tutto;sopravvivi o valore dopo la morte;poiché la gloria impedisce che i forti soccombano: Dica colui che esalta l’onore, la fedeltà e l’arte militare, se a me fu dolce morire per patria”
Il Re Ferdinando dispose anche una pensione per la vedova di Fra’ Diavolo…”Il Re s’è degnato accordare alla vedova del Benemerito defunto colonnello D. Michele Pezza, durante lo stato vedovile, lo assegnamento mensile di ducati cento”. ” È la nostra Storia!”.
fonte
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