MICHELINA DI CESARE: GUERRIGLIERA E DONNA
Fu tanto impavida quanto bella, con il suo formidabile intuito riuscì più volte a prevenire attacchi ed imboscate dei piemontesi. Il 30 agosto 1868 la banda del Guerra fu massacrata e Michelina ne seguì la stessa sorte. Il suo corpo fu spogliato ed esposto nella piazza del paese suscitando ire, risentimenti e scandalo. Dopo la sconfitta della squadra di cui faceva parte, Michelina De Cesare fu catturata dai piemontesi e sottoposta a tortura. Morta a causa delle atroci sevizie subite, fu spogliata ed esposta nella piazza del paese come monito alle popolazioni “liberate”. Ma l’effetto sulla gente inorridita dall’efferata vendetta fu opposto a quanto sperato dalle truppe d’occupazione: infatti l’accaduto generò nuovi risentimenti che rivitalizzarono l’affievolita reazione armata antiunitaria
Michelina De Cesare nacque a Caspoli, frazione del co mune di Mignano, il 28 ottobre 1841. Maurizio Restivo, che la descrive “di indole ribelle”, le attribuisce un’adolescenza turbolenta vissuta con il fratello, commettendo piccoli furti ed abigeati in danno dei piccoli proprietari del circondario. Sempre secondo l’autore siciliano si sarebbe sposata giovanissima con Rocco Tanga, un contadino suo compaesano, morto nel 1862.Ormai vedova, ebbe modo di conoscere Francesco Guerra e ne diventò l’amante. Il Guerra (nato a Mignano il 12 ottobre 1836) era un ex sergente dell’esercito borbonico per il quale aveva partecipato alle battaglie del Volturno nel 1860: scioltosi l’esercito e – richiamato alle armi sotto l’esercito piemontese – aveva preferito darsi alla macchia, aggregandosi alle formazioni banditesche che agivano nei dintorni del suo paese; in particolare fece parte della banda di Domenicangelo Cecchino, alias Ravanello di Roccamandolfi; morto costui nel settembre del 1861, Francesco Guerra assunse il comando della banda, unendosi a varie altre tra le quali giova ricordare quelle di Michele Marino di Cervinara, di Alessandro Pace, di Domenico Fuoco e di Giacomo Ciccone.Innumerevoli furono gli attacchi, le grassazioni e gli scontri con la truppa che videro protagonista – fino alla sua uccisione, avvenuta nel 1868 – Guerra con i suoi alleati. Michelina, come sostiene il brigante Ercolino Rasti, nel 1863 “si diè al brigantaggio perché scoverta manutengola”. Da allora seguì il suo uomo, partecipando attivamente a tutte le azioni della banda. Tale circostanza è indirettamente provata dalle processure esistenti in vari archivi di Stato e relative a briganti catturati in quegli anni; è proprio attraverso alcune testimonianze in esse contenute che è possibile ricavare qualche notizia sulla figura di questa donna che è diventata l’icona del brigantaggio postunitario e della reazione femminile all’unità d’Italia. Dice, ad esempio, il brigante Domenico Compagnone, detenuto nel carcere di Gaeta: […] “E siam rimasti per un giorno nascosti in un campo di grano poco lontano dalla taverna Delle Torricelle, dal quale luogo Domenico Fuoco, Francesco Guerra, Michelina Guerra moglie di quest’ultimo, la quale sta colla banda vestita da uomo, e il fratello di questa per nome Domenico ci portarono nella taverna e colà mangiarono e bevettero”[…].L’episodio, conclusosi con l’uccisione di un caporale della guardia Nazionale, dà la possibilità di provare la partecipazione diretta di Michelina alle azioni della banda e ci offre due interessanti considerazioni: la prima – abbastanza scontata per le donne del brigantaggio – è che la brigantessa se ne andava in giro in abiti maschili; la seconda merita, invece, maggiore attenzione. Michelina viene indicata come la “moglie” del brigante Guerra. Ciò, se da un lato, conferma quanto scritto da alcuni autori circa un ipotetico matrimonio religioso celebrato nella chiesetta di Galluccio e non registrato, per altro verso fa riflettere sulla partigianeria degli