PERCHÉ NON BISOGNA CELEBRARE GARIBALDI
Nel corso dei festeggiamenti che ebbero luogo nel 2011, per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Giuseppe Garibaldi fu diffusamente celebrato quale «padre della patria», in piena sintonia con la vulgata risorgimentalista che lo ha qualificato come «eroe dei due mondi».
Al contrario, la oramai cospicua letteratura revisionista ci rivela che questo personaggio tutto era, tranne che un eroe!
Infatti, non tutti sanno che:
– nel 1834, il Governo piemontese, con il quale in seguito egli collaborerà (guidando la spedizione dei mille) per l’invasione del Regno delle Due Sicilie, lo aveva dichiarato «bandito di primo catalogo», con la condanna in contumacia alla «pena di morte ignominiosa come nemico della patria e dello Stato»;
– era un “pezzo grosso” della Massoneria: la sua carriera di “frammassone”, incominciata nel 1844, a Montevideo, laddove ricevette l’iniziazione, culminò nel 1862, a Torino, con il raggiungimento del 33° grado (il più elevato!);
– era un avventuriero, con tanto di «patente da corsaro», dedito ad atti di pirateria;
– in Sud America non combatté per la libertà delle popolazioni del Rio de la Plata, ma per favorire gli interessi commerciali inglesi: assaliva le navi non britanniche e le depredava;
– i suoi marinai si abbandonavano a razzie e violenze (memorabile fu il saccheggio della città fluviale argentina di Colonia), suscitando un risentimento che dura ancora oggi;
– l’indignazione dei popoli dell’America del Sud, tuttora viva, è racchiusa in un emblematico articolo apparso su Il Pais (un quotidiano argentino che giornalmente vende circa 300.000 copie), alla pagina 6 del numero pubblicato il 27 luglio 1995, in occasione della visita in Argentina del Presidente italiano Oscar Luigi Scalfaro: «Il presidente d’Italia è stato nostro illustre visitante… Disgraziatamente, in un momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dottor Scalfaro che il suo compatriota (Garibaldi) non ha lottato per la libertà di queste nazioni come (Scalfaro) afferma. Piuttosto il contrario»;
– è stato un mercante di schiavi cinesi tra Macao ed il Cile (il suo armatore Pietro De Negri diceva che glieli portava belli grassi e in buona salute);
– aveva un orecchio mozzato, pena corporale questa che in Sud America veniva inflitta ai ladri di cavalli ed agli stupratori;
– commissionò l’assassinio di Manuel Duarte, suo rivale in amore, perché legittimo marito di Anita; con qualche rimorso postumo, il “generalissimo”, nelle sue memorie, ammettendo le proprie responsabilità, sentenziò al riguardo: «Se vi fu colpa, io l’ebbi intera, e… vi fu colpa!»;
– il 7 agosto 1847 scrisse di essere disposto a «… servire il Papa, il Duca, il demonio, basta che fosse italiano e ci dasse [sic!] del pane»; la sua istanza di arruolamento nell’esercito pontificio fu tuttavia rigettata, perché giudicato non idoneo al comando di truppe regolari;
– sembra che abbia “aiutato” Anita, febbricitante ed in avanzato stato di gravidanza, a lasciare questo mondo. Infatti, permangono forti sospetti (nutriti dalla polizia papalina, che intervenne sul luogo ove fu ritrovato il cadavere della donna) che sia stato proprio Garibaldi a strangolarla e ad abbandonarla nelle paludi romagnole, per poter scappare più celermente, in quanto inseguito dalle truppe austriache e dalla polizia pontificia;
– lo sbarco a Marsala e la conseguente invasione del Regno delle Due Sicilie può, a pieno titolo, definirsi come un «gravissimo atto di pirateria internazionale», perché perpetrato nel totale dispregio di ogni più elementare norma di Diritto Internazionale, prima fra tutte quella che garantisce il diritto all’autodeterminazione dei popoli;
– fu il mandante dell’eccidio di Bronte, dove fece fucilare, per mano di Nino Bixio, i contadini che avevano osato “usurpare” le terre (da lui stesso promesse a quei disgraziati) che erano di proprietà degli inglesi. L’eccidio di Bronte è stato narrato, con dovizia di particolari, dal garibaldino Cesare Abba, nel suo libro Da Quarto al Volturno;
– l’arrivo di Garibaldi nel Sud d’Italia costituì il vero spartiacque nella storia e nell’evoluzione della Mafia e della Camorra. Queste organizzazioni criminali meridionali, nel 1860 grazie a lui, entrarono a pieno titolo nella vita sociale, economica e politica dello Stato, trasformando la loro caratteristica: da parassitarie, divennero imprenditoriali e politiche;
– la tanto celebrata (sempre dalla vulgata risorgimentalista) vittoria di Calatafimi non fu conseguita sul campo, bensì fu letteralmente “comprata” da Giuseppe Garibaldi, il quale aveva già provveduto a corrompere il generale borbonico Francesco Landi. Questo non trascurabile particolare spiega anche l’ostentata sicurezza con la quale il Nizzardo, al suggerimento del suo luogotenente di far ripiegare in ritirata le “camicie rosse”, affermò: «Bixio, qui si fa l’Italia o si muore», in quanto il cosiddetto eroe dei due mondi era ben sicuro di… non morire!
