Napoli è orgogliosa di conservare i resti mortali del cantore dell’” Eneide” di Alfredo Saccoccio
A Napoli non mi sono limitato a visitarne le spiagge,ma ho voluto vederne i monumenti per sudiarne l’arte e l’autenticità storica di essi stessi. Dobbiamo dire che abbiamo provato una gioia tutta particolare nel guardare il bel golfo di Napoli e la nostra fantasia ci faceva udire, nel mormorìo delle onde, la voce misteriosa delle Sirene… Però non è facile che ci lasciamo prendere dalla immaginazion e dalla fantasia.
E così ci siamo spinti fino all’ingresso della grotta puteolana per vedere il mausoleo di Virgilio e leggerne l’epitaffio:”Mantua me genuit Calabri rapuere tenet nunc Partenope, Cecini pasca rura duces”. Come prima cosa ci fermammo a riflettere.
Sulla a storia. Ricordavamo che la salma di Virgilio fu trasportata a Napoli, con solenne pompa, e fu tumulata nella tomba su cui fu incisa l’iscrizione dettata dal poeta stesso. Cercammo di sviluppare meglio la storia e ci ricordammo che Virgilio avendo intrapreso a dare l’ultima mano all’”Eneide”, deliberò di recarsi in Oriente: scopo essenziale del suo viaggio era di vedere, di persona, i “campi di Troia” da lui decantati. Cercammo di ricordare meglio quello che sapevamo: Virgilio, partito da Roma alla volta di Atene, a Brindisi si era incontrato con Augusto che ritornava dall’Oriente. Questi volle che il poeta si unisse a lui e, quindi, tornasse a Roma. Però proprio a Brindisi Virgilio fu assalito da forti febbre e si aggravò. Vista vicina la morte, il letterato chiese insistentemente il manoscritto dell’”Eneide” desiderando darlo alle fiamme, ma nessuno volle consegnarglielo. Arrivato a questo punto, domandavamo a noi stessi:”Ma chi è che non ha voluto consegnare il manoscritto dell’”Eneide” a Virgilio? A chi lo aveva egli espressamente affidato ? Ci ricordavamo di Vario. Sì, Vario scrisse, in tutti i suoi particolari, la vita di Virgilio e a questa biografia attinse Svetonio per tessere la storia del poeta, nell’opera perduta,, “De viris illustri bus”. Alla stessa opera di Vario fecero capo Probo, Plinio, Donato, Servio, Macrobio, San Girolamo, Filargiri. Tutti questi scrittori classici, in maniera concorde, attestano quello che noi ricordavamo circa il viaggio di Virgilio in Oriente e le sue intenzioni di visitare Troia, per meglio finire la sua opera dal titolo “Eneide”. Non avevamo, però, ancora risposto alla nostra domanda, quando ci venne alla mente che Virgilio, alcuni giorni prima della sua morte, affidò tutti i suoi scritti a Vario e a Tucca, con la tassativa disposizione di non pubblicare se non ciò che da lui stesso fosse stato edito.
