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Michele Pezza e Salvatore Giuliano, due patrioti spinti dal coraggio e dalla dignità (II)

Posted by on Apr 11, 2023

Michele Pezza e Salvatore Giuliano, due patrioti spinti dal coraggio e dalla dignità (II)

La guerriglia partigiana di Fra Diavolo, affiancata con quella di Salomone, di Sciabolone e di Mammone, arrivò a ottenere i migliori risultati grazie alla sua collaborazione con l’esercito sanfedista per la liberazione del popolo napolitano dall’occupazione francese, ottenendo dal governo di Ferdinando IV il mantenimento di ruolo del colonnello, rimanendo però non soddisfatto lo scioglimento delle masse irregolari per ordine del primo ministro Acton.

Ebbe due ruoli di difesa militare nella fortezza di Gaeta tra il 4 giugno 1799 e nel febbraio-luglio del 1806, dove in quest’ultimo anno subì una grossa perdita di armi e uomini, tra cui il generale tedesco Luigi d’Hassia Philippstadt che morì il 15 febbraio 1817 a causa delle ferite di una scheggia di bomba francese, e dovette resistere nella valle di Boiano, dove fu ridotto a pochi uomini ma, prima o poi, doveva sciogliere il suo gruppo di resistenza e verrà arrestato dai francesi della colonna infernale nella farmacia di Baronissi e, una volta portato a Salerno, giustiziato a Piazza Mercato l’11 novembre 1806, dove la sua testa viene messa nel palo come monito per il popolo napolitano. Le gesti militari di Fra Diavolo faranno parte del simbolo di resistenza napolitana e aveva trasmesso a egli non solo il dovere di salvare una patria in pericolo ma di avere pietà per le famiglie dei nemici; infatti nella testimonianza del comandante francese Jean François-Antoine-Marie Castillon con il suo Memoriale militare affermò che nel maggio del 1806, cioè prima della sua esecuzione, un gruppo delle signore francesi, ritornando da Roma a Napoli per rivedere i loro mariti, venivano fermate dai partigiani della Legione della Vendetta guidata dallo stesso Fra Diavolo e temendo di subire maltrattamenti fisici da quei “briganti”, così definiti dagli invasori francesi, ricevettero dei gioielli donati da Pezza e poi gli fece firmare il lasciapassare. Come si può notare, il partigiano Fra Diavolo non era un sanguinario bandito ma bensì un guerrigliero duro ma sensibile verso le famiglie dei nemici, i quali non riconobbero la sua gentilezza per il suo metodo di guerrigliero che gli fece costare la vita con una ingiusta condanna a morte. Molti patrioti napolitani, come l’eroe Fra Diavolo, subirono tante diffamazioni di “briganti” e ricevettero tante pene pesanti per essere zittiti da persone che furono i veri tiranni, a cominciare dai francesi del giacobinismo e di Napoleone ai pennaruli del terrorismo risorgimentale e dei Savoia, una dinastia anticristiana e francofona, e nei cui confronti ci sono state rivolte mosse realmente dai malcontenti popolari a differenza dei Borbone. Anche se la maggior parte di esse furono dirette dagli ascari dei partiti coloniali, mentre altre sono guidate dalle popolazioni che furono appoggiate dalle associazioni e dai movimenti politici vicini alla loro causa, come in Sicilia, dove il sentimento di indifferenza antiunitaria esisteva non solo contro i Savoia stranieri anche contro la nascente Repubblica filo-padana, in cui i siciliani furono sostenuti dai militanti del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (MIS) guidato da Andrea Finocchiaro Aprile e retto tra il 1943 e il 1950. Naturalmente ad appoggiare il popolo isolano non mancavano i briganti fuorilegge che dovettero ripararsi sulle montagne per non finire nelle mani dei carabinieri piemontesi. Tra i fuorilegge più famosi e popolari fu Salvatore Giuliano. Giuliano ebbe lo stesso strato sociale di Michele Pezza ma la sua famiglia era benestante, riuscendo ad avere la licenza elementare ma dovette aiutare il padre alla coltivazione del grano. Oggi la propaganda