PERCHE’ LA BANDIERA SICILIANA E’ GIALLOROSSA?
Il giallo, colore dell’oro, può indicare il grano di Sicilia o la luce del sole che splende sull’isola.
Il rosso simboleggia il sangue versato dai siciliani con le guerre del Vespro.
Il 3 aprile 1282 essa fu adottata a seguito del patto di confederazione stipulato da ventinove rappresentanti di Palermo e Corleone, le prime città a ribellarsi alla dominazione francese (angioina), Palermo ci mise il rosso e Corleone il giallo. Ecco come scaturisce la composizione cromatica della bandiera con la scritta “Antudo!”, la parola d’ordine usata dai rivoltosi in chiave anti-francese e derivata dall’acronimo del motto latino Animus Tuus Dominus (“il coraggio è il tuo signore”).
I Vespri siciliani scoppiarono a Palermo, sul sagrato della chiesa del Santo Spirito, all’ora dei vespri del lunedì dell’Angelo di quello stesso 1282.
Si tratta di un riferimento storico fondamentale, perché è proprio dai Vespri del XIII secolo che nasce il vessillo siciliano. Una bandiera, con al centro la Triscele, creata dal basso, dal popolo, non da imperatori o sovrani.
Dopo la morte di Corrado, la caduta di Manfredi a Benevento e la decapitazione, il 29 ottobre 1268 a Napoli, dell’ultimo pretendente svevo Corradino, la Sicilia era finita definitivamente in mano a Carlo I d’Angiò. La Trinacria, che era per tradizione una roccaforte sveva, aveva resistito ancora qualche anno dopo la scomparsa di Corradino. Ed era diventata oggetto delle rappresaglie angioine. Il governo francese era particolarmente opprimente sul piano fiscale e restrittivo dal punto di vista delle libertà baronali. Persino Dante, che nel 1282 aveva solo diciasette anni, indicherà nell’VIII canto del Paradiso come “Mala Segnoria” il governo angioino in Sicilia, che spesso si abbandonava a violenze, abusi, usurpazioni.
Tornando a Palermo e alla scintilla del vespro del lunedì dell’Angelo, essa fu scatenata dal comportamento tracotante di un soldato francese, un certo Drouet, che si rivolse in maniera insolente nei confronti di una giovane nobildonna palermitana accompagnata dal consorte, il militare mise le mani addosso con la scusa di doverla perquisire. Il marito reagì, riusci a sottrarre la spada a Drouet e lo uccise.
A quel punto scattò l’insurrezione, che proseguì per tutta la notte. I palermitani si scatenarono in una “caccia al francese” e poi la rivolta dilagò in tutta l’isola, trasformandosi in una carneficina, un massacro di esponenti angioini, che alla fine saranno espulsi dalla Sicilia. I pochi sopravvissuti la fecero franca rifugiandosi sulle loro navi, attraccate lungo il litorale, o in alcune roccaforti interne, come la città di Sperlinga.
La ribellione diverrà presto rivoluzione e darà avvio alle “guerre del Vespro” per il controllo dell’isola, che si chiuderanno in modo definitivo con il trattato di Avignone del 1372.
A quel punto sarà segnato il distacco tra Regno di Napoli (nato con la precedente Pace di Caltabellotta) e Regno di Sicilia, cui seguirà la riunificazione (Regno delle Due Sicilie) sotto il totale controllo borbonico solo nel 1816, con Ferdinando I del Regno delle Due Sicilie…
(…egli prima dell’unione giuridica conservava nella sua persona due titoli: Ferdinando IV a Napoli e III in Sicilia… da allora la famosa satira popolare “Fosti quarto, fosti terzo, or t’intitoli primiero, ma, se seguita lo scherzo, finirai con l’essere zero”.
I ciciri…
Si racconta che in quella fase storica i siciliani, per individuare gli angioini che si mimetizzavano fra la gente comune, mostrassero loro dei ceci…
ciciri nella lingua siciliana, chiedendo di pronunciarne il nome. Coloro che ripetevano il termine con una dizione francese (“scisciri”), venivano immediatamente eliminati.
Naturalmente, i moti popolari non avrebbero raggiunto i risultati sperati senza la regia occulta dei nobili siciliani, stanchi dell’oppressione angioina non meno della gente comune. I principali organizzatori furono Enrico Ventimiglia, conte di Geraci, Giovanni da Procida, medico di Federico II…
Palmiero Abate, dominus di Trapani e Favignana, Gualtiero da Caltagirone, signore di Butera e Gulfi…
e soprattutto il celebre Alaimo da Lentini, signore di Ficarra, che dapprima congiurò con Manfredi e gli Svevi, sostenne Carlo D’Angiò e poi, pur contribuendo alla caduta degli angioini, fu condannato a morte e ucciso dagli aragonesi, che lo annegarono davanti alle coste siciliane dopo averlo buttato in mare dalla nave che proprio dall’Aragona lo stava riportando sull’isola.
Articolo di Ulisse Vega con modifiche e aggiunte varie…
fonte testo e foto
blog.siciliastoriaemito