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Parthenope, un film che offende la Chiesa e la città di Napoli

Posted by on Nov 11, 2024

Parthenope, un film che offende la Chiesa e la città di Napoli

È un grave e dolorosissimo oltraggio quello che Paolo Sorrentino ha inferto ai credenti con il suo film Parthenope. E lo porrà nella storia per avere attaccato alla “sua Napoli” una ulteriore etichetta negativa, del tutto gratuita e ingiusta su quanto di più caro hanno i partenopei: il rispetto e la devozione per san Gennaro, patrono della città.

Sono i numeri del botteghino a condizionare le recensioni dei film. E Parthenope non fa eccezione. È un meccanismo che alimenta sé stesso, portando a milioni di euro l’incasso di questa pellicola. Eppure, per i suoi contenuti osceni, ci sono spettatori che abbandonano il cinema tra il primo e il secondo tempo, ma questo non viene raccontato per non innescare un’inversione di tendenza.

Il trailer dell’autore di La Grande Bellezza dedicato a Roma, ma definito dai romani «decadente e torbido», rinvia a panorami e colori di Napoli che aprono il cuore grazie ad accesi toni d’azzurro tra cielo e mare, ma rimanda anche al buio dell’anima dello stesso regista che non ha modificato affatto il suo stile «decadente e torbido», appunto.

L’orrido prodotto che ha confezionato per attrarre pubblico, e che arriverà anche all’estero, è una Napoli – simbolicamente interpretata dalla protagonista Parthenope (Celeste Dalla Porta) – immersa nella lussuria, nell’edonismo e nella corruzione che raggiungono il culmine nella rappresentazione blasfema del “miracolo di San Gennaro”, della fede dei partenopei nel Santo protettore, e del pastore che li guida: il cardinale Tesorone (Peppe Lanzetta). Nel film, l’anziano presule che attraversa le navate vestito solo di un ridotto slip di colore porpora, è una figura lasciva e profanatrice dell’altare, della reliquia del sangue di san Gennaro e dei gioielli del Tesoro. Negli ambienti, che richiamano alla memoria il Duomo di Napoli, si consuma una scena di erotismo disgustosa, con la giovane Parthenope addobbata degli oggetti sacri del Tesoro di san Gennaro. Nel film, il cardinale Tesorone viene definito “Satana”.

Il clima conformista di acquiescenza al film è stato rotto dalla critica senza nessuna reverenza nei confronti del “genio Sorrentino”, dal sacerdote Franco Rapullino, parroco di San Giuseppe a Chiaia che, sul quotidiano ROMA, ha definito il film «una raffigurazione offensiva del miracolo», scagliandosi contro il regista: «Non ha diritto di essere così blasfemo… un cardinale profanatore che ha reso disgustoso quanto è di più caro ai napoletani, rendendoli grotteschi nella fede che invece è autentica». 

Questa ferma voce di ribellione al pensiero unico dominante ha avuto il merito di spingere – anche se ancora cautamente per il condizionamento laicista – altri media a denunciare il contenuto oltraggioso del film, che era stato nascosto dai critici nell’anteprima al Festival di Cannes. Si dirà: perché l’arte non va censurata. E, invece, una operazione-verità è doverosa. Se non altro nel rispetto di chi ha una sensibilità religiosa.

Nel simbolismo che si pretende attribuire al film, la ragazza Parthenope rappresenterebbe Napoli e, nelle sue esperienze vivrebbe le emozioni che Sorrentino conserva e comunica attraverso la macchina da presa.

