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“Monna Lisa”, ipotesi suggestiva ma non realistica quella dell’arch. Ciotti

Posted by on Lug 24, 2018

“Monna Lisa”, ipotesi suggestiva ma non realistica quella dell’arch. Ciotti

“La Gioconda”, l’opera d’arte più famosa del mondo, un’immagine idrolatata, imitata, persino dissacrata dalle avanguardie del primo Novecento, realizzata da Leonardo da Vinci ad istanza di Giuliano de’ Medici, è un quadro carismatico, che è diventato un mito : sulle magliette e sui dentifrici, sui portaocchiali e sulla carta igienica, sul borotalco e sulle saponette, sulle acque purganti e sui preservativi.

   La tela è stata trasformata in icona dell’arte occidentale, ossia universale, il cui invidiabile primato non è stato mai scalfito.

   Si è sviluppata, nel tempo, una vera e proria giocondolatrìa, una vera e propria venerazione, quasi religiosa, che è culminata nel mito della “femme fatale”, misteriosa e conturbante, di fine Ottocento, sfinge androgina senza cuore. Se ne innamorarono Charles Baudelaire, che vide la “Gioconda” ora come “angelo sorridente”, ora come “specchio misterioso” (“Les Phares”, 18579, il pittore francese Jean-Baptiste Camille Corot, che si ispirò, in “La fanciulla della perla” (1869), alla “Gioconda”, lo scrittore Théophile Gautier, che vi vide l’eterno femminino che innamora, e lo storico dell’arte inglese Walter Pater, che ne fece l’apoteosi, “una bellezza strappata fuori dall’interno sopra la carne”.

   Di “Monna Lisa” superstar, confermata dall’incessante pellegrinaggio quotidiano di migliaia e migliaia di persone in adorazione al Museo del “Louvre”, sappiamo che la pittura ad olio, pagata, soldi sull’unghia, da Francesco I di Valois, re di Francia, mecenate delle arti e delle lettere, fu portata da Leonardo da Vinci in Francia, magnificamente ospitato nella residenza di Cloux, presso Amboise, dove morì. Il pittore, architetto, scrittore e scienziato si incontrava spesso con il sovrano francese, al quale, in una di quelle occasioni, cadde l’occhio su “La Gioconda”. Il successore di Luigi XII chiese se il dipinto fosse in vendita. Leonardo  da Vinci annuì, per cui il re mise mano al portafoglio e la tela passò di mano, per 4.000 scudi d’oro.

   In principio questo capolavoro restò, per qualche tempo, ad Amboise, quindi traslocò nel castello di Fontainebleau, per passare, sempre molto ammirata, nella reggia di Versailles, dove rimase fino a quando Napoleone Bonaparte, dopo il colpo di Stato del Brumaio, invaghitosene, non la volle con sè, appendendola nella propria camera da letto, nel palazzo delle Tuileries, dove il Corso se la coccolava dal 1801 al 1804. Siccome il primo console, poi imperatore, era sempre in guewrra con le potenze continentali e mai a casa, la tavoletta di legno di pioppo, dalla lunga gestazione (3 anni di lavoro), fu portata nell’attuale museo del “Louvre”.

   Dato alcuni cenni storici sull’autore dell’opera, dobbiamo dire che Leonardo da Vinci reca nella tomba il segreto del sorriso della Gioconda, misteriosamente bello quanto inafferrabile, insondabile, e la malìa affiorante dal personaggio da lui dipinto. Lo sguardo inquietante, il sorriso accennato, trattenuto, la mano affusolata e tonda, come tondo è il viso, quasi pacioso, hanno suscitato un’ammirazione unanime. Soprattutto l’enigma del sorriso di questa giovane donna (24-26 anni), ma anche la serenità del volto, del modello-serenità, divenuta una virtù così ricercata nel mondo moderno, ha suscitato un fascino straordinario su milioni di persone, perché “Monna Lisa” incarna il luogo di fissazione ideale delle nostre rappresentazioni della donna, della bellezza, dell’arte, per secoli. Una ragione in più per non bruciare questa “reliquia”…

