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Napoli scoppia? «No, da noi in pochi in terapia intensiva»

Posted by on Ott 20, 2020

Napoli scoppia? «No, da noi in pochi in terapia intensiva»

«Al Fatebenefratelli di Napoli giungono in pronto soccorso una media di dieci casi al giorno con sospetto contagio, di questi pochi positivi in criticità da terapia intensiva. Vengono valutati, e la maggior parte presentano sintomi lievi tali da poter rientrare  a domicilio». La Bussola intervista Nello Ascione, primario della terapia intensiva dell’ospedale partenopeo. «L’età media è piuttosto elevata, ma la maggior parte dei ricoverati sono anziani con insufficienza respiratoria e comorbilità covid negativi». E il terrore sui contagi in Campania? «Oggi il quadro clinico-epidemiologico è diverso: meno decessi per complicanze da Covid, pochi casi gravi».

L’allarme sociale sullo stato dell’epidemia del Covd-19 sta raggiungendo  livelli parossistici, e fioccano i decreti del governo centrale cui si aggiungono quelli delle Regioni. Siamo alle soglie dell’allarme rosso. Eppure, i dati epidemiologici continuano a dare un quadro molto diverso, che non giustifica il terrore.

La situazione infatti non è grave come nei primi mesi dell’emergenza. Nemmeno da paragonare. E a dirlo non è qualche negazionista, ma i report settimanali dell’Istituto Superiore di Sanità che  non lasciano dubbi. Basta osservare i numeri. Prendiamo, in particolare, il numero di campioni eseguiti. Il giorno 14 Ottobre sono stati riscontrati, su 152.000 tamponi effettuati, 7400 casi circa di positivi. Lo stesso numero di positivi che erano stati riscontrati a fine marzo quando venivano effettuati solo 26.000 tamponi al giorno. Cosa significa questo? Che se a marzo fossero stati fatti 152.000 tamponi al giorno avremmo probabilmente trovato 48/50.000 nuovi positivi al giorno. Positivi asintomatici e paucisintomatici. Cosa significa questo? significa che la diffusione del virus è ora un settimo di  quella della scorsa primavera. E la mortalità? Anche che la mortalità media della patologia da Covid19 se ben considerati tutti questi aspetti si aggira intorno all’1% dei colpiti, e non il 4 o 5% come si continua da parte di molti a dire.

Tuttavia, come abbiamo già avuto modo di scrivere, oggi si punta molto – da parte della comunicazione di regime – sulle terapie intensive, questi reparti che vengono visti con terrore, come l’anticamera della morte. Reparti che – viene detto – a breve saranno saturati di malati. Ma qual è la vera situazione?  Siamo andati a verificare la situazione di uno dei più importanti nosocomi di quel Sud Italia che ora viene considerato come una zona a massimo rischio di emergenza.

Il dottor Nello Ascione è a capo della Terapia Intensiva Cardiologica dell’Ospedale Fatebenefratelli di Napoli. A lui la Bussola ha rivolto alcune domande.

Dottor Ascione, quanti sono i casi sospetti di Covid che giungono ogni giorno in pronto soccorso? E quanti in condizioni critiche?
Giungono in pronto soccorso una media di dieci casi al giorno con sospetto contagio, di questi pochi positivi in criticità da terapia intensiva. Vengono valutati, e la maggior parte presentano sintomi lievi tali da poter rientrare  a domicilio.

Qual è l’età media delle persone che arrivano in terapia intensiva?
Piuttosto elevata, età media 75 anni. La maggior parte dei ricoverati nella mia Terapia intensiva sono anziani con insufficienza respiratoria da  riacutizzazione respiratoria e con comorbilità che necessitano di supporto ventilatorio, ma già selezionati come Covid negativi.