razzista unitaria costringe ai siciliani e a tutti gli stranieri che Giuliano fu un bandito mafioso e fascista, al soldo dei politici corrotti, dei boss mafiosi e degli americani, arrivando ad accusarlo di essere il responsabile della Strage di Portella della Ginestra. Tutto questo è inconciliabile nella vita del povero fuorilegge e lo si può dimostrare grazie alle testimonianze di suo nipote Giuseppe Sciortino Giuliano, autore dei tre libri (“Mio fratello Salvatore Giuliano”, “Vita d’Inferno. Cause ed effetti” e “Ai Siciliani non fatelo sapere…”) e finito ingiustamente in carcere per abusi sessuali ma viene scarcerato per insufficienza di prove. Giuseppe si impegna a mettere in atto la verità sulla vita di suo zio Salvatore Giuliano per stroncare la campagna diffamatoria degli ascari del razzismo unitario, tra cui quelli del ridicolo professionismo d’Antimafia, e far capire al suo popolo di appartenenza cosa aveva fatto suo zio per l’intera isola. Parte dai fatti del 2 settembre del 1943 quando Giuliano stava trasportando due sacchi di grano per affamare la sua famiglia. La Sicilia viveva nella totale miseria per l’incapacità di amministrazione degli alleati anglo-americani e dei mafiosi divenuti sindaci. Quando trasportava tranquillamente il grano viene fermato dai due carabinieri piemontesi e dalle due guardie campestri, sospettandolo di averlo preso dal mercato nero. I campestri e i carabinieri piemontesi sequestrarono il suo sacco di grano, ignorando la supplica del povero Giuliano che gli chiese di essere denunciato anziché arrestato. Mentre i carabinieri piemontesi controllarono altri contrabbandieri, Giuliano, lasciato da solo dai carabinieri piemontesi, pensava di poter tornare a casa ma ricevette le 6 pallottole sparate dall’appuntato Antonino Mancino e mentre lo volevano dargli un colpo di grazia, Giuliano tira fuori una pistola e fa fuori il Mancino e riesce a fuggire, divenendo il più ricercato della Sicilia. A Montelepre, il 24 dicembre, le forze coloniali con 800 uomini organizzeranno una spedizione punitiva nei suoi confronti, arrestando i parenti di Salvatore, i Lombardo (dalla parte materna) e i Giuliano (dalla parte paterna), ma assieme a loro verranno arrestate 125 persone, accusate di proteggere il “bandito” Giuliano. Salvatore, sdegnato del maltrattamento di suo padre (con la faccia sporca di sangue e spintonato con la forza dai carabinieri), uscì dallo scoperto e costrinse i carabinieri di liberare suo padre e la povera gente della sua città natale ma dovette ripararsi dai colpi dei colonizzatori, riuscendo a uccidere uno solo e ne ferisce due. Giuliano, purtroppo, non ebbe tempo di liberare i suoi parenti e decise di non lasciarli da soli, ma aiutò suo fratello e altre 6 persone a evadere dal carcere di Monreale, costituendo un gruppo di ribelli con l’unico scopo: supportare i bisognosi. Questo dovere rimase nel cuore e nell’ideale di Salvatore Giuliano, anche perché egli aveva già le prime idee politiche basate sulla salvezza dell’identità del popolo isolano. Infatti dall’aprile del 1943 Giuliano, secondo il nipote Giuseppe, si era iscritto nel movimento sicilianista “Sicilia e libertà” che, successivamente, si confluirà con il MIS di Finocchiaro Aprile. Forse proprio a questo ideale patriottico che spinse a Giuliano di non abbandonare la Sicilia e di supportarla, combattendo ogni forma di ingiustizia che stava rinascendo dopo la caduta del fascismo. Ricevendo molti appoggi sia dagli attivisti separatisti sia dagli emigranti suoi compaesani, Giuliano e la sua famiglia si impegnarono a offrire doni di solidarietà a tutte le famiglie povere sia della sua città sia di ogni provincia della Sicilia. La madre Maria distribuiva cibo e i vestiti ai bisognosi, mentre per la distribuzione dei soldi se ne occupava Salvatore, in cui egli in presenza da solo o in compagnia li metteva sulle porte delle famiglie bisognose. Naturalmente i soldi