Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Piedimonte Matese, feudale.

Posted by on Ago 2, 2018

Piedimonte Matese, feudale.

Anzitutto, che cosa era un feudo? Non era una proprietà privata, che se ne potesse fare quel che se ne voleva. Era un beneficio, cioè una terra data in godimento, e perciò non divisibile o vendibile. Al beneficio era legato il vassallaggio, cioè i doveri verso chi l’aveva concesso, e che si manifestava con l’omaggio (farsi uomo di, stare a disposizione di). Si aggiungeva un terzo carattere: l’immunità, esenzione dalla legge ordinaria. 

Fin qui il feudo interessava solo per l’aspetto economico-sociale, ma quando vi si aggiunse l’amministrazione dei borghi e il potere giudiziario, interessò anche per l’aspetto politico. Il Regno si ridusse a un plesso di signorie, rette da baroni, fra i quali il Re era il primus interpares. Coi Normanni, da noi fu stabilita la gerarchia feudale in contee e baronie, e cavalieri o milites erano i titolari di piccoli feudi. Il feudo aveva un valore economico che veniva espresso in termini militari: quanti uomini può fornire?
Il minimo di un feudo era il mantenimento di un cavaliere corazzato, detto alla greca catafratto, con uno o due scudieri. Ci volevano, come dicono gli studiosi di diritto feudale, 20 once d’oro, cioè 120 ducati, cioè L. 510 oro (1861), oltre 3.000.000 di lire di (1979).
La prima notizia riguardante il feudo di Piedimonte appare dal Catalogo dei baroni, pubblicato dal Borrelli e da altri. Eccola: “Novellonus de Bussono, sicut ipse dixit, demanium suum de Ciperano est feudum X militum, et de Alsacunda feudum III militum, et de Parano feudum V militum, et de Pede-Montis feudum II militum, et de Penta feudum II militum, et Quarteria Sancti Johannis feudum I militis”.
Il feudo di Piedimonte valeva due militi, e cioè il prezzo di 40 once d’oro, 240 ducati, L. 1020 valore 1861, 6.500.000 di lire (1979) di rendita annua.
Anzitutto chi erano i de Bussono? Erano Normanni, de Busson o Buchon, dato che li troviamo tradotti anche in Buscione. Erano venuti con gli Altavilla, ma è difficile dire da quanto tempo possedessero Piedimonte. Certo Novellone non fu il primo signore di Piedimonte, e a questo punto è stato osservato che se la potente famiglia de Buchon aveva possessi in Prata e in Alife per tutto il secolo XII, è chiaro che essa dominava sul posto fin dal sec. XI. Leggiamo, per la parte a lui riguardante, nel testo dato dal Borrelli, che Novellone dichiarò essere il suo demanio di Ciperano un feudo di 10 militi, quello di Alsacauda di 3, quello di Parano di 5, quello di Piedimonte di 2, quello di Penta di 2, e quello del Quartiere di S. Giovanni di 1. In complesso 23 militi che facevano parte del suo demanio, e con l’aumento, altri 27. Tra quelli del feudo e dell’aumento: militi 50 e serventi 60. (Novellonus de Bussono, sicut ipse dixit, demanium suum de Ciperano est feudum X militum, et de Alsacunda feudum III militum, et de Parano feudum V militum, et de Pede-Montis feudum II militum, et de Penta feudum II militum, et Quarteria Sancti Johannis feudum I militis. Una sunt de demanio suo XXIII milites, et augmentum eius sunt milites XXVII. Una inter feudum, et augmentum sui demani; milites L et serrienies LX).
Rileviamo che il Novellone si trovava già in feudato di Piedimonte sotto il regno di Guglielmo II, cioè al tempo in cui costui volendo concorrere all’impresa stabilita da Gregorio VIII per la ricuperazione di Terrasanta, chiese a questo fine, ai Baroni del regno, il servizio duplicato dei loro feudi. Piedimonte, adunque, concorse alla terza crociata (1189-1192) con dodici militari a cavallo, oltre i servienti, crociata che fu diretta da Federico Barbarossa, da Filippo Augusto II di Francia, e da Riccardo I Cuor di Leone.
Cosicché possiamo stabilire che l’infeudazione di Piedimonte in Novellone de Bussono si dovette verificare verso l’anno 1168, nella maggiore età di Guglielmo II, e si protrasse fino all’anno 1189, epoca in cui egli si trovò in Terrasanta, donde, a quanto pare, non fece più ritorno. Forse rientrò nel suo dominio al termine della crociata, ma su ciò le cronache non serbano tracce. Non è improbabile che il Novellone fosse stato privato del feudo quando – morto Guglielmo II nel novembre 1189 – divenne erede del Trono, Costanza, figlia postuma di Ruggiero II, la quale sposò l’Imperatore Enrico VI, figlio di Barbarossa, e dal loro matrimonio nacque il famoso Federico II.
Rileviamo ancora che il nostro Novellone teneva in Alife un feudo del valore di un milite, com’è riportato nello stesso Catalogo dei Baroni, al cui dominio vi era un suo congiunto: Guismondo de Bussono. E poiché rinveniamo anche un Arnaldo de Buscione (Bussono), figlio di Oddone, nell’anno 1100, presente in un memoratorio riguardante il Monastero di S. Maria in Cingla di Ailano – come appare da una carta Actu Alife loco Prata anno ab Inc. MC mense Augusti VIII Ind., riportata dal Di Meo – deduciamo che il feudo di Piedimonte si possedesse già dalla Casa de Bussono verso la seconda metà del Sec. XI. Altro non si può dire[1].
E’ una prova dell’autonomia di Piedimonte da quest’epoca, ma sarebbe stato interessante sapere se i de Buchon erano vassalli del potente conte di Alife di casa Drengot o della Corona, e che posizione oscillante abbia avuto Piedimonte durante la decennale guerra civile fra Ruggero II e Rainulfo di Alife.
Altra riflessione è da farsi sul « quarteria S. Johannis» del Catalogo dei Baroni. A che si riferisce? Vi si considera Piedimonte-terra distinta dal quartiere alto? Nulla può dirsi di sicuro. 