Il Covid quindi si conferma come una patologia pericolosa solo per le categorie fragili, persone di età molto avanzate o con gravi patologie croniche. Eppure, è ancora molto diffusa la paura, il terrore, che per un malato di Covid non ci siano cure, un’idea che viene diffusa anche da parte di molti sanitari. Nel vostro ospedale quali protocolli terapeutici sono stati adottati?
Dipende dalla gravità della situazione clinica, ma i trattamenti per i pazienti critici  in attesa di posto in un centro Covid prevedono eparina a basso peso molecolare, cortisonico, antibiotico

A proposito di protocolli: avrà certamente sentito parlare di quelle procedure di selezione di pazienti da ammettere alle terapie intensive adottate nei mesi scorsi negli ospedali del Nord. Una scelta assai discutibile dal punto di vista etico e deontologico. Cosa ne pensa?
Mi pare che la situazione sia cambiata. Oggi il quadro clinico-epidemiologico è diverso: meno decessi per complicanze da Covid, pochi casi gravi da terapia intensiva, molti paucisintomatici da seguire al loro domicilio o sintomatici non critici presso reparti di degenza non intensiva. Attualmente scarseggiano posti di degenza per coloro che necessitano di cure in ospedale e che non possono essere seguiti a casa. Per essi c’è una criticità, almeno nella mia regione.

Perché i pazienti arrivano in terapia intensiva? Non si potrebbe intervenire efficacemente nelle fasi precoci della malattia da Covid impedendo l’aggravarsi delle condizioni dei pazienti?
 Non si può generalizzare, ogni paziente fa storia a sé. È necessario, a mio parere, che venga rafforzato il servizio di medicina territoriale e le USCA che devono seguire il malato a domicilio quotidianamente. Le Asl si sono impegnate a fondo per questo problema, ma le forze in campo sono poche e c’è ancora qualche criticità nell’assistenza domiciliare. Il medico di base oltre che segnalare, può fare e fa ben poco. Il malato, spesso motu proprio, giunge in pronto soccorso come extrema ratio perché non ha fiducia o perché si sente trascurato dal proprio medico.

Negli scorsi mesi nella maggior parte degli ospedali del Paese si è avuto un grave rallentamento di tutta l’attività di diagnostica, addirittura con chiusure anche di attività cliniche e chirurgiche, ed oggi le liste di attesa per visite, esami ed interventi si sono allungate di mesi. Un quadro epidemiologico preoccupante ma che non gode dell’attenzione mediatica. Questo potrebbe avere tragiche conseguenze per i pazienti oncologici o con gravi patologie croniche. Non pensa che questa sia la realtà su cui allarmarsi davvero?
Si, è una realtà questa che genera preoccupazione. La regione Campania sta valutando il blocco degli interventi chirurgici programmati non urgenti, mantenendo gli oncologici e quelli in urgenza non differibile.  C’è, però, una grande platea di pazienti con patologie croniche che potrebbe nuovamente rimanere fuori dai controlli ambulatoriali, almeno in ospedale, per mancanza di specialisti. L’onere delle visite di screening e follow-up deve essere a carico della specialistica territoriale, il cui compito è proprio evitare sovraffollamento negli ospedali.

Nei confronti dell’evoluzione della situazione epidemica, che pure come anche lei ci ha confermato, non è affatto drammatica, si avverte un diffuso fatalismo, quasi un atteggiamento rinunciatario: di fronte a questo virus ci si sente impotenti. Lei come medico che lavora i una terapia intensiva cosa ci può dire?
Non è la prima volta che una particella invisibile mette in “ginocchio” l’uomo, è già successo e la storia lo ricorda che se ne può uscire. Ritengo che sarebbero sufficienti il buon senso e le regole di civiltà per mettere ko il virus. Intendo quelle semplici regole igieniche che si erano dimenticate, come il lavarsi le mani ed evitare i contatti ravvicinati.

Una prevenzione a costo zero?
Proprio così.  

Paolo Gulisano

fonte

https://lanuovabq.it/it/napoli-scoppia-no-da-noi-in-pochi-in-terapia-intensiva

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