   Un critico del “Connoisseur” (maggio 1950), il Goldblatt, ha mostratoi l’impalcatura geometrica sottesa al sorriso ambiguo della Gioconda e degli altri volti leonardeschi : la linea della bocca riposa su un arco di circolo, la cui circonferenza tocca gli angoli esterni degli occhi, sicché lo sguardo dello spettatore è guidato dagli occhi alla bocca e, quindi, di nuovo agli occhi sagaci del personaggio, riportandone un’impressione enigmatica, che a taluni è parsa sinistra, quasi un ghigno.

   Secondo ricercatori australiani, il lato sinistro del viso riflette la parte emotiva dell’individuo ed è questa attitudine che si ritrova nella maggioranza dei ritratti, che si tratti di pittura o di fotografie.

   Da una ventina d’anni, parecchie ipotesi sono state avanzate per spiegare questa prevalenza del lato sinistro del volto in tutti i ritratti, ma nessuna si è mostrata convincente. Anche i ritratti realizzati dai pittori mancini cone Raffaello Sanzio o Holbein il Giovane comportano una predominanza di visi che mostrano la loro gota sinistra. Anche gli autoritratti dipinti, grazie ad uno specchio, confermano questa evidenza : il lato sinistro del volto è il lato più spesso ritratto.

   In mancanza di spiegazionem è apparso anche un nuovo mistero : il lato sinistro del viso è quello che le donne preferiscono mostrare al pittore o al fotografo, mentre gli uomini mostrano piuttosto la loro guancia destra. E’ così che, su 1474 ritratti dipinti dai più grandi artisti del Rinascimento, il 68% delle donne e solamente ol 56% degli uomini presentavano il lato sinistro a colui che realizzava il loro ritratto.

   Più di dieci anni fa, alcuni zoologi e alcuni psicologi dell’università di Melbourne, in Australia, proposero una nuova spiegazione. Invece di cercarla dalla parte dei pittori o dei fotografi, essi si rivolsero al modello stesso, mettendo a punto una curiosa esperienza. Chiesero a 166 giovani studenti in psicologia di posare per due volte dinanzi ad un fotografo, immaginando circostanze molto differenti.

   Primo scenario . “State per partire per un viaggio di più di un anno attraverso il vasto mondo e volete lasciare ai vostri due figlioletti, alla vostra famiglia e ai vostri congiunti una fotografia testimoniante loro tutto il vostro amore…”.

   Secondo scenaruio : “Siete uno scienziato i cui lavori sono unanimamente riconosciuti. State per fare il vostro ingresso all’Accademia reale di Londra e la vostra foto andrà a raggiungere la galleria di ritratti dei più grandi ricercatori del Paese…”.

   I risultati furono edificanti.

   Nel primo caso, un più grande numero di persone si è fatto fotografare con il lato sinistro girato verso l’apparecchio (34 contro 25 per le donne e 14 contro 8 per gli uomini). Nel secondo scenario, è il lato destro che è esibito, pressappoco nelle stesse proporzioni.

   Il lato sinistro mostra la parte emotiva dell’individuo, mentre il lato destro sarebbe una sorta di facciata ufficiale e rassicurante ? Ciascuno ha una conoscenza intuitiva di questa differenza di registro, come pretendono i ricercatori australiani ? Questi ultimi sottolineano nondimeno un fatto sconcertante : nella galleria di ritratti della Royal  Society, tutti gli scienziati mostrano il lato destro del loro volto. Anche  Albert Einstein, che ne fu uno dei membri più prestigiosi.