storici filopiemontesi che non si sono fatti scrupolo di sottacere del tutto tale circostanza e hanno continuato a definire la brigantessa con il solito appellativo di “druda”.Interessante è anche il riferimento alla presenza del fratello di Michelina, di quel Domenico che tanta parte sembra aver poi avuto nella fine della banda e della sorella e che Compagnone descrive di “statura media, capelli neri, occhi simili, naso lungo, bocca snella”. Il brigante aggiunge anche che Domenico Di Cesare “fa parte della banda da 4 anni”: ciò può servire a spiegare circostanze e tempi dell’incontro tra Michelina e Francesco Guerra.Il brigante Angiolo Cerullo, dal canto suo, precisa che[4]: “[…] “la druda di Guerra si chiama Michelina De Cesari di Caspoli, ha un fratello brigante e una sorella brigantessa che stanno con Guerra, ha un’altra sorella maritata in Caspoli, la quale dimora in una masseria in faccia alla ferrovia in contrada Casa Selva e la stessa somministra viveri ai briganti”.
Si ha conferma della presenza del fratello di Michelina, ma viene introdotta la novità di una sorella “brigantessa” e di un’altra manutengola. Mentre di quest’ultima si trova traccia anche in altre processure, della prima non vi sono ulteriori notizie. L’indicazione appare non attendibile e dovuta probabilmente alle scarse conoscenze del brigante, che potrebbe aver fatto confusione con l’altra donna della banda, Nicolina Iaconelli, amante di Domenico Fuoco.Nell’interrogatorio di Domenico Compagnone viene anche precisato in modo inequivocabile il ruolo di Michelina nell’organizzazione militare della banda: […]”la banda è composta in tutto da 21 individui, comprese le 2 donne che stanno assieme a Fuoco e Guerra, delle quali quella di Guerra è anch’essa armata di fucili a due colpi e di pistola. Della banda [solo] i capi sono armati di fucili a due colpi e di pistole, ad eccezione dei due capi suddetti che tengono il revolvers ”[5].
Michelina Di Cesare non fu, dunque, una delle tante donne dei briganti, fu una brigantessa a tutti gli effetti, anzi uno dei capi della formazione, dal momento che girava armata come loro. La tattica spesso adottata dalla banda di Francesco Guerra fu quella della guerriglia.Il capobrigante – pare su suggerimento proprio di Michelina – ricorreva ad efficaci espedienti per annullare sul campo la soverchiante superiorità delle forze di polizia: leggendario è divenuto, per esempio, l’attacco al paese di Galluccio, nel corso del quale i briganti si travestirono da carabinieri che conducevano in arresto alcuni briganti: gli uomini della formazione di Guerra, una volta intercettati, si disperdevano singolarmente in varie direzioni, per poi riunirsi in un punto prestabilito: con tali sistemi ebbero a lungo facile gioco delle truppe che si spostavano più lentamente e in massa.
Si arrivò così all’agosto del 1868, allorché il generale Pallavicini riuscì a convincere la maggior parte dei proprietari di Mignano, Galluccio e Roccamonfina a collaborare servendosi anche di delatori prezzolati: pur di ottenerne l’aiuto, sembra che Pallavicini si spinse a minacciare lo stato d’assedio di quei paesi e la deportazione in massa degli abitanti.Il ricatto sortì gli effetti sperati: un massaro di Mignano informò la Guardia Nazionale del suo paese della presenza della banda Guerra nei pressi della sua masseria, ai piedi del monte Morrone di Mignano; militi della G.N. e truppe del 27° Rgt. Fanteria partirono immediatamente alla volta della masseria.Alcuni sostengono che a guidare le truppe sul posto fosse proprio il fratello di Michelina, corrotto con un’ingente somma di danaro. A riprova di tanto va notato che del Di Cesare esiste anche una foto all’albumina, sul cui retro è significativamente scritto “De Cesare spia”.La foto è conservata nella civica Raccolta d’Arte Applicata ed Incisione, presso il Castello Sforzesco in Milano.
