NAPOLI E I LUOGHI CELEBRIDELLE SUE VICINANZE-ISTITUTI ECONOMICI
Zecca. Solenni si furono nelle dominazioni de’ Longobardi le zecche de’ principati di Benevento, di Salerno, di Capua e della contea di Teano; fuori di esse noverare si vogliono quelle della ducea di Amalfi, di Napoli, di Gaeta e del principato di Sorrento. Pervenute queste terre a devozione de’ Normanni, e’ pare che alle antiche zecche, che si tennero in atto, se ne fossero aggiuntecene nuove.
Lo svevo Federigo, annullando le avanzate franchigie delle città campane, tenne solo, oltre a quella di Amalfi, la propria zecca in Brindisi, ove furono battute diverse specie di denari per le picciole comprevendite, e la prima volta nell’anno 1231 i celebri augustali, monete bellissime per il giusto metallo che in sé accoglievano, e per la finitezza del rilievo, sì che gareggiar possono con le antiche imperiali. Re Manfredi da Brindisi la trasferì nell’antica Siponto, che da lui Manfredonia appellossi. Venuto a reggere il reame il Conte di Provenza, in Barletta ebbe la propria zecca, nella quale si vennero battendo i reali, simili affatto per valore agli augustali, la cui leggiadria ancora studiossi d’imitare, ed anche i nuovi tari. Nell’anno 1278 si vide fregiata di zecca la metropoli del reame, ch’ebbela in Castel Capuano, dove si batterono i carlini o carolensi di oro; e monete di oro e di argento ancora continuaronsi a battere sino all’anno 1305, allorquando re Carlo la traslatò a capo piazza nelle case del cardinale di s. Maria Lata, state innanzi del celebre Pietro delle Vigne, che prese in fitto per l’annua pigione di once sedici di oro. Regnando Roberto, fu comperato dalla città di Napoli il presente palagio delle monete, accomodandosi ad archivio ed al servigio della zecca. Nel 1681 il vicerè Ferdinando Zunica fece ristorarlo ed ampliarlo con aggiungervi molte stanze ed una cappella, richiedendolo il cattivo stato in cui si trovava per molti danni sofferti.
Di uno tra questi troviamo fugace memoria nel nostro coltissimo storico Camillo Porzio, il quale racconta fra gli avvenimenti che furon tenuti di sinistro augurio nella città dopo una esecuzione fatta in Castel nuovo l’essere crollata una parte di quella casa.
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La facciata principale è la sola che abbia più conservato dell’antico, essendo le altre state mutate in diverso modo ed in vari tempi per fabbriche soprappostevi. L’ampia entrata di mezzo conduce ad uno spazioso cortile, e ne’ due piani in cui è distribuito l’edificio sono allogate le varie officine. Questo è il palazzo delle monete, né fu solo nel regno, perciocché dominando i Durazzeschi e gli Aragonesi ebbero proprie zecche Aquila, Solmona, Chieti, Lecce e Cosenza; ma sembra che state fossero abolite del tutto da Ferrante il cattolico, perciocché da quell’epoca in poi non vediamo che solo monete uscite dalla città capitale.
Le nuove monete, allorquando vengono messe in corso, son verificate da una commessione, composta dal ministro delle finanze, dal presidente e dal procuratore generale della gran Corte de’ conti, dall’intendente e dal sindaco di Napoli, dal direttore generale, dal razionale dell’amministrazione delle monete, e dal segretario generale della medesima per la redazione de’ verbali. Oltre le officine de’ conii, ci ha pure nella Zecca quelle della raffineria chimica per le materie di oro, del gabinetto d’incisione, della garentia e de’ mangani ed argani. Ancora, per regolamento del commercio l’amministrazione determina, con tariffe analoghe, e dopo l’approvazione del ministro delle finanze, i valori delle nuove monete di oro e di argento estere. Infine la direzione di quest’amministrazione generale è affidata al reggente del banco delle due Sicilie con la qualità di direttore generale. Egli dirige, dispone ed ordina quanto fa mestieri all’esatto andamento del servizio dell’amministrazione generale e delle sue dipendenze, e conferisce e corrisponde direttamente col ministro delle finanze.
