“NICOLA ZITARA” di FRANCESCO CEFALI’
Nicola Zitara, nato a Siderno (RC) il 16 luglio 1927, è stato un economista, uno studioso meridionalista e anche autore di numerosi saggi tra cui “L’Unità d’Italia: nascita di una colonia” e “L’invenzione del Mezzogiorno-una storia finanziaria”.
E’ stato, altresì, un importante esponente della corrente meridionalista che vedeva nella rinascita di uno Stato meridionale indipendente l’unica soluzione utile per risolvere i problemi del Sud. Trattò le tematiche del revisionismo storico del Risorgimento, affrontate prima da Gaetano Salvemini, Guido Dorso, Giustino Fortunato, Antonio Gramsci, Pasquale Villari, Saverio Di Bella, Francesco Saverio Nitti,Vincenzo Padula, Luigi Sturzo, Gaetano Cingari e tanti altri e oggi da studiosi come Pino Aprile, Lorenzo Del Boca, Gennaro De Crescenzo, Antonio Ciano, ecc. Suo padre Vincenzo, un imprenditore con una linea di velieri da trasporto merci, che si trasferì nei primi anni del Novecento da Maiori a Siderno Marina sposò la siciliana Grazia Spadaro.
Nicola frequentò il liceo classico a Locri, quindi l’Università di Napoli e poi si laureò in giurisprudenza a Palermo. Dopo gli studi universitari lavorò per diversi anni nell’azienda di famiglia, quindi si trasferirsi a Cremona dove insegnò diritto ed economia. Alla morte del padre, nel 1961, rientrò a Siderno per condurre l’azienda di famiglia che dopo pochi anni, per diverse situazioni sfavorevoli al mercato meridionale, fu costretto a chiudere. L’esperienza lavorativa negativa e la successiva Rivolta di Reggio Calabria, sintomo dell’impotenza economica e politica dei lavoratori meridionali, gli lasciarono segni indelebili che lo portarono allo studio delle leggi economiche e a compiere un’approfondita riflessione sulle vicende dell’Italia meridionale pre e postunitaria.
Nel 1964 fu eletto segretario di federazione della sede di Catanzaro del PSIUP ed ebbe così l’occasione di confrontarsi con Vittorio Foa, un dirigente politico da lui ammirato solo come uomo. La vicenda di partito negativa lo spinse all’allontanamento definitivo dalla politica, da lui criticata aspramente come un male per tutta la “Nazione meridionale”. Si dedicò, quindi, al giornalismo, diventando pubblicista. Fondò con Giovanbattista Foti il settimanale Il Gazzettino dello Jonio; divenne poi direttore di Lotta Continua. Nel 1968 fu chiamato dal Circolo Culturale “Gaetano Salvemini” di Vibo Valentia (fucina d’incontri con i maggiori esponenti della cultura calabrese e non solo, quali Luigi Maria Lombardi Satriani, Mariano Meligrana, Giacinto Namia, Sharo Gambino, Saverio Di Bella e l’economista siciliano Napoleone Colajanni) per dirigere la redazione dei Quaderni Calabresi. Si trasferì, perciò, con la famiglia nella vicina Stefanaconi, dove visse per un lungo periodo.
Qui scrisse i suoi saggi più importanti sul revisionismo storico del Risorgimento che lo portarono ad essere malvisto dal potere politico, economico e sindacale dominante, ma non dai critici ed economisti stranieri. Con il giudice Francesco Tassone, anima dei Quaderni Calabresi e presidente del Circolo Salvemini, fondò con poco successo il Movimento Meridionale. Essendo anche un giornalista votato alla giustizia sociale pubblicò spesso sul settimanale Il Volantino, articoli contro le speculazioni locali. Scrisse pure, in diversi periodi, centinaia di articoli su varie testate. Dopo l’esperienza con i Quaderni Calabresi collaborò con Il Piccolissimo, la Riviera (fu pure direttore responsabile fino alla fine), Monteleone, Lettera ai meridionali di Fausto Gullo, Calabria oggi di Pasquino Crupi e Scilla, di Tommaso Giusti. Come editore pubblicò “Memorie di quand’ero italiano” nel 1994 e “O sorece morto” nel 2004. Dal 2000 proseguì la sua battaglia meridionalista creando un sito informatico intitolato Fora, dove erano visibili alcuni dei suoi interventi.