Ecco come un rapporto del Comando Generale delle Truppe per la repressione del Brigantaggio nelle province di Terra di Lavoro, Aquila, Molise e Benevento descrive l’accaduto: “[…] Erano le 10 di sera, pioveva a dirotto ed un violentissimo temporale accompagnato da forte vento, da tuoni e da lampi, favoriva maggiormente l’operazione, permettendo ai soldati di potersi avvicinare inosservati al luogo sospetto; da qualche tempo si stavano perlustrando quei luoghi accidentati e malagevoli perché coperti da strade infossate, burroni ed altri incagli naturali, già si perdeva la speranza di rinvenire i briganti, quando alla guida venne in mente di avvicinarsi a talune querce che egli sapeva alquanto incavate, ed entro le quali poteva benissimo nascondersi una persona. Fu buona la sua ispirazione, perché fatti pochi passi, e splendendo in quel momento un vivo lampo, scorse appoggiati ad una di quelle querce due briganti, che protetti un po’ dalla cavità dell’albero ed anche da un ombrello alla paesana che uno di loro reggeva, cercavano ripararsi dalla pioggia. Appena scortili, la guida li additò al Capitano Cazzaniga, che presso di lui veniva con qualche soldato appena; il bravo Capitano non frappone indugio, non cerca di far fuoco, ma sbarazzato anche del fucile che teneva, con un salto fu addosso a quei due ed afferratone uno pel collo, lo stramazza al suolo e con lui viene ad una lotta corpo a corpo, finche venne dato ad un soldato di appuntare il suo fucile contro il brigante e di renderlo cadavere. Pare che uno dei proiettili (giacché il fucile era stato caricato a pallettoni), passando attraverso il petto del brigante andasse a colpire nel dito pollice della mano sinistra del Capitano, che avvinghiatolo con entrambe le braccia, gli impediva qualunque tentativo di fuga. Quel brigante fu subito riconosciuto pel capobanda Francesco Guerra, ed il compagno che con lui s’intratteneva, appena visto l’attacco, tentò di fuggire; una fucilata sparatagli dietro dal medico di Battaglione Pitzorno lo feriva, ma non al punto di farlo cadere, che continuando invece la sua fuga, s’imbatteva poi in altri soldati per opera dei quali venne freddato. Esaminatone il corpo, fu riconosciuto per donna e quindi per Michelina De Cesare druda del Guerra. Poco distante vari soldati con qualche Carabiniere s’incontravano con altri due briganti pure appoggiati ad un albero; attaccati risolutamente ne cadeva subito ucciso uno, che poi riconosciuto per Orsi Francesco di Letino; l’altro poté sfuggire, ma inseguito da vicino da un Carabiniere, s’ebbe una prima ferita, finche capitato negli agguati di altra pattuglia, cadde anch’egli colpito da due colpi di revolver sparatigli a brevissima distanza dal Sottotenente Ranieri. Anche questo brigante venne poi riconosciuto per Giacomo Ciccone, già capo di sanguinosissima banda ed ora unitosi al Guerra; fece uso delle sue armi quando si vide scoperto, e dotato di una forza erculea, oppose la più accanita resistenza tentando di aprirsi un varco frammezzo ai soldati. Altri tre briganti che stavano un po’ più lungi dai due gruppi menzionati, poterono al primo rumore salvarsi gettandosi nei burroni in quella località cosi frequenti. Due di costoro si sono già presentati, per cui si può con tutta certezza affermare che di tutta la banda Guerra, non n’e rimasto che uno solo[…]”.