Banchi. I banchi sono una invenzione italiana di cui Venezia diede il primo esempio nel 1171. L’esaurimento dell’erario pubblico in quell’epoca, prodotto dalle guerre in oriente ed in occidente, suggerì al doge Michele II il pensiero di un prestito forzoso, da riscuotersi sopra i cittadini più opulenti.
I creditori uniti in società ricevevano dal governo l’interesse del capitale imprestato in ragione del quattro per cento, ripartibile fra loro in proporzione delle carate.
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Questa associazione formò in seguito il banco di Venezia, le cui operazioni principali stavano nel pagamento delle cambiali e decontratti mercantili. Vi è luogo da credere che pria del 1413 il banco emetteva biglietti per offici commerciali, ma tra’ limiti di banco di deposito.
Presso di noi i banchi non sono più antichi del XV secolo. Quelli che volevano aprir banco per sicurezza di coloro che vi depositavan danaro, doveano offrir malleveria di quarantamila ducati, la qual fu cresciuta a centomila a richiesta della città, quando nel 1553 intese a provvedere alla frequenza de’ fallimenti. Si esercitavano principalmente da’ Toscani e più da’ Genovesi. Nell’archivio della Camera della sommaria son gli avanzi de’ libri de’ banchieri, che consistono in giornate, cassa e libro maggiore; e cominciano dal 1511 e finiscono al 1604.
La fedeltà scrupolosa con la quale si amministravano i monti di pietà, ed i frequenti fallimenti de’ banchieri, fecero pensare di affidarsi nelle casse de’ primi i pubblici e privati depositi di danaro. Si trovò maggior sicurezza ne’ banchi di questi luoghi pii; onde i banchi de’ negozianti furono abbandonati.
Lo spedale degl’Incurabili teneva banco, che poi fu quello del Popolo, e si separò di amministrazione nel 1589. Nel 1575 furono eretti i banchi del monte della Pietà e della Nunziata, nel 1591 quello dello Spirito santo, nel 1596 quello di s. Eligio, nel 1597 quelli di s. Giacomo e della Vittoria, nel 1600 quello de’ poveri, nel 1640 i governatori dell’arrendamento delle farine eressero il banco del Salvatore. Infine i banchi de’ particolari cessarono nel 1804.
Nel 1816, dopo le vicende del decennio in che mancò fede e stabilità nel riordinamento de’ nostri antichi banchi, fu costituita la nuova amministrazione di un nuovo banco, secondo un disegno che d’ordine del Re venne già formato da una deputazione di creditori apodissari ed approvato fin dal 1805, ma che poi per i fatti della sopravvenuta guerra non si poté mettere ad atto.
Con lo stesso nome di banco delle due Sicilie furon pertanto stabiliti e riordinati due banchi separati e distinti: l’uno per il servizio della tesoreria generale, di tutte le amministrazioni finanziere, delle opere pubbliche e del corpo municipale,
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segnato con la giunta alle fedi ed alle polizze notate-fedi di cassa di corte; e l’altro per il servizio di tutte le particolari amministrazioni, notato con la giunta di cassa de’ privati. Questo nuovo riordinamento ebbe il più felice successo. Laonde, più particolarmente verso il 1824, si vide con soddisfazione intutto risorto il credito pubblico verso quest’antica ed utilissima istituzione. Si osservò nel tempo stesso che la frequenza del traffico era tale nel banco di corte, che per quanta fosse l’operosità ed il numero degli ufficiali addetti, dovea sempre sperimentarsi un ritardo ne’ servigi e nelle operazioni di esso. Per la qual cosa fu mestieri di una nuova cassa, la quale fosse come ausiliaria e soccorsale del banco di corte.