Dunque veniva esclusa in tal modo la pubblicazione dell’”Eneide”. Questa viene reputata come una disposizione testamentaria del poeta. Altra disposizione testamentaria di Virgilio è il suo desiderio di essere sepolto a Napoli e che sulla sua tomba fosse inciso un epitaffio che egli stesso dettò. Ricordavamo ancora: “Augusto dopo la morte del poeta, ordinò che non fosse bruciata l”Eneide” e che Vario la pubblicasse, a condizione di nulla mutare,
Pensavamo:”E’ storia o è tradizione ?”. Anche ammesso che sia Tradizione, questa da noi ricordata , fu accolta senza obiezioni dagli umanisti Valla, l’Ascensio ed il Poliziano fecero solamente alcune osservazioni sul testo. Volemmo approfondire l’argomento. Leggemmo diversi studi su Virgilio. Si schierarono, così, due eserciti,” l’un conto l’altro armati”:quello che ammetteva l’autenticità dell’iscrizione e quello che negava l’autencità.La Peignot, Genhe, Plessis, Ribbeck, Lamarre; la seconda schiera è formata da Teuffel, Giussani, Sabbatini, Amatucci, Iahn Heiné, Wagner, Lemaire. Gli argomenti a favore dell’autenticità sono due :1) la costanza della tradizione; 2) l’antichità della tradizione stessa. A questi due argomenti potrremmo aggiungere: “la seplicità dell’iscrizione” stessa, che è conforme al catattere e alla modestia di Virgilio. Gli argomenti contro l’autenticità si riducono a tre: iscrizione attribuita a Virgilio sulla base dell’opera di Svetonio; 2) il distico risulta arido; 3) l’epitaffio risulta in contraddizione col disposto del poeta che, vicino a morire, voleva bruciare l’”Eneide”. Un dotto filologo da noi interrogato al riguardo, ci faceva notare: “Gli antichi pensavano e si preparavano alla morte e a conservare il loro ricordo nel corso dei secoli, più di quanto non pensiamo noi. Così Augusto stesso, secondo Svetonio, per tramandare l’opera sua, compose l’epigrafe che fu incisa su due colonne di bronzo dinanzi al suo mausoleo. Oetronio narra che Trimalcione, mentre si costruiva il sepolcro, compose l’iscrizione che recitava ai suoi commensali. E numerosi altri episodi simili potrebbero elencarsi. Però le delucidazioni dell’illustre filologo non ci sembravano del tutto soddisfacenti, E gli facemmo osservare la nostre perplessità oroveniente dal fatto che Virgilio, prima di partire per l’Oriente, aveva stabilito con Vario di bruciare il poema, qualora non fosse tornaton e, vicino al morire, voleva dare alle fiamme l’”Eneide”.
Dicevamo con insistenza al nostro anico e lo dicevamo più insistentemente a noi stesso:” Come è mai possibile che Virgilio ricordasse la sua”Eneide” nel distico per la tomba, composto negli stessi gravi momenti ?. La cosa rimase insoluta oer parecchio tempo. Un giormo ci incontrammo col succitato nostro amico nella Bibloteca Vaticana, Con noi, egli era là, a conclusione di un lungo giro nelle varie biblioteche italiane, proprio per risolvere la questione dell’autenticità della”scritta”di Virgilio. Ci incontrammo, tutti e due, al banco dove si richiedono i manoscritti speciali. E tutti e due avevamo scritto sul foglio di richiesta: “Codice Vaticano Latino N. 2930”. Il prmo a richiederlo ero staio io e a me solo poteva essere consegnato. Quando il nostro amico ci fece leggere il suo foglio di richiesta, gli dissi che lo avremmo potuto consultare insieme. Ne fu felice. Trovammo, così, che al foglio 68,r. e ss., è contenuta la vita di Virgilio scritta da Probo, e in essaè riferito l’epitaffio nella seguente lezione:”Mantua me genuit Calabri rapuere tenet nunc Parthen,ope, Cecini pascua poma phruges”. Il problema era risolto! Quella scritta da Pr anche nelle eizioni a stampa ed èobo è la più antica biografia di Virgilio;è breve e sincera, è spoglia di ogni elemento favoloso. Secondo la lezione di Probo, dall’epitaffio viene esclusa l’”Eneide”, conformemente alla disposizione testamentaria del poeta, mentre tutta l’oera di Virgilio viene indicata nelle “Bucoliche” e nelle “Georgiche”; “pascua”, la pastura;” poma”, i frutti degli alberi atti a mangiarsi ;“fruges” i prodotti della terra, che servono al vitto e principalmente le biade ed i legumi che differiscono dal “fructus” In quanto al testo vaticano, osservavamo che “prhuges” si trova per “fruges” il “ph” per “f” è cosa particolare dell’umanesimo anche nelle edizioni a stampa ed è durato fino agli anni vicini aa noi. Con ogni probabilità quella del testo vaticano fu la lezione genuina del poeta, la quale dovette essere alterata nell’altra conosciuta, dopo che, per odine di Augusto, il nostro sullodato amico è di opinione che lo stesso Vario abbia mutato il “poma” in “rura” e il “fruges” in “duces” e questo per ordine di Augusto che volle conservare e pubblicare il poerma, glorificatore della storia nazionale.
