Alta Terra di Lavoro

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NEL 1799 LA CHIAMARONO LIBERTA’

Posted by on Nov 8, 2019

NEL 1799 LA CHIAMARONO LIBERTA’

     Sembrerà strano che nell’anno del Signore 2019  si avverta il bisogno di parlare ancora del 1799, un momento della storia lontano ormai ben duecentoventi anni. L’ esigenza si pone, però, per almeno due motivi. Il primo – che potrebbe anche non rappresentare cagione di preoccupazione – è rappresentato dal numero non indifferente di eredi spirituali, che si nutrono ancora delle idee dei giacobini del 1799.  Il secondo, invece, è quello che preoccupa di più, perché costoro, nei gangli della società, occupano le posizioni di maggior prestigio, da cui hanno la possibilità di imporre un “pensiero unico”, influenzando cultura, politica e informazione. Il che consente loro di beneficiare di consistenti concessioni di fondi negati ad altri come si potrà rilevare dalle due appendici in calce.

     Vediamo dove affondano le radici di tali preoccupazioni.

     L’anno che ci accingiamo ad esaminare arrossò di  una lunga ed ininterrotta scia di sangue, da nord a sud , da est ad ovest, il suolo dei vari Stati della penisola italiana, poiché, invaghiti dalle idee dei giacobini francesi, i sedicenti liberali italici (non ancora italiani in senso strettamente  politico) fecero violare i propri confini dalle feroci e fameliche truppe francesi. Se una tale decisione fosse stata presa dal “popolo basso”, quello che i “liberali” non ritenevano degno di essere considerato “cittadino” , la cosa poteva anche essere  scusata, essendo l’ignoranza la causa della loro  scelta. Ma qui stiamo parlando di una classe sociale che è stata e viene tuttora presentata come la “crema” dell’intellettualità napoletana, quindi, con tutte le credenziali per  raccogliere gli insegnamenti della rivoluzione che pochi anni prima aveva sconvolto la loro madrepatria ideale e valutarne le catastrofiche conseguenze. E dire che proprio uno storico di parte come il Cuoco – mostrando, in verità, poca coerenza – aveva affermato : <<… la mania per le nazioni estere prima avvilisce, indi immiserisce, finalmente ruina una nazione, spegnendo in lei ogni amore per le cose sue …>>.

     Se il Cuoco, nelle sue scelte politiche, si fosse attenuto  anche a questo solo principio e, anziché farsi abbacinare dalla nuova ideologia, avesse cercato di convincere gli amici sulla bontà del suo postulato, avrebbe dimostrato di essere una persona coerente, proprio perché non ignorava che libertà e liberazione difficilmente possono essere garantite da eserciti stranieri e che, anzi, l’unico elemento certo in una scelta del genere è che il cambiamento non avverrà in maniera indolore, ma sarà causa di lutti e rovine.  Lutti e rovine che furono veramente tanti, non risparmiando nessuna città, nessun paese, neppure i luoghi sacri.