Per ciò che spetta alla polizia interna del banco, la direzione di ciascuna cassa e delle sue officine è affidata a probi e conosciuti personaggi nominati dal Re a proposta del ministro delle finanze, cioè ad un reggente, a due presidenti e sei governatori, quattro dei quali scelti dall’ordine de’ primari avvocati, e due altri dall’ordine de’ negozianti accreditati: essi vengon ripartiti, due nel banco di corte, due nella seconda cassa di corte, e due nel banco de’ privati. Una reggenza centrale vigila su tutte le casse, ed amministra le proprietà ed i fondi del banco. Per l’ordine della scrittura e per la speditezza degli affari, i nostri banchi erano per il passato molto ammirabili: conteneano non più che cinque officine, cioè la cassa delle monete, la ruota, la revisione, l’archivio, la segreteria e razionalìa. Queste istituzioni però si sono ristabilite, ed oltre al razionale vi è ora nel banco delle due Sicilie un agente contabile incaricato di tener ragione di tutti gl’introiti ed esiti di esso.
La cassa di corte è stabilita nell’edilìzio dell’abolito banco di s. Giacomo, ove sono pure le officine della real tesoreria. La cassa ausiliaria del banco di corte è aperta nell’ediflzio dell’antico banco dello Spirito santo.
L’una e l’altra cassa tengon due conti separati, l’uno di rame e l’altro di argento, con mettere espressamente nella epigrafe delle fedi e del bollo delle polizze le parole rame, argento; onde ciascuna fede o polizza è soddisfatta nella stessa qualità di moneta che rappresenta, senza che sia mai permesso pagare una carta indicante rame in argento, o al contrario.
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È in libertà di tutt’i privati di potersi servire della prima e seconda cassa di corte, depositandovi il loro danaro, e disponendone con girate o con notate fedi per farne pagamenti.
La cassa di corte è direttamente sotto gli ordini del ministro delle finanze per tutte le operazioni che nella medesima convenga fare per i servigi della tesoreria, e gli ordini manifestati con lettere ministeriali vengono immediatamente adempiuti. Al qual effetto la cassa di corte ha la sua dotazione distinta e separata; ed ha ipotecati per cautela de’ suoi creditori tutt’i beni dello stato, ed in modo speciale tutte le rendite del Tavoliere di Puglia, da cui resta perpetuamente guarentita la cassa che rappresenta il suo numerario.
Alla seconda cassa di corte, per ispeditezza maggiore delle diverse amministrazioni finanziere è specialmente assegnato il servizio del corpo municipale, dell’intendenza di Napoli, dell’amministrazione de’ lotti, dell’amministrazione delle poste, di quella del registro e bollo, e di altre amministrazioni di opere pubbliche e di pii stabilimenti che voglian valersene. A questa cassa di corte è aggiunta l’opera delle pegnorazioni per verghe d’oro e d’argento e monete forestiere.
La cassa de’ privati è stabilita nell’edifìzio dell’antico banco della Pietà. Questa cassa, quantunque fosse sempre sotto la vigilanza del ministro delle finanze, pure non può servire ad alcuna operazione della real tesoreria. Essa per sua propria istituzione è usata da ogni ordine privato della metropoli e del regno, e dalle particolari amministrazioni. Non può essere obbligata a ricevere come contante le carte emesse dalla Corte, se non ne sia debitrice per effetto della riscontrata, affinché i conti apodissari di quella non vadano mai confusi co’ conti delle sue officine. La cassa de” privati ha un solo conto in argento; non può ricevere depositi in rame, né dar fuori carta che rappresenti rame. La dotazione è formata dalla proprietà di tutt’i beni fondi, le rendite, i valori di obbliganze o cambiali, restituiti all’amministrazione della reggenza del banco dalla direzione della cassa di ammortizzazione. A questa cassa è unita l’opera de’ pegni su gli obbietti di oro, argento e su altri ancora; fuor di ciò è espressamente vietato usare il suo danaro.