Due le operazioni che Sorrentino fa in Parthenope: una estetizzante, con inquadrature estive del Golfo di Napoli, scogliere luminose, ville sul mare e interni barocchi. Cattura con l’obiettivo angoli di per sé incantevoli nei quali gli va riconosciuta la maestria dei professionisti della pubblicità, abili in giochi di luci, slow-motion, scene grandangolari, ombre, con le quali guadagna il consenso del pubblico, in un itinerario ipnotico. Reso docile l’osservatore con l’incantesimo delle immagini-spot, Sorrentino gli somministra allusioni e a volte scene esplicite di incesto (il fratello di Parthenope che desidera da sempre la sorella, fino al suicidio), poliamore, desideri e fantasie omosessuali, rapporti saffici, aborto, e l’amplesso pubblico di due ragazzi dai volti innocenti e spaventati, obbligati a unirsi carnalmente su un tavolo da biliardo, sotto lo sguardo di due improbabili famiglie camorristiche e di un prete, che assistono al “rito” come suggello della pax criminale. 

Infine, l’incontro tra Parthenope e il Cardinale Tesorone. Lei è una antropologa e ricercatrice che intende studiare il miracolo di san Gennaro. L’orrendo e lascivo cardinale appare al centro di una navata, semisvestito, intento a tingersi i capelli, per prepararsi alla celebrazione religiosa della liquefazione del sangue del Santo. Le donne del popolo pregano e sudano, si sventagliano e soffrono in una Cattedrale sovraffollata e soffocante. Il miracolo non avviene, ma una donna in menopausa comincia a sanguinare, urlando che il miracolo è avvenuto e lei stessa lo rappresenta. Il Cardinale Tesorone si arrabbia perché quella scena aveva distolto i fedeli dall’adorazione rivolta alla sua persona. Quindi, Parthenope chiede di vedere il Tesoro di san Gennaro e lui acconsente, ma prima le chiede di accompagnarlo a una festa mondana, dove lui fuma e gode della riverenza dei presenti. Infine c’è la scena di Parthenope addobbata dei gioielli del Tesoro di San Gennaro: sul capo la mitra, il manto che fa scivolare dalle spalle mostrando la croce di smeraldi e zaffiri, la collana che le copre in parte i seni, orecchini voluminosi e il resto di voluminosi gioielli a coprire al minimo il corpo nudo. Un letto fuoriesce dall’altare e qui la ragazza si concede all’uomo. La telecamera si allontana lasciando sullo sfondo i due protagonisti mentre riprende in primo piano l’ampolla con il sangue di San Gennaro che “osserva” la scena e “reagisce” cominciando a liquefarsi. Ognuno è libero di interpretare questi fotogrammi. 

In un incontro con il pubblico, consapevole di avere offeso la sensibilità del mondo cattolico, Sorrentino ha tentato di difendersi, affermando di non avere messo alcuna etichetta al miracolo di san Gennaro perché la Chiesa «è troppo intelligente per criticare la sua opera» e ha chiesto di guardare e giudicare il suo film «senza pregiudizi». Ma forse voleva dire in modo acritico. Ha parlato del “miracolo di San Gennaro” come di «un rito»– né più né meno di quello che lui inscena tra le famiglie camorristiche del film – perciò privo di qualsiasi valore spirituale e sacro. Ha descritto la protagonista come una semplice ragazza che attraversa varie esperienze di vita. Il fatto è che Parthenope lo fa talvolta con punte di commozione, ma il più delle volte con un sorriso beota che è forse quello che Sorrentino vorrebbe vedere impresso sui volti di chi ha pagato il biglietto per assistere al suo film. 

Dopo la scena di sesso con il cardinale, Parthenope si presenta al suo professore universitario, Marotta (Silvio Orlando), una figura paterna che nasconde nel proprio intimo un grande dolore per un figlio disabile che tiene nascosto, e che decide di mostrare solo alla ragazza. Appare quindi un gigante seminudo, a metà tra un neonato e un adulto, obeso e dall’umorismo infantile, fatto «di acqua e sale, come il mare», dice Marotta. Si potrebbe pensare che Napoli – nell’immaginario di Sorrentino – è più aderente a questa irrealistica creatura-mostro che la giovane e spregiudicata ragazza narrata.

Nell’incontro con il pubblico, il regista non ha voluto spiegare nulla del simbolismo inserito nel film. Come ha scritto il critico Peter Bradshaw, che ha stroncato “Parthenope” su “The Guardian”, si assiste a «due ore di pubblicità di un’acqua di colonia incredibilmente costosa».