      Sappiamo bene che la storia non ammette “se”, ma poiché molti giudizi su queste decisioni sono presenti addirittura nella cultura dei nostri giorni, non possiamo evitare di tentare un’ analisi di tali fatti, non tanto per decidere se i protagonisti del 1799, affascinati dalle idee rivoluzionarie, abbiano sbagliato o no, perché un giudizio di condanna o di assoluzione non cambierebbe né le situazioni né i fatti storicizzati, quanto per esprimere un giudizio su chi, ancora oggi, difende ad oltranza scelte e comportamenti che le epoche successive si sono incaricate di dimostrare sbagliati e riprovevoli e che continuano ad influenzare la società odierna. Per ritornare ai “se” non ammessi dalla storia, analizzando sia i presupposti che le conseguenze del momento storico della Repubblica Napoletana, si può tranquillamente affermare che se gli intellettuali che invitarono i francesi a violare i confini delle rispettive patrie si fossero astenuti da tale aberrazione, si sarebbero evitate tutte quelle violenze che invece interessarono la martoriata terra italica : saccheggi, uccisioni di massa, incendi, stupri, violazione di luoghi sacri, ecc. Riandando, infatti, con la mente agli eccessi della rivoluzione del 1789, mostratasi liberticida piuttosto che libertaria e tirannica piuttosto che democratica, quelli che vengono celebrati come “martiri”, non avrebbero avuto difficoltà, applicando un semplice processo di analogia, a trarne ammonimento non avvertendo nella nuova rivoluzione figlia della precedente e quindi con le stesse caratteristiche genetiche le nefaste  conseguenze a cui  avrebbero portato le loro scelte.Questa pretesa non è tanto assurda perché qui non stiamo parlando di plebaglia, di lazzari, di persone solo istinto secondo la convinzione dei giacobini, ma di persone di elevata istruzione e cultura (medici, avvocati, giudici, sacerdoti, vescovi, alti ufficiali, nobili, ecc.). Accertato, quindi, che a motivo della propria istruzione costoro avevano la scienza necessaria per evitare i lamentati danni, anche se  ritenerli colpevoli non serve a mutare quanto storicizzato, dobbiamo far capire che le loro scelte non ebbero nulla di eroico e quindi dobbiamo abbattere  l’aura mitologica in cui sono stati inseriti, perché essi, già nel momento in cui facevano la loro scelta, erano ben consapevoli che stavano facendo qualcosa di cui non andare fieri, se dobbiamo credere almeno alla chiara denuncia del Colletta, che, nonostante la sua faziosità, non potette far a meno di riconoscere : << … Tu, cittadino generale, hai presto scordato che non siamo, tu vincitore, noi vinti ; che qui sei venuto non per battaglie e vittorie, ma per gli aiuti nostri e per accordi ; che noi ti demmo i castelli ; che noi tradimmo, per santo amore di patria, i tuoi nemici  (cioè, i propri fratelli –  ndr) ; che i tuoi battaglioni non bastavano a debellare questa immensa città ; né basterebbero se noi ci staccassimo dalle tue parti … >> (Storia del Reame di Napoli … 4, V) . Ancora, quando i giacobini, travestiti da popolani, sparavano alle spalle dei lazzari, lo stesso Colletta ribadisce : << … menavano al flagello la tradita plebe. Opere malvagie se pongasi mente all’ ingannata fede …>>  (ibidem 3,XLI).

     Vediamo adesso il percorso della scia di sangue che inzuppò le zolle delle nostre terre, il numero approssimativo delle vittime imputabili solo alla ferocia delle truppe dei “liberatori” e non di quelle cadute in combattimento; quello dei paesi devastati e dati alle fiamme; quello dei luoghi sacri profanati, e poi vediamo in nome di quali principi possa essere giustificato tutto questo e dove gli eredi dei protagonisti della Repubblica Napoletana trovino il coraggio di celebrare un evento che fu tanto funesto per la “nostra” patria e pretendere addirittura un “pantheon dei martiri” 