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Cassa Di Sconto. La cassa di sconto fu aperta il dì 20 luglio 1818 e messa alla immediata direzione ed ispezione del reggente del banco, come opera aggiunta alla cassa di corte in s. Giacomo. Si stabilì allora che l’interesse dello sconto non fosse giammai maggiore del sei per cento, o sia dell’uno e mezzo per cento al mese calcolato per giorni; ma che si potesse diminuire dal reggente per centesimi, secondo le circostanze: nondimeno è uopo pigliarne prima autorità dal ministro delle finanze. Una tal diminuzione si fa nota alla borsa per inserirsi ne’ listini de’ cambi.
Per facilitare un tal negoziato e dargli tutta quella estensione che e necessaria per il commercio, la real tesoreria fornì anticipazione di un milione di ducati al banco, e propriamente alla cassa di corte, riscuotendo in luogo d’interesse, in ogni trimestre, una quota de’ lucri.
Le condizioni dello sconto son queste: le cambiali da scontare debbono essere traettizie con tre sottoscrizioni, pagabili con biglietti ad ordine con la stessa qualità di tre segnature: son parimente ammessi allo sconto i boni della cassa di servizio; e finalmente possono esser suscettibili di sconto le rendite sul gran libro, quando non rimangano a scorrere che soli tre mesi per la esazione del semestre.
Cassa Di Ammortizzazione. L’amministrazione generale della cassa di ammortizzazione e del demanio pubblico è incaricata, oltre de’ beni di antica dotazione, de’ seguenti altri rami, cioè, demanio pubblico; tavoliere di Puglia con le sue dipendenze; stralcio delle direzioni disciolte de’ beni donati e reintegrati allo stato; Stralcio de’ beni e rendite del monte borbonico; finalmente dell’amministrazione de’ beni fondi e rendite costituite che la tesoreria generale e le altre amministrazioni dello stato hanno, o che possono ricadervi diffinitivamente, sia per ragione di espropriazione o aggiudicazione forzosa, sia per ragione di cessione volontaria che per qualunque altro titolo.
La commessione dello stralcio, oltre le attribuzioni conferitele nella sua istituzione, continua l’esame di tutt’i crediti dell’amministrazione generale della cassa di ammortizzazione e del demanio pubblico riconosciuti dalla medesima di natura inesigibili; onde sostiene a tal uopo que’ giudizi che crede
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opportuni sull’avviso dell’agente del contenzioso della tesoreria generale. Rimette in seguito all’amministrazione anzidetta il notamento co’ documenti di que’ crediti che ha discussi ed ammessi come certi, del ricupero dei quali l’amministrazione generale è incaricata, come parte della sua consistenza, del pari che di tutti que’ titoli che, per effetto di giudizi dalla commessione dello stralcio sostenuti, sono stati benanche ricuperati.
L’amministrazione generale della cassa e del demanio pubblico ha in Napoli una direzione generale, composta di un direttore generale e due amministratori generali, quando possono esservi oggetti i quali, come nello stato presente, occupano altri impieghi; o pure ci ha un solo amministratore quando è nominato eslusivamente per l’amministrazione della cassa di ammortizzazione e del demanio pubblico. Oltre a questi, sonovi un segretario generale; un capo della contabilità; sette capi di ripartimento, de’ quali uno e addetto all’introito, ed un altro all’esito, col carico anche dell’appoderazione, durante il presente sistema della tesoreria generale di farsi taluni pagamenti per appoderatone; dodici uffiziali di carico; quindici uffiziali di prima classe; sedici di seconda; diciassette di terza; dodici soprannumeri; dodici alunni; ed un esattore di cambiali con l’obbligo di assistere al banco. Ultimamente, al 1852, venne istituito presso questa cassa, un terzo amministratore generale per il ramo de’ beni dell’ordine di Malta.