Si rese infine promotore, con Francesco Tassone, di un’accusa per strage contro Nino Bixio; il processo si rivelò un nulla di fatto. Negli ultimi anni, sostenendo la causa degli estimatori del Regno delle Due Sicilie, si formò un circolo di persone denominate zitariani. Nel 2003 fondò, con altri amici, una sede dell’Associazione Due Sicilie a Gioiosa Ionica. Per Zitara il Meridione, dopo l’Unità d’Italia, era stato costretto a vivere in condizioni di separatezza, di emarginazione e di sottosviluppo a fronte dei privilegi acquisiti dal Settentrione. Ai numerosi oppositori che gli contestavano che con una eventuale separazione del Meridione la mafia avrebbe preso il dominio sul territorio gli rispondeva dicendo che la ‘ndrangheta o la camorra, con uno stato meridionale libero e indipendente dal punto di vista economico e finanziario, non avrebbero avuto motivo di esistere. Scrisse Zitara: “Senza il saccheggio del risparmio storico del paese borbonico, l’Italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire. Sulla stessa risorsa faceva assegnamento la Banca Nazionale degli Stati Sardi.
La montagna di denaro circolante al Sud avrebbe fornito cinquecento milioni di monete d’oro e d’argento, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d’emissione sarda – che in quel momento ne aveva soltanto per cento milioni – avrebbe potuto costruire un castello di cartamoneta bancaria alto tre miliardi. Come il diavolo, Bombrini, Bastogi e Balduino (titolari e fondatori della banca, che sarebbe poi divenuta Banca d’Italia) non tessevano e non filavano, eppure avevano messo su bottega per vendere lana. Insomma, per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l’unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui si erano messi”. Per lo scrittore di Siderno l’Unità d’Italia è stata solo una operazione prettamente bellica e coloniale portata avanti dai Savoia contro il Regno delle Due Sicilie, ovvero una guerra non dichiarata e criminale nei confronti di un popolo unito e indipendente fin dal 1130. L’unificazione, che avvenne tramite lo strumento militare, economico e giuridico, ha condannato storicamente il Meridione al sottosviluppo e alla subalternità culturale ed economica dal Nord ma ha pure portato l’Italia alla divisione e alla discordia tra i popoli.
Per Zitara il Regno delle Due Sicilie non era arretrato culturalmente e antiquato anzi, era la terza realtà politica, economica e scientifica del mondo, un Regno caratterizzato da un assolutismo illuminato e riformatore, aperto a ogni processo di laicismo, a una graduale modernizzazione, protosocialista e non liberale. Con i suoi studi, contrastò la storiografia ufficiale da lui considerata asservita all’ideologia e alla propaganda politica e culturale delle classi dominanti dell’Italia settentrionale.
Per il grande meridionalista le condizioni di subalternità economica, politica e scientifica, in cui riversava il Meridione erano la diretta conseguenza dell’unione giuridica ed economica della penisola. Il capitalismo del Nord Italia, inoltre, era un capitalismo di tipo mercantilistico: cioè si nutriva dell’impoverimento delle regioni meridionali e sulla divisione di classe tra operai del Nord e operai del Sud. Per Zitara, l’incremento economico-industriale del Nord è stato direttamente proporzionale all’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura del Sud, i cui ritardi sono dovuti alla frattura tra il proletariato settentrionale e quello meridionale per cause interne e alle logiche di rapporti di classe e di produzione a livello regionale.