Sostanzialmente uguale è la descrizione dell’accaduto che ne fa Gelli, il quale però si sofferma sul ruolo di Michelina Di Cesare nell’ultimo combattimento:“[…] la banda accerchiata da reparti del 27° Fanteria e da Carabinieri sul Monte Morrone, al comando di quell’anima dannata della Michelina tenne testa all’attacco e solo si disperse quando, colpito da una palla, penetratagli nel cervello dallo zigomo destro, il capobanda Guerra cadde riverso e, poco dopo, accanto al corpo suo e a quello del brigante Tulipano, a cui una fucilata aveva asportato metà della testa, cadde anche la Michelina. La rea donna aveva combattuto come una leonessa. Colpita al capo, la femmina morì digrignando i denti per la rabbia di essere stata vinta e non per l’orrore dei misfatti compiuti.Il giorno appresso i cadaveri dei briganti caduti e di Michelina vennero esposti nella piazza di Mignano, guardati da soldati armati. Si vuole che il generale Pallavicini, felice per il risultato ottenuto, alla loro vista avesse esclamato: “ecco i merli, li abbiamo presi”. Il corpo di Michelina fu denudato, in segno di estremo oltraggio, e fotografato.Nello scempio fissato dall’immagine impietosa non si intravede, però, la rabbia per la personale sconfitta descritta dal Gelli: vi è impresso, semmai, il marchio indelebile della sofferenza, del dolore e dei patimenti di un popolo; vi è registrato tutto ciò, sol che si voglia “leggere” la foto con animo pacato e mente sgombra da preconcetti.Forse anche per questo le immagini di Michelina, da viva prima e da morta poi, sono diventate l’emblema del brigantaggio meridionale: in esse si colgono fierezza e dolore, i sentimenti distintivi di un popolo oppresso, sentimenti che ritornano – anche oggi – nei versi e nelle canzoni di autori meridionali.
Ne è prova il testo di Raimondo Rotondi che si riporta di seguito e dal quale Carmine Palatucci ha tratto una canzone inserita nell’album “Tiemp ‘e briganti”. Ra chélla futegrafia me uardava éssa, Michelina De Cesare la bregantéssa, fémmena bèlla, ‘ntista y ‘nnammuratache le cioce aglie piére y bène armata. Quanne fu ‘ntanne ce ne stévene tantere viécchie nuostre chiamate breganteche bregante ce fuonne chiamatema, strigne strigne, èrene suldatea chélla guèrra re ne mare tiémpe fache cò vota se tèra ancora raccuntà. La fémmena nostra ch’èra Michelinase truvètte ‘mmiése a chéll’arruìnaaddó gli’ome sié, Guèrra chiamatela guèrra la féce y murètte suldate. A éssa, cumme vulètte brutta sorte, gli’attucchètte pure prejà la morte‘mmane a chélla male pègge gèntevenuta ra ciénte rove a fa neciénte. Sètt’anne re fuoche èrene passatesètt’anne re guèrra y scuppettate, muntagne, paura, fame y friddea ste munne che se facéva stritte. Scurtava la via y le larie scurtavaglie tiémpe a traviérse se regerava. Trènt’aûste millotteciéntesessantotte, na mala sèra ch’èra già quasce notte, cumme succère a ste munne triste Giuda n’ata vota se vennètte Criste. Caifa pazziètte na cica che Ponzie Pilatena povera fémmena murètte turturata. Quant’alla gènte, y loche ‘nse scappa,quann’è ‘ntanne, capa sèmpe Barabba. Glie juorne ruoppe, alla piazza ‘Mignane, quatte muorte ch’èrene state crestianegli’ammucchianne allescì, pe mostra, una èra Michelina De Cesare nostranuda ‘ntutte y accisa allescì malaménte sènz’abbrevogna re falla veré alla gènte. Ra ‘ntanne re tiémpe n’è passate ne mare, ma chélla fu la morte re na bèlla ciuciara. Chi ha inteso immortalare – con Michelina uccisa e oltraggiata – la sconfitta di una ribelle e del suo popolo l’ha consegnata, invece, alla leggenda.
Fonte: srs di di Valentino RomanoDa Le Brigantesse, donne guerrigliere contro la conquista del Sud; Controcorrente, Napoli, 2007
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