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‘O GENERALE FRANCESE A NAPOLI AL TEMPO DI MURAT, PEGGIO DEI PIEMONTESE

Posted by on Nov 9, 2020

‘O GENERALE FRANCESE A NAPOLI AL TEMPO DI MURAT, PEGGIO DEI PIEMONTESE

Quanto si racconta sulla crudeltà dei briganti è nulla in confronto a quanto si narra su quella dei francesi che trasformarono le fertili campagne del regno in arido deserto di vegetazione e di uomini. I generali di Murat, per prosciugarle di acqua e di cibo, svuotarono le masserie trasferendo contadini e bestie nei paesi vigilati dalle truppe.

Forzatamente sospesi i lavori agricoli, i soldati, minacciandoli di morte, impedirono ai cittadini di portare viveri per le campagne. Organizzati i civili in bande di cacciabriganti, nei boschi, sulle montagne e nei campi si videro schiere sterminate di militari e di civili in cerca di banditi.
Una madre, che ignorando gli ordini conduceva il solito pane ad un figlioletto pastore, fu impiccata all’istante. Una fanciulla fu tormentata nel corpo poiché le furono trovate addosso lettere sospette.

Gli insorti soccombevano, perendo per fame o cadendo in combattimento contro i militi. A volte, per sfuggire alla loro ferocia, si uccidevano da soli, preferendo una morte di subito a una fine rinviata da lunghe torture.

A Serra, un calabro paesino, attirati in una casa con l’inganno, furono uccisi dai briganti resistenti all’occupazione napoleonica il luogotenente francese della gendarmeria e il sindaco. Manhes, giunto a Serra con il fermo intento di fare crudele vendetta, entrando nel paese vide alcune teste appese agli alberi della piazza. Al generale fu detto che si trattava delle teste degli abitanti della casa. Sospettata di complicità con i briganti, l’intera famiglia era stata macellata e decollata dai militi.
Non contento del sacrificio compiuto in suo onore e non potendo massacrare l’intero paese, come avrebbe voluto, Manhes riunì nella piazza gli abitanti per comunicare loro il castigo:

“Io generale Antoine Manhes ho deciso di fare di questo paese un supplementare girone infernale. Ordino che tutte le chiese siano chiuse e tutti i preti abbandonino immediatamente questo luogo e si portino con la forza nella città di Maida. I vostri bambini nasceranno senza battesimo e senza grazia di Dio, i vostri vecchi moriranno senza sacramenti e senza assoluzione, lordi di tutti i loro peccati subiranno i supplizi dei più orrendi gironi infernali, per i secoli dei secoli.
Voi tutti sarete racchiusi nel vostro paese abbandonato da Dio e dagli uomini, né tampoco potrete sfuggire alla mia vendetta emigrando in altre contrade. Voi sarete per sempre isolati e chiusi nel vostro purgatorio poiché gli abitanti delle vicine contrade vi fuggiranno come gli appestati, e se qualcuno di voi tenterà di uscire dal paese sarà ucciso come un lupo. Da oggi Serra sarà l’inferno stesso sulla terra”.

Manhes decise quanto nemmeno un papa aveva osato decidere: egli decretò la scomunica e l’interdizione di tutto un popolo. Quel giorno medesimo il generale lasciò Serra con i suoi sessanta lancieri attraversando il paese totalmente deserto di popolo. Ma appena superò l’ultima casa, Manhes vide un’allucinante processione di fantasmi. Vestiti con lunghe camicie bianche, a piedi nudi e con i cilici di spine sulla fronte, in ginocchio i supplicanti si battevano il petto con pietre aguzze, implorando perdono al francese.
Erano gli abitanti di Serra in pentimento disperato poiché per loro quella maledizione era peggio della morte istessa. Ma i miseri si flagellarono invano. Il generale impietoso non si lasciò commuovere dalle afflizioni di quei tribolati, i preti furono condotti a Maida, compreso un vecchio sacerdote di novantuno anni.
Manhes promise il perdono alla sola condizione che tutti gli insorti delle vicine contrade fossero presi e uccisi dalle stesse mani degli scomunicati serrani. In vista del perdono, gli uomini di Serra si fecero cacciabriganti. Solo braccando e uccidendo i banditi dei vicini boschi, riottennero i sacramenti perduti.

In due mesi, nelle prigioni calabre furono rinchiusi più di milleduecento insorti. Gli arrestati, portati davanti ai tribunali speciali, furono strangolati sui patiboli, oppure soffocati dentro spaventose galere. Nelle torri orrende, i prigionieri ancor vivi erano mischiati agli uccisi, dei quali, per cibarsi, dovevano rosicare la cadaverica carne infradiciata. Le teste e le membra macellate dei briganti, appese ai pali, resero macabra la strada da Reggio Calabria a Napoli, ripetendo quanto avvenne con il massacro dei ventimila schiavi ribelli di Spartaco, crocifissi in fila che dalla Calabria arrivava a Roma.

L’episodio storico, realmente accaduto in Calabria, nel 1810, è tratto dal romanzo “Inganni” di Raffaele Vescera (1992) 

fonte

https://www.facebook.com/terronidipinoaprile/photos/io-generale-francese-a-napoli-al-tempo-di-murat-peggio-dei-piemontesi-storiasudd/1683883098565586/



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