APPENDICE n. 1 –  SUD : L’ ISTITUTO DI MAROTTA. UNA CONTROSTORIA DA SCRIVERE

<< … L’Istituto di Marotta è tra i pochi in Italia ammesso a godere anche dei fondi dell’8 per mille. Nel 1999 la distribuzione di fondi fruttò un miliardo all’istituto, secondo quanto risulta dall’elenco della Presidenza del Consiglio. Nello stesso anno la Società geografica italiana, unico ente che si occupa di geografia, ottenne 199 milioni ( “Roma”, 27.10.2001). Secondo dati forniti dallo stesso Marotta in un’intervista a “La Repubblica” (12.6.1996) solo nel 1994 all’Istituto per gli Studi filosofici furono assegnati 5 miliardi di lire dal Ministero della Ricerca scientifica, 260 milioni dal Ministero per i Beni culturali. L’avvocato si lamentava. Negli anni precedenti il Ministero per i Beni culturali gli assegnava 340 milioni. Ma in cambio di che cosa? A dirigere l’ “attività scientifica” dell’Istituto dietro lo schermo di un “ Comitato scientifico” nel quale figuravano alcuni docenti universitari era un professore di liceo, Antonio Gargano, poi estromesso negli ultimi anni dal cerchio magico-familistico del nipote e di due dei figli dell’avvocato 89enne, che avevano di fatto assunto il controllo amministrativo. Le cifre erogate alla creatura di Marotta nessun istituto universitario, nessuna istituzione culturale, a Napoli e nel Sud, le ha mai potuto immaginare. Quelle elargizioni a senso unico hanno bloccato ogni progetto vero per la cultura, in una città che non aveva un Museo civico, dove il Museo Filangieri stava per chiudere ed altri, come San Martino tenevano gran parte delle sale chiuse per mancanza di personale. Una città che ha circa 200 chiese chiuse, abbandonate, stravolte nella destinazione d’uso, che dal 1994 non ha più un’Orchestra Stabile dopo la decisione della Rai di tagliare la Scarlatti che costava un miliardo all’anno, una città che non aveva un teatro stabile, e dove l’editoria cominciava a boccheggiare. C’è una controstoria tutta da scrivere sulla realtà di questo baraccone multicolore che la “ magia della parola “ dei mass – media, le complicità e l’ ignoranza dei giornalisti hanno trasformato in un “ tempio della cultura “. Quanto è costato in 41 anni l’Istituto per gli Studi filosofici? Come sono stati impiegati i finanziamenti pubblici? Qual è il suo bilancio scientifico, in termini di ricerche e di pubblicazioni, di studiosi formati? Quali erano i criteri per la cooptazione nel ristretto gruppo che lo gestiva, quali appartenenze contavano?Sabato 28 gennaio (2018, ndr) a Palazzo Serra di Cassano, il figlio dell’avvocato Marotta, Massimiliano, che adesso insieme ai fratelli e ad una piccola corte si candida a gestire i nuovi finanziamenti già annunciati, senza avere alcun titolo scientifico, ha accolto un perplesso presidente della giunta regionale della Campania Vincenzo De Luca con la retorica dei “paglietta” (come Re Ferdinando II di Borbone chiamava gli avvocatucoli liberali). “ L’Istituto ha una sola funzione – ha detto stentoreo Marotta junior – quello di portare la filosofia in soccorso dei governi, come diceva Filangieri”. Finora, però, sono stati i governi e gli enti locali, con i soldi dei cittadini, ad andare in soccorso dell’Istituto e della famiglia Marotta.>> (Lettera Napoletana n. 108 – gennaio 2017)

APPENDICE n. 2 – SUD : L’ ISTITUTO DI MAROTTA. UNA CONTROSTORIA DA SCRIVERE

<< … con il meridionalismo l’avvocato Marotta – che riduceva la grande storia di Napoli e del Sud all’effimera repubblica giacobina del 1799 e al cosiddetto Risorgimento – non c’entrava per niente. Quanto ai “poteri forti” ne era un esponente di prima fila, appartenendo a quella borghesia parassitaria meridionale che vive dall’unificazione in poi intercettando le risorse pubbliche ed assicurando in cambio il consenso intellettuale e politico allo Stato centrale. Nessun giornale ha neanche accennato un bilancio dell’ attività dell’Istituto, fondato nel 1975 dall’ex avvocato amministrativista che realizzava gli espropri per conto delle giunte del comunista Maurizio Valenzi (1975 – 1983) a contadini e piccoli imprenditori agricoli. Eppure il massiccio drenaggio di finanziamenti pubblici operato dall’Istituto di Marotta a danno delle istituzioni culturali di Napoli e del Sud aveva suscitato spesso proteste. “ L’Istituto di Studi filosofici – denunciò lo storico Paolo Macrì, docente all’Università Federico II – elargisce a pioggia centinaia di incarichi  scientifici e didattici dal contenuto molto confuso, finendo per pagare tutto un ceto intellettuale, materialmente o ideologicamente che sia … Di suo l’Istituto ci mette un’accorta politica dell’immagine costruita attorno a qualche personaggio eminente” (Corriere del Mezzogiorno 1.10.2000). “L’Accademia, il Conservatorio sono la storia di questa città da 300 anni – denunciò il direttore dell’Accademia di Belle Arti, Gianni Pisani – e questi si spartiscono i fondi come se fossero cosa loro, fra loro” (La Città – 14.6.1996). La classe politica ha fatto il resto, mescolando opportunismo ed ignoranza …>> (Lettera Napoletana n. 108 – gennaio 2017)

Castrese Lucio Schiano

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