Napoli nei suoi palazzi: dieci secoli di splendore di Alfredo Saccoccio
L’Italia unifica è divenuta una nazione. Cavour, tuttavia, se ne lamenta ancora :”L’Italia del Nord è fatta. Non ci sono più né Lombardi, né Piemontesi, né Toscani, né Romagnoli. Siamo tutti italiani. Ma ci sono ancora i Napoletani…”
Non ci sono che i politici che usano dieses per parlare della città : Stendhal, Nerval, Flaubert, per descriverla,inventano un linguaggio: “Il sole brillava sui muri grigi…” A Napoli, i colori non hanno gli stessi sapori di un tempo.
E tuttavia, tutti i luoghi comuni che i turisti riportano sono veri :la circolazione automobilistica che non obbedisce più al fuoco rosso che in senso unico, l’inverosimile concerto di clacson, gli imbottigliamenti, la biancheria appesa nelle stradine,i ragazzini cresciuti troppo velocemente, che vendono Marlboro di contrabbando. Napoli trasporta immagini di sporcizia, d’epidemia, di topo, di sottoproletariato sorto dagli scantinati, sotto il calore soffocante e la bruma del golfo. E’ Marsiglia in peggio, gestita dalle bande della camorra. Nelle sue stradine strette, esitante tra il folkore che esse esibiscono volentieri e la miseria che rammentano bene quanto malel, Napoli angoscia sempre un poco lo stranero.
Niente vi è del tutto come altrove…ma esis te un’altra città, che, da quasi tremila anni, coabita con due vulcani più o memo assopiti, il Vesuvio e la Solfatara ? con, alla sua porta, altre città inghiottite sotto la lava e la cenere ? Con, sullo sfondo, la grotta della Sibilla, le rocce delle sirene, l’antro di Polifemo, i campi ardenti di Pozzuoli, la tomba di Virgilio e quel misterioso lago d’Averno che segnalava agli antichi l’ingresso degli Inferi e del regno dei morti ?
Esiste un’altra città che, divenuta cristiana dopo essere stata greca,poi romana, non ha niente rinnegato delle sue pratiche pagane ?Chi non conta più i suoi invasori, rappresentanti delle più grandi dinastie europee (re angioini, aragonesi, Borboni, fino ai napoleonidi, prima di finire nel letto dei Savoia, di cui una regina golosa, Margherita, diede il suo nome alla tradizionale pizza locale ? Tutte queste civilizzazioni, che hanno fatto la civiltà napoletana, non si sono sostituite le une alle altre, sono sovrapposte : nelle pietre delle sue case, base greca, parte di muro angioino, balconi spagnoli, scale barocche, Napoli non cambia. Nella più perfetta armonia.
Esiste un’altra città, in capo a un mondo che il Nord considera selvaggio, che fu così grande, prima di divenire provinciale ? Nel diciottesimo secolo, Napoli era, dopo Parigi, la seconda città d’Europa e la capitale del regno della musica, dove fu inaugurato, nel 1734, quarantuno anni prima della Scala di Milano cinquantuno anni prima della Fenice di Venezia,il primissimo teatro lirico, quel San Carlo che incantava Stendhal. Di questa epoca datano i sontuosi palazzi barocchi. Certi sono abbandonati.Alltri sempre nelle famiglie che li hanno fatti costruire. Essi parlano di un’età d’oro.
Nell’incredibile intrico di stradine della vecchia città, l’aristocrazia si è fatto costruire, nei secoliXVII e XVIII, vaste dimore. Talvolta riabilitate, come il palazzo Serra di Cassano, dalla bella facciata bianco cremoso e grigio intenso.Talvolta abusive,biancheria alle finestre, un cartello sul volo della magnifica scalinata del palazzo Trabucco :” Divieto di entrare. La casa crolla”. Un bighellone si stupisce vedendo qualcuno penetrare : “Ma lui allora, perché entra?””Lui è differente, egli abita qui”,
Una sorta di dottor Faust napoletano che spaventa il popolo
E poi, grandioso come un palazzo, si scopre la cappella che il principe, Don Raimondo de Sangro fece costruire per i morti della sua famiglia. Con i suoi marmi policromi, la sua volta interamente dipinta a fresco, le sue sculture che restano le più famose del barocco napoletano (di cui lo strano “Cristo velato” di Giuseppe Sanmartino), è il più stupefacente dei mausolei. E don Raimondo ,
un personaggio ben s ulforoso, sorta di dottor Faustus, a cui il popolino prestava dei poteri sovranaturali : non lo si aveva visto attraversare il golfo di Napoli,in una carrozza anfibia ? Gli si attribuiva ancora l’invenzione ella lampada perpetua, del tessuto impermeabile.Lo si credeva un poco alchimista, un poco stregone. Il suo capolavoro resta tuttavia questa cappella Sansevero, in pieno cuore del vecchio Napoli, vicino alla chiesa di San Domenico Maggiore :essa è stata, da poco, restaurata, magnificamente.
Nella cappella di un altro palazzo, il Monte di Misericordia, si scopre, in una solitudine pressappoco totale, una delle tele più impressionanti del Seicento italiano,le “Sette Opere di Misericordia”.Il suo autore non è di qui se egli arriva a Napoli nel 16o7, è per evitare Roma dove è accusato di assassinio.La sua venuta, però, va a coincidere con la nascita della scuola napoletana di pittura che esplode. Vesuvio obbliga, agli inizi del XVII secolo. Nel 1607, dunque, il Caravaggio è a Napoli.
In alcuni anni, la città è divenuta la più popolosa d’Europa, dopo Parigi, e il porto il più attivo del Mediterraneo. Nessuna delle catastrofi che si abbattono duramente sulla città (peste, carestie, eruzioni, terremoti) non ne rallentano il volo, né lo splendore delle innumerevoli chiese e dei palazzi abitati dai proprietari spagnoli. Qui, l’esuberanza italiana e l’austerità castigliana si armonizzano.
L’arrivo del Caravaggio risuonò come un colpo di tuono in un cielo calmo. Mai, prima di lui,si era dato alla Vergine il volto di in ragazza delle strade, né al Cristo quello di uno di quei lazzaroni che vagano in Spaccanapoli: La sua arte, però,di canaglia di genio,che alza il popolare alla potenza del sacro, è fatto per Napoli. Gli imitatori si moltiplicano, i talenti locali sbocciano con Aniello Falcone, Bernardo Cavallino o Salvator Rosa. I grandi tenori del secolo sono tentati di venir a finire la carriera a Napoli : è il caso dello spagnolo Ribera, passato maestro nell’arte del chiaroscuro e della poesia roca. Qui, in questo contesto, che il virtuoso tra i virtuosi lo stordente, il talentuoso, il turbinoso Luca Giordano, impone le sue grandi composizioni barocche in cui ruotano cento figure. Questo stile abbondante ed impetuoso sarà ripreso, con un poco più di organizzazione, da Francesco Solimena, la figura dominante del Settecento napoletano, l’artista caro a tutti i conventi e a tutte le case principesche.
Alfredo Saccoccio