   L’ipotesi dell’arch. Eros Ciotti, che sostiene che Leonardo da Vinci ha rappresentato, alle spalle di “Monna Lisa”, le paludi pontine, è davvero suggestiva. Essa ribalterebbe quella più accreditata, che vuole che il luogo sia a Ponte a Buriano, in Val di Chiana, a pochi chilometri da Arezzo, come sostenuto da un paleontologo, che lo ha identificato nel 1993, dopo 4 anni di studio, anche con l’ausilio di un computer. Il paesaggio alle spalle di Lisa Gherardini, fiorentina, moglie del mercante di seta e uomo politico fiorentino, Francesco del Giocondo, anche se lo storico dell’arte Adolfo Venturi, nel 1925, sosteneva che la dama fosse Costanza d’Avalos, duchessa di Francavilla al Mare, in provincia di Chieti, corrisponde ad una zona nota   della Toscana, percorsa dall’Arno.

   “La Gioconda” fu dipinta tra il 1503 e il 1505. Solo lo sfondo, uno scenario di pura natura, nella libertà dei cieli aperti, di acque fluenti, in una sorta di sospensione del tempo e in un rapporto di equilibrio tra uomo e natura, venne realizzato tra il 1510 e il 1515. L’opera, però, a nostro parere, è un ritratto ideale, in cui la bellezza del soggetto e il suo inserirsi armoniosamente nel contesto naturale rimandano ai valori  più alti del Rinascimento.

   Il pontefice Leone X, della prestigiosa famiglia dei Mdeici, figlio di Lorenzo, detto “il Magnifico”, che aveva deciso di prosciugare le Paludi Pontine (50.000 ettari), affidò l’impresa, nel dicembre 1514, a Giuliano de’ Medici, che ne dette l’incarico nientemeno che a Leonardo da Vinci, di cui i Medici erano i protettori. Il piano leonardesco per il controllo e lo sfruttamento della sovrabbondanza di acque, ai fini di irrigazione e di navigazione, non piacque al Medici, che commissionò un nuovo progetto a Domenico de Juvenibus, i cui lavori furono affidati a Fra’ Giovanni da Como.

   Il Van yck, nei suoi diari, parla di gravi vizi della mappa del progetto di Leonardo da Vinci. Egli opina che  il grande ingegnere rinascimentale non abbia visto mai di persona quei lyoghi, perché non compaiono nel piano i laghi costieri  e perché la forma della pianura pontina è quadrata, invece che rettangolare.  Inoltre il toscano non aveva disegnato macchine meravigliose per sollevare l’acqua palustre e portarla  al mare.

   Possiamo dire che l’ipotesi dell’arch. Eros Ciotti è un’interpretazione propria e particolare e non una pagina di vera storia suffragata da documentazione certa della vicenda storica affrontata.

   Manca un po’ l’utilizzazione critica e filologicamente controllata di ogni documentazione storica, utilizzabile solo dopo il vaglio critico, dopo averne studiato testo e contesto.

   Nonostante tutto, possiamo tranquillamente affermare che i prodotti di tale attività servono alla storia e agli storici di professione. Ne diamo atto all’arch. Ciotti.

   In ultima analisi, dobbiamo dire, ad onor del vero, che nella parte destra del quadro non compaiono gli “Archi di San Lidano”, siti nella campagna setina, composti da conci di calcare lòocale, ad incastro, senza malta, senza alcun materiale legante, che presentano una saldezza e una compattezza dovute alla massima precisioine ed accortezza con cui vennero sistemati i suoi elementi, in un vero e proprio lavoro geometrico, in cui i singoli blocchi calcarei si sostengono a vicenda.

   Questi archi, che stavano probabilmente sopra alvei che scaricavano le acque nel mare, distanti da Sezze corca 6 km., sono di epoca romana, mentre l’acquedotto, perché si tratta di un acquedotto, ad arcate, è probabilmente cinquecentesco, di bassa costruzione, a prima vista, perché il paesaggio è sfumato, fortemente irreale, “più sognato che visto (risente forse degli studi che Leonardo andava allora compiendo sulla formazione preistorica della crosta terrestre e  dei mari)”.

Alfredo Saccoccio

 

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