Borsa De’ Cambi. La borsa è la riunione de’ negozianti, banchieri e commercianti di ogni genere, degli agenti de’ cambi e de’ sensali di commercio. Essa si tiene in tutti i giorni che non sien festivi nella gran sala addettale nell’edificio de’ ministeri di stato. Ne’ giorni di lunedì, mercoledì, giovedì e sabato si determinano i cambi con le piazze esterne e del regno, del pari che il corso degli effetti pubblici; e nel martedì e nel venerdì la negoziazione de’ valori delle derrate. La determinazione de’ cambi e del corso degli effetti pubblici è attribuita a’ soli agenti de’ cambi. Ogni altra specie di transazioni commerciali può farsi ancora da’ sensali. I cambi si fissano dagli agenti in luogo affatto separato dalla vista del pubblico, e sotto la vigilanza de’ deputati sindaci negozianti, l’ufficio de’ quali è di vegliare
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agl’interessi del traffico nella fissazione de’ cambi, e di dirimere ogni discrepanza che nell’atto insorger potesse fra’ commercianti.
Tanto gli agenti de’ cambi, quanto i sensali di commercio vengono nominati dal Re su la proposta che dalla camera consultiva di commercio ne vien fatta alla real segreteria e ministero di stato delle finanze.
Camera Consultiva Di Commercio. Ad oggetto di provvedere con maggiori mezzi alla prosperità del commercio fu nel 1818 istituita un’autorità mediatrice tra il governo ed i commercianti. Questa autorità porta da un lato alla cognizione del governo i bisogni del commercio, e chiede gli opportuni provvedimenti affin di soddisfarli; e reca dall’altro a’ commercianti que’ lumi e quella istruzione che il governo, nell’altezza delle sue vedute e nelle sue relazioni politiche con gli altri stati,può utilmente somministrarcI fondi necessari al mantenimento di questa istituzione si attingono dalle operazioni de’ tribunali di commercio con un diritto graduale soprale somme definite nelle sentenze, escluse quelle il cui valore non eccede ducati ventinove.
Questa camera, nella dipendenza del ministero degli affari interni, è composta di nove negozianti, oltre all’intendente della provincia, che n’è presidente, e di un segretario perpetuo nominato dal Re, si regge nell’edilìzio di Montoliveto. I consiglieri sono eletti tra’ mercatanti napolitani e in traffico attivo; vacano tre anni al loro uffizio, e dopo questo tempo possono esser nominati di nuovo, secondo il sovrano piacimento.
Porto. La strada che dall’edificio de’ ministeri di stato, costeggiando una parte del fossato di castel-nuovo, conduce al porto, alla dogana ed alla deputazione di salute, dalla forma irregolare che aveva serbata fino al 1837 venne per comando del principe regnante ridotta negli ultimi anni alla eleganza della forma presente. Distrutto l’antico spalto del castello, e l’antica avanzata di esso, venne sostituito a questa il cancello di ferro e le due colonne doriche che ora servono di entratala strada venne tutta quanta novellamente lastricata, e verso il castello ornata di una zona di terrapieno, di un parapetto di ferro, e di alberi che la ombreggiassero da quel lato.
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Procedendo innanzi, nel punto del quadrivio dove la strada si volge alla dogana, al porto ed alla entrata del regio arsenale, rimanevano al pubblico passeggio di trentaquattro soli palmi,che ora sono giunti a centodieci, essendosi fatte cadere alcune antiche e disadorne casette che la ingombravano, e particolarmente verso la chiesa di s. Maria del rimedio. Quel tratto che conduce dirittamente alla lanterna, disuguale da prima per varietà di pendìo e di ampiezza, serba ora per ben due terzi la costante larghezza di cinquantadue palmi la quale aumenta gradatamente fin sotto la lanterna, e furono costruiti due marciapiedi larghi quattordici palmi che lo fiancheggiano, alcune scale che danno agio di scendere al mare sottoposto, piantate robuste colonne ad ormeggio delle navi, e candelabri di ferro fuso lungo i due Tati della strada. La lanterna edificata per volere di Federico I d’Aragona, e poi distrutta per incendio, venne rifabbricata per comando del duca d’Alba viceré ed era rimasta nell’antica forma di poca eleganza, e di pochissima utilità a’ naviganti fino al 1843. In questo anno venne ornata di scala marmorea nell’interno, rinnovata nell’esterno, e sostituito all’antico e squallido lume il quale appena si lasciava scorgere a cinque miglia di distanza, un nuovo faro che per la doppia rifrazione e riflessione di due anelli prismatici di vetro massiccio e di alcuni specchi, raccoglie i raggi dispersi, e coll’aggirarsi continuato di questi prismi, getta la sua luce periodicamente intermittente fino all’estremo del golfo, ed è uno degli otto fari che dovranno illuminare il golfo napoletano. E questa opera e questi lavori vennero felicemente espressi nella latina iscrizione sovrapposta alla entrata della lanterna, e dettata dal cav. Quaranta.
