Alta Terra di Lavoro

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Pesca all’alalunga (1835-1852)

Posted by on Ott 16, 2022

Pesca all’alalunga (1835-1852)

Sapevi che la legislazione sulla pesca del Regno delle Due Sicilie si è interessata anche dell’alalunga. Così accadde, in effetti, sotto Ferdinando II. Che si occupò della predetta specie di tonno in due occasioni. La prima volta nel maggio 1835, nell’ambito di un decreto teso a disciplinare divieti e contravvenzioni in materia di pesca nei domini oltre il Faro.

Con il quale, oltre a proibire l’utilizzazione delle paranze e paranzelle napoletane, della ravistanella come della tratticella ad orse serrate, delle sciabiche come degli sciabiconi (ma solo dalla metà di aprile alla metà di luglio), nonché l’uso di esche avvelenate (con tasso o ferrazzuolo, titimolo o camarrone, noce vomica, fungo di levante, pomo terragno o pan terreno o pan porcino), intese porre il divieto di pesca con le alalungare, lunghe reti mobili per catturare – appunto – le alalunghe, tra il primo aprile e la fine di settembre di ogni anno. Periodo nel quale era anche vietato semplicemente traportarle, per mezzo di imbarcazioni, da un luogo all’altro. Unica eccezione era prevista per gli abitanti di Ustica. Che potevano utilizzare le alalungare tutto l’anno, sia pure soltanto nel mare che bagna la circonferenza di quell’isola e non oltre tre miglia dalla costa. Tale divieto fu revocato, per la sola Sicilia, nel maggio 1852. Allorché il medesimo sovrano, volendo abrogare norme che, come nel caso specifico, nuocevano ad una classe numerosa di persone che per lo innanti viveva prestando la sua opera in quell’industria, con apposito decreto dichiarò libera la pesca delle alalunghe con gli ordegni detti alalungare.

Liberalizzare la pesca del corallo (1856)

Sapevi che Ferdinando II intese favorire la pesca del corallo in diverse aree del Mediterraneo esercitata dalle imbarcazioni battenti bandiera del Regno delle Due Sicilie. Così, in effetti, stabilì, con un decreto del gennaio 1856, con il quale veniva approvato un regolamento costituito di 28 articoli. In sostanza, esso liberalizzava l’entrata e l’uscita dei pescherecci corallini, qualunque fosse la destinazione. Ogni barca, che non poteva avere più di 14 uomini d’equipaggio, doveva essere ben munita di provviste da bocca (biscotti, paste lavorate, patate, legumi, olio, lardo, segale) e di attrezzi utili (canapa lavorata per reti e funi; remi). Il responsabile dell’imbarcazione, che doveva recare sui documenti la dizione di padrone di pesca di corallo, doveva avere almeno 21 anni e vantare un’esperienza quinquennale nel settore. L’esercizio della pesca era disciplinato per i mari della Corsica, della Sardegna, delle Isole Jonie, delle coste d’Africa, della Romagna, oltre a quelli del Regno duosiciliano. Al fine di evitare tensioni e risse, un’imbarcazione non poteva accostarsi a pescare nello stesso scoglio corallino ove si trovasse un’altra barca o dove questa avesse lasciato il segno di occupazione (detto pedagno), ma doveva tenersi ad una distanza di almeno 100 passi da tutti i lati.

Muli fiscali (1859)

Sapevi che negli ultimi anni del Regno delle Due Sicilie si diffuse la preoccupazione che la diminuzione dei muli potesse creare problemi all’economia e alla sicurezza nazionale, per via dell’utilizzazione che di questi animali si faceva sia nell’agricoltura che nell’esercito. Fu per tale ragione, in effetti, che Francesco II firmò a Portici, nell’ottobre 1859, un apposito decreto. Con il quale stabilì un dazio, pari a 30 ducati, per ogni mulo o mula che fosse oggetto di esportazione.

fonte

http://decretiamo.blogspot.com/2010/03/muli-fiscali-1859.html

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