Per lo scrittore di Siderno la questione meridionale non si può risolvere né con gli strumenti istituzionali democratici né con quelli di una lotta dei lavoratori, in quanto, “gli interessi del proletariato settentrionale sono inconciliabili con quelli del proletariato meridionale”. Egli affermò anche che: “quando le vittorie politiche e sindacali si traducono in leggi generali ne beneficia solo il proletariato settentrionale perché tali leggi contemplano situazioni estranee all’assetto meridionale“. Il proletariato settentrionale, inoltre, era portato a condurre la propria lotta contro il capitalismo in modo autonomo e con un forte antagonismo con i lavoratori meridionali. Per Zitara, “L’Unità d’Italia annientò, di fatto, il Regno delle Due Sicilie proprio nel periodo decisivo d’avvio verso una fase di pieno sviluppo economico e sociale ”. Il grande meridionalista scrisse pure che: “… Se i cosiddetti briganti non fossero stati piegati da un esercito di oltre centomila piemontesi, oggi sarebbero celebrati come eroi della nazione meridionale; poiché hanno perso, nei libri di storia, sono citati come briganti e assassini. In Germania, in Russia e in alcuni paesi latini americani, le guerre contadine, sono chiamate rivoluzioni e in Spagna rivolte; in l’Italia per le guerre simili viene usato invece il termine brigantaggio. La visione economica di Nicola Zitata non si è limitata all’analisi delle condizioni della lotta di classe ma, negli ultimi anni, si è ampliata fino ad includere una critica al socialismo scientifico di Karl Marx, da cui ha preso le mosse tutta la sua ricerca. In occasione della pubblicizzazione del suo primo romanzo storico “Memorie di quand’ero italiano” volle diffondere in un opuscolo la presentazione del romanzo e di aggiungere in appendice una riflessione, a cui in quei giorni stava lavorando, sotto il titolo “Una versione giusnaturalista del socialismo scientifico”.
In essa dimostra chiaramente di possedere strumenti di pensiero sofisticati, di aver maturato una interpretazione dell’uomo e della società che affonda le sue radici nella Ideologia tedesca di Marx ed Engels e di saper leggere la realtà contemporanea dominata dalla filosofia liberal-capitalistica nel contesto più generale su merce e valore di scambio. Egli ha scritto: “Il mercato capitalistico è diventato un gioco per vecchi birbanti e per bari incalliti, per corpi sociali che hanno imparato a truffare a man bassa; per gente capace di ribaltare, con tronfia coscienza, in colpa dei truffati la fortuna delle proprie gesta e le proprie responsabilità civili….Noi meridionali non abbiamo avuto modo di diventare così esperti; non avremmo, dunque, avvenire alcuno come bari apprendisti. Oltre tutto le carte truccate le tiene sempre il banco….La storia ci assegna un diverso percorso, in cui non credo ci saranno risparmiate le lacrime e il sangue. D’altra parte, come socialista scientifico, personalmente non saprei dare altra risposta alla nostra vicenda sociale che una proposta rivoluzionaria”. Propone, quindi, l’urgenza della realizzazione di un progetto politico rivoluzionario in grado di restituire l’autonomia a tutte le regioni che prima dell’Unità componevano il Regno borbonico. Zitara propose un socialismo privatista basato sul libero produttore mercante di se stesso, sulla coincidenza del numero delle aziende con il numero dei lavoratori, su un uomo libero da padroni che collabora socialmente alla produzione.
La base giuridica del contratto di società non sarà più così il capitale, ma il lavoro. Nicola Zitara morì a Siderno dopo una lunga malattia, colpito da carcinoma prostatico, il primo ottobre del 2010. Il vessillo e l’inno borbonico lo hanno accompagnato per tutta la cerimonia funebre. Le sue principali Opere: • L’Unità d’Italia: nascita di una colonia, 1971; • Il proletariato esterno, 1972; • AA.VV. Le ragioni della mafia, 1979; • Incontro con Stefano Ceratti, 1993; • Memorie di quand’ero italiano, 1994; • Tutta l’égalité, 1998; • Negare la negazione, 2001; • ‘O sorece morto, 2005; • L’Unità d’Italia: nascita di una colonia 2010; • L’invenzione del mezzogiorno. Una storia finanziaria, 2011.
Francesco Antonio Cefalì