PHARUM AB ANTONIO ALVAREZ PROREGE EXCITATAM
CENTUM POST ANNIS INCENDIO ASSUMTAM
AC PARUM APTO MACHINAMENTO RESTITUTAM
FERDINANDUS II P. F. A.
ITA CUM OMNI CULTU IN MELIOREM FORMAM REDEGIT
UT INDE PER MILLIA PASSUUM VIGINTI
PORTUS INNOTESCERET
EAMDEMQUE NE CONTINUATA FLAMMA
SIDERI E LONGINQUO SIMILIS
FALLERET NAVIGANTES
LUMINE ALTERNIS NUNC CORUSCANTE NUNC REMISSO
AD NUPERUM FRESNELII INVENTUM
INSTRUXIT
MDCCCXXXXIII.
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Fra la strada detta del Piliero, il braccio da noi ora mentovato, ed un secondo braccio il quale partendo dalla lanterna sporge nel mare, correndo verso oriente si racchiude il porto di Napoli. Incominciato sotto Carlo II d’Angiò, continuato ed ampliato da re Alfonso d’Aragona, come altrove abbiamo accennato, guernito la prima volta di fortini dal mentovato viceré duca di Alba, fu compiuto da re Carlo III Borbone e difeso da’ venti meridionali per mezzo dell’ultimo braccio verso oriente edificato nel 1740, il quale rimasto ad uso di pubblica passeggiata fino al 1792, venne fortificato e chiuso al popolo in quell’anno. Sulla strada maggiore verso la lanterna fu edificata, circa il 1560, una magnifica fontana ornata di delfini e di quattro statue nelle quali erano figurati i quattro fiumi principali del mondo. Da queste figure ebbe origine un detto ancor oggi usato dal nostro popolo, il quale, vedendo quattro persone raccolte insieme in apparenza di balorda gravità,suole per ischerno chiamarle i quattro del molo. Non sarà inutile il ricordare che queste statue, lavoro mirabile dal nostro Giovanni Merliano, furono da uno de’ viceré tolte via, o diremo meglio involate, per adornarne i suoi giardini di Spagna. Il porto napolitano, capace a contenere intorno a duecento legni, non essendo sufficiente al cresciuto commercio della città, vennero per comando del re incominciati i lavori di un novello porto militare, il quale sarà destinato ad accogliere i soli legni da guerra, come abbiamo avuto occasione altrove di mentovare.