Allora: in un primo tempo sulla tomba di Virgilio furono incisi i versi, secondo il testo del codice vaticano, che sono i versi genuini. E questo lo rcaviamo dalla “Cronaca di Partenope”, la quale dice:”Lo quale marmore fu sano al tempo delli anni MCCCXXVI”, come fanno fede Pietri Destefano e Scipione Mazzella, nrella prima metà del secolo XVI . Mi restava solo da levarmi un altro piccolo dubbio; e stavo per dire al mio amico:”L’unicità della dfonte non significa niente, perché negli scritti anteriori o contemporanei a Svetonio non si parla della morte di Virgilio; Eppoi Svetonio medesimo è fonte apprezzabile, perché fa derivare la vita di Virgilio dallo scritto di Vario; di più , fu segretario di Adriano e potette bene consultare, egli archiNvi imperiali, gli “Acta Augusti”, Ora siamo più sereni e tutte le volte che vado a Napoli rileggiamo con piacere la scritta di Virgilio, cambiando con la memoria la lezione attuale con la lezione antica.
Alfredo Saccoccio
Un’apparizione tra nuvole fu Roma per lo scrittore inglese
Il nostro amore e la nostra ammirazione per Charles Dickens sono pienamente
giustificati, com’è altresì giustificata la riconoscenza allo scrittore sommo e geniale, descrittore colorito, efficace e penetranti, allo psicologo che scava nel fondo dell’anima e porta alla luce esemplari di perfidia umana e di luminosa bellezza. I suoi romanzi diradarono infattil e tenebre nella piena età vittoriana e denunciarono lo stato di abbandono, di miseria e di avvilimento nel quale marciva la classe dei diseredati,dei vinti della vita. I fanciulli, in modo particolare,costituirono la sua costante preoccupazione. La loro aperta difesa,le prospettive di una sana e generosa tutela, La lotta che il Dickens ingaggiò per imporli alla comprensione dei grandi,contribuirono in maniera notevole al progresso sociale in Inghilterra. Codesto Dickens, precursore di un’esistenza veramente umana, è, ancora oggi, attentamente letto e ammirato, mentre poco o nient’affatto conosciuto è il Dickens ospite di Roma e tanto di meno il “diarista” romano, che ci ha lasciato pagine di impressioni e ricordi, insuperabili per bellezza e per il perfetto realismo. Egli si ambientò subito nella Città Eterna, dove giunse, per la prima volta, nell’inverno del 1845, al ritorno dal suo viaggio nel Nord America. Il “romanista” è quasi ignorato e la cosa è facilmente comprensibile, perché i grandi scrittori, poeti e artisti stranieri che soggiornarono in Roma e la descrissero sono, com’è noto, una legione e non riesce sempre facile, agevole, procurarsi i loro diari di prima mano. Tra i più attenti biografi del Dickens, un posto di primo piano occupano in Italia Silvio Negro, Spaventa Filippi, Gabriele Baldini e Ada Salvatore:il primo dei quattro nella sua bellissima “Seconda Roma” ci dà la più esatta descrizione della vita romana di quel tempo, con un copioso materiale inedto; diari e aneddoti dei più celebri stranieri stranieru ospiri dell’Urbe. Gli altri, saggisti e traduttori del Dickens, esaminano la prosa di questo romanziere, facendone risaltare anche la vita nobilissima e gli scopi altamente umanitari.
Al viaggiatore Dickens il primo saluto glielo diede la campagna romana, in pieno inverno. Egli la vide quando, cioè, la vegetazione non le aggiungeva niente e il senso della desolazione si sposava naturalmente a quello dell’abbandono. “Si sente che una grande popolazione ha vissuto là che essa ha scassato e lavorato il terreno, che lo ha popolato con le sue costruzioni e le sue culture, che oggi non ne rimane più nulla…”.
Una mattina, osservando lungo la scalinata di Trinità dei Monti coloro che si indugiavano per le scale, soggiogati dalla solitudine e baciati dal sole, il Dickens si convinse che tutti gli individui sono fratelli e che la gioia, come la fame e il dolore, hanno lo stesso preciso ed eloquente linguaggio: “Era come se li avessi conosciuti per anni e anni, sotto ogni varietà di vesti e in ogni possibile atteggiamento e come essi mi sorgessero improvvisamente dinanzi”.Come tante apparizioni divenute realtà…