Le reazioni

Silenzio totale da parte dell’Arcivescovo di Napoli, Monsignor Domenico Battaglia, (appena nominato Cardinale) sulla inaccettabile blasfemia nei confronti del culto a san Gennaro e del miracolo della liquefazione del sangue.

«Disgusto e schifo», invece ha espresso don Franco Rapullino, Parroco di San Giuseppe a Chiaia a Napoli in una intervista al ROMA : «Sorrentino non ha diritto a essere così blasfemo – ha affermato il parroco – la satira è una cosa, ma a San Gennaro tutti tengono e in quelle scene in cui inserisce un Cardinale profanatore ha reso disgustoso quanto è di più caro ai napoletani. Rendendoli grotteschi nella fede che invece è autentica. Napoli è migliore di quella che lui ha messo in quel film. Niente di quel film si può apprezzare: sembra che tutto a Napoli ruoti incontro al potere, all’ambizione, al sesso e al denaro. Mi ha fatto proprio schifo. E quanto alla presenza e alla funzione della Chiesa, va detto che quella che andrà in giro per il mondo con le immagini del film Parthenope è solo una grande e deleteria menzogna. Perché questo regista non ne sa niente della vera religiosità».

E la figura femminile in quanto tale?

Una figura offesa, che usa ogni mezzo per raggiungere qualsiasi obiettivo, una immagine deleteria e bassa di ricerca di soddisfazioni primitive».

Che cosa le resta, dunque, dopo averlo visto?

«Quello che resta a chi ama Napoli, lo ripeto, tanto disgusto per questa pellicola. Io ho detto, uscendo dal cinema: non so se usare lamette o candeggina… Suscita sentimenti deprimenti e il desiderio di cancellare al più presto anche il ricordo di ciò a cui si è assistito».

«Il film presenta una visione della religione troppo personale e distante dalla sensibilità comune», ha detto Pierluigi Sanfelice di Bagnoli, componente della Deputazione di San Gennaro, proprietaria della Cappella del Tesoro del Santo, che custodisce la tradizione del culto del patrono della città. «Io vivo la mia fede attraverso una sorta di ‘età poetica’ – ha aggiunto Sanfelice di Bagnoli – che trovo più rispettosa dell’anima di Napoli. Sorrentino sembra ignorare la profondità spirituale che permea la nostra città, scegliendo un approccio incomprensibile per chi vive questi simboli con devozione».

Stefania Martuscelli, ricercatrice del CNR e figlia di un altro componente della Deputazione di San Gennaro, ha inviato una lettera aperta ai media, rivolgendosi idealmente alla figura di Partenope. «Ti scrivo a nome di Partenope, ma non di quella di Paolo Sorrentino, bensì della Partenope millenaria e sempre giovane, sirena nata dalle acque del nostro incantevole golfo». Per la studiosa, il regista descrive la Napoli del film come «sfocata e tormentata» e priva di rispetto verso la storia e le tradizioni che sono «l’anima della città». «Il simbolo di San Gennaro viene profanato – aggiunge – in un modo che giudico offensivo per i credenti e per chi sente Napoli come parte di sé». 

«Questo film – dice la prof.ssa Nicla Cesaro, di UNA VOCE-Napoli – piuttosto che un omaggio alla città, che si appresta a celebrare i suoi 2500 anni, è una espressione della sottocultura woke dei radical-chic. Dalla rappresentazione caricaturale e morbosa del culto di San Gennaro e delle gerarchie ecclesiastiche, ai rapporti omosessuali e incestuosi della protagonista Partenope, emerge l’universo estetico corrotto e sordido nel quale si specchia una sinistra che è incapace di concepire il bello e la purezza».

 Rosa Benigno

fonte

Parthenope, un film che offende la Chiesa e la città di Napoli – di Rosa Benigno | Corrispondenza romana

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