Dogana. La strada detta del Piliero la quale conduce all’edificio della gran dogana ebbe questo nome da una effigie di nostra Donna dipinta su di un pilastro, ed esposta un tempo all’adorazione de’ fedeli. Potrebbe dirsi a ragione una strada tutta novellamente costrutta dal re Ferdinando II, nulla essendovi rimasto dell’antico. Era informe e disagiata, larga trentatré palmi verso l’entrata dell’arsenale, giungeva a sessantaquattro nella parte di mezzo, e si ristringeva più innanzi a meno di trenta palmi. La divideva dal mare un rastrello di legname con altre casette parimente di legname destinate alle varie macchine ed agli uffici doganali; né migliore aspetto avevano le case dell’altro lato le quali sorgevano in varie forme, in varie direzioni, non tutte ad un livello. Venne abbattuto il cancello e costruito quello
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elegantissimo di ferro che ora si vede dall’un capo all’altro,la strada ampliata a sessanta palmi, aggiuntovi un marciapiede di quindici palmi, una ben intesa fontana, e due piccole case di forma esagona agli estremi, per uffici doganali. Vennero infine abbattute alcune fabbriche sporgenti verso l’entrata dell’arsenale, e tutte le altre case della strada restituite a forma migliore. Prima di sorgere il nuovo edificio della gran Dogana era questa collocata nell’altro antichissimo che può vedersi alle spalle della strada del Piliero, ora destinato ad uso di magazzini di deposito per le mercanzie straniere. La sua forma è rettangolare, e la lunghezza de’ suoi lati maggiori è di trecento palmi, quella de’ lati minori di centosettantasei; è adornato di un grandioso vestibolo e di un ampio cortile, contiene centosessanta magazzini, e, compresovi il braccio di fabbriche che dal manco lato del cortile si distende fino al supportico della neve, occupa una superficie di tredicimila e dugento palmi quadrati. In tempi da noi remotissimi, giungeva il mare infino ad esso e fu destinato ad arsenale di marina. Sotto il regno di Filippo II dal viceré Marchese di Mondeiar, essendosi ritratto il mare nei confini presenti, venne rifatto ad uso di Dogana. Finalmente ridotto in pessimo termine nel tempo de’ tumulti di Masaniello, fu riedificato splendidamente dopo sei anni sotto il regno di Filippo IV e adornata la piazza di una fontana di marmo ricca di statue la quale andò distrutta nelle guerre seguenti: le notizie di questo edificio e dei suoi mutamenti vennero affidate alla iscrizione che puoi leggere ancora sull’ingresso principale. La nuova gran-dogana sorge a mano sinistra della strada del Piliero sul bacino detto molo piccolo o anche del viandracchio, sia da una parola fenicia che significa porto, sia (come è più probabile) dal radunarsi che facevano anticamente in questa contrada le vaccine che dalle vicine città della costiera venivano in Napoli a cagione di mercato. Il bacino mentovato comunica col mare e col porto per mezzo di due ponti uno in ferro, un altro in pietra, su’ quali corre la strada ampia e maestosa. L’edificio della gran-dogana è di forma rettangolare, se non che, dalla facciata principale verso oriente sporge un peristilio dorico di opera avanzata formato da tre archi di fronte e due laterali ed ornato di colonne le quali sostengono un frontone triangolare.
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I lati maggiori del rettangolo sono di palmi duecentocinquantadue, i minori di duecentouno, occupando uno spazio di cinquantaduemila e settantadue palmi quadrati. Nel pianterreno di questo edificio ha luogo il servizio della gran-dogana e sono allogate in esso le numerose officine che prendono vario nome dalle operazioni a cui vengono destinate, per le dichiarazioni, per le estraregnazioni, per il cabotaggio, per la visita, per la revisione de’ libri esteri. Hanno facili comunicazioni fra loro e con l’esterno per ampi cortili e per ampie porte. Ne’ piani superiori risiede la direzione generale con tutte le sue dipendenze; il segretariato generale, i vari ripartimenti delle dogane, e de’ dazi di consumo, delle privative,della statistica commerciale, e i due giudicati del contenzioso che riguardano i giudizi per il ramo di dogane e per quello di privative. L’edificio è ben disposto in tutte le sue parti, ed ornato con eleganza. Per rannodare infine tutto quanto il servizio doganale nel mentovato bacino vennero ricostruite le banchine all’intorno di esso, aggiuntovi un piccolo edifizio per le officine de’ dazi di consumo e quattro altre minori fabbriche destinate ad accogliere varie macchine da peso, oltre la magnifica macchina di controllo che puoi vedere nell’atrio formata in ferro fuso,, ed un quinto con orologio sovrapposto ad uso pubblico. L’edificio della Dogana venne affidato a Stefano Gasse, ma, non avendo potuto per morte condurlo a termine, fu compiuto dal commendatore Clemente Fonseca maggiore del genio, il quale diresse altresì i lavori di tutta la strada.