di Giuliano erano stati rubati ai ricchi latifondisti per darli ai poveri. Quindi Giuliano ha il merito di essere definito un vero Robin Hood siciliano e la sua complicità con la mafia isolana era assente, visto che fu appoggiato dalla maggioranza della popolazione siciliana e, soprattutto, dai suoi amici, in particolare di idee indipendentiste. Ben presto Giuliano contribuì alla rinascita dell’identità siciliana, appoggiando sentimenti indipendentisti di Finocchiaro Aprile e di Antonio Canepa e divenendo amico dell’avvocato Antonino Varvaro, esponente moderato del MIS. Egli aiutava i picciotti siciliani nella difesa dell’isola, prendendo parte nelle riunioni del movimento identitario e nelle rivolte popolari, tra cui il “nun si parti” del 1944. Però uno dei momenti fondamentali della vita del fuorilegge è il suo ingresso nell’EVIS fondato nel febbraio del 1945. Il 22 agosto 1945 Giuliano si incontrò con Guglielmo duca di Carcaci, presidente della Lega Giovanile Separatista, e Concetto Gallo, secondo comandante dell’EVIS e colonnello del GRIS (Gioventù rivoluzionaria per l’Indipendenza della Sicilia, un’organizzazione militare di sinistra) e avvocato onesto, per ottenere il grado militare di colonnello per permettere al popolo isolano di avere un proprio esercito nazionale che lo difenda. Gallo instaurerà con Giuliano un positivo rapporto di amicizia con l’impegno di spingere i giovani isolani di riprendersi la propria identità o con il pacifismo o con la lotta armata. Naturalmente non solo egli era l’unico siciliano di poter guidare l’EVIS, tant’è che pure le donne presero parte nella lotta per l’indipendenza isolana, in particolare sua sorella Marianna aveva il grado di tenente che comandava una squadra di 20 donne. Inoltre il cognato di Salvatore, Pasquale Sciortino Giuliano, era l’Ufficiale di Collegamento. Quindi alcuni parenti della famiglia Giuliano credettero all’ideale dell’indipendenza della Sicilia per libera convinzione che per costrizione. L’EVIS otteneva molte vittorie sugli assalti delle caserme dei carabinieri e sulle occupazioni delle città, subendo, purtroppo, le pesanti perdite dei suoi soldati caduti nei combattimenti e nelle trappole ordite dallo Stato coloniale e dalla sua alleata Mafia, come avvenne a Antonio Canepa, ucciso il 17 giugno 1945 dai colpi di mitra dei carabinieri e a Francesco Ilardi il 22 giugno nel Monte Sarno mentre cercava di salvare i contadini minacciati dal bandito Giovanni Consoli assoldato dai mafiosi. Inoltre nella primavera dello stesso anno, il medico indipendentista Salvatore Schifani veniva sequestrato dal bandito Nino Battiato, al servizio dei mafiosi e dei servizi segreti italo-padani per indebolire gli attacchi antiunitari dell’EVIS e screditarlo con frasi diffamatorie, paragonandolo alla mafia e al terrorismo. Terrorismo nell’EVIS? Allora sugli assalti delle sedi del MIS compiute dai mafiosi e dagli spietati sostenitori dell’unità filo-padana, come è stato affermato dall’ex-direttore dell’Ora Siciliana Marcello Cimino, non è un esempio di terrorismo di Stato? Come ho detto prima, sia l’EVIS sia le forze coloniali dello Stato filo-padano ebbero le perdite da una parte e all’altra e si capisce che la guerra d’indipendenza siciliana aveva dato un duro colpo al governo coloniale, il quale decise di concedere ai siciliani l’Autonomia speciale il 15 maggio 1946, prima dell’indizione del referendum istituzionale del 2 giugno. La Sicilia pagò la sua lotta indipendentista con il sangue di tutti patrioti che la volevano vedere libera da tutti i soprusi e conquistatrice dei suoi progressi. In particolare Salvatore Giuliano sarà ricordato come un vero patriota di un’isola che non intendeva essere una colonia di sfruttamento e la sua vita si era puntata sul sostegno dell’indipendentismo siciliano anziché sulla delinquenza comune…….continua

Antonino Russo

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