– quando Garibaldi entrò a Palermo, saccheggiò il Banco di Sicilia, appropriandosi di ben cinque milioni di ducati [pari a circa 250 milioni di euro, n.d.r.], come fece saccheggiare tutte le chiese e tutto quanto trovava sulla sua strada;
– la stagione garibaldina a Napoli può essere considerata come «la più grande rapina della storia italiana moderna», che vide coinvolte le ricchezze contenute nelle banche, nei musei, nelle regge, negli arsenali e anche nelle casse private di molti cittadini;
– lo stesso Vittorio Emanuele II, dopo l’incontro di Teano, così scrisse a Cavour: «…come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene, siatene certo, questo personaggio non è affatto docile, né così onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il danaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di canaglie, ne ha eseguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa»;
– erano bastati, infatti, appena sessanta giorni di dittatura garibaldina per distruggere le floride finanze e l’economia del Regno delle Due Sicilie: nel giro di due mesi le casse dello Stato napoletano vennero letteralmente vuotate. A tale proposito, il colonnello garibaldino della Legione ungherese, Fidel Kupa, rivelò nei seguenti termini alcuni vergognosi dettagli di vere e proprie rapine a mano armata: «…occorrendo denari ed essendosi detto che in cassa delle finanze non se ne trovava, Garibaldi ordinò che si intimasse ai banchieri di somministrarne sotto minaccia di fucilazione se ricusassero; a questo modo venne uno de’ primi banchieri di Napoli e sborsò uno o due milioni». Mai, nel corso della sua millenaria storia, l’Italia aveva visto ladrocini simili a quelli che si ebbero a Napoli durante il periodo garibaldino;
– Francesco Guglianetti, segretario generale agli interni del governo sabaudo scrisse di aver saputo «da persona autorevole che parecchi, partiti miserabili, sono ritornati colla camicia rossa e colle tasche piene di biglietti di mille lire»;
– Garibaldi stesso, il giorno 5 dicembre 1861, in pieno Parlamento a Torino, definì i suoi famigerati Mille: «Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e, tranne poche eccezioni, con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto»;
– il massone Pietro Borrelli, firmandosi con lo pseudonimo di Flaminio, nell’ottobre 1882, sulla rivista tedesca Deutsche Rundschau, scrisse: «Non si deve lasciar credere in Europa che l’unità italiana, per realizzarsi, avea bisogno d’una nullità intellettuale come Garibaldi. Gli iniziati sanno che tutta la rivoluzione in Sicilia fu fatta da Cavour, i cui emissari militari, vestiti da merciaiuoli girovaghi, percorrevano l’isola e compravano a prezzo d’oro le persone più influenti»;
– lo stesso Garibaldi, in un momento di sincerità, nel 1868, scrisse all’attrice Adelaide Cairoli: «Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili […] non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio». Queste tardive esternazioni, quantunque costituiscano le tipiche «lacrime di coccodrillo», sono da ritenersi estremamente significative, proprio perché provenienti dal principale artefice dei disastri provocati al Sud, in conseguenza della sua «piratesca impresa»;
– inoltre, dichiarò: «Quando i posteri esamineranno gli atti del Governo e del Parlamento italiano durante il risorgimento, vi troveranno cose da cloaca»;
– infine, deluso e disgustato da quelli che erano stati i risultati della cosiddetta unità d’Italia, nel 1880, così disse: «Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa miserabile all’interno e umiliata all’estero ed in preda alla parte peggiore della nazione»;
Sulla base di ciò che è stato detto, possiamo quindi affermare che coloro che celebrano Giuseppe Garibaldi, nonché il c.d. risorgimento nella sua interezza, sono nemici del Sud d’Italia e del suo Popolo, e che qualsivoglia rievocazione di questo personaggio e di quegli avvenimenti è quanto mai inopportuna ed antistorica. Infine, credo che, alla luce degli inoppugnabili dati storici innanzi riportati, il nome di questo indegno personaggio debba essere cancellato da strade, piazze, musei ed edifici pubblici d’Italia (o, quantomeno, del nostro Sud!) e che debbano essere immancabilmente rimossi i monumenti, le statue e le lapidi commemorative a costui immeritatamente dedicati.
Telese Terme, settembre 2016.
Dott. Sterlicchio,
avendo la sua mail le invierei una testimonianza storica ancora presente sui monti della Maiella.
Cordialità
Rocco Mastrocola – Pescara