La casa Schweinspeunt
In seguito alla morte di Riccardo d’Aquino partigiano di Tancredi – morte avvenuta per condanna della Curia generale di Capua – Diopoldo di Schweinspeunt divenne Conte di Acerra, ricevendo da Enrico VI la dignità e i beni del condannato, ai quali si aggiunsero, in seguito, la contea di Alife col feudo di Piedimonte, di cui lo troviamo in possesso nell’anno 1205.
Quanto fossero tempestose le vicende di Diopoldo allorché morì l’imperatrice Costanza, ce lo affermano le Cronache di Riccardo di S. Germano e di S. Maria della Ferrara, nonché le ultime conclusioni dell’Huillard. Ambiziosissimo – dice lo Scandone – divenne il principale fautore del Gran Cancelliere Marcoaldo di Annweiler, che tentava impadronirsi del potere. Vani però riuscirono per Diopoldo questi disegni, perché gli costarono la perdita della libertà. Infatti, un primo tentativo contro le terre di Montecassino, per invadere lo Stato Pontificio, andò fallito. Vinto, rimase prigioniero di Guglielmo Sanseverino, Conte di Caserta.
Morto costui, venne liberato dall’omonimo successore, cui Diopoldo dette in sposa una sua figliuola. Anche il papa lo liberò dalla scomunica previa promessa di non riprendere le armi contro di lui. Ma ricominciando a scorazzare per il regno, fu nuovamente scomunicato. Sconfitto dai partigiani del papa in Terra di Lavoro, combatté con varia fortuna, subendo, nel 1201, uno scacco presso Capua da Gualtiero di Brienne, e nell’anno seguente una nuova sconfitta in Puglia, ove venne fatto prigioniero e rinchiuso nel castello di S. Agata. Fuggito, ritornò in Terra di Lavoro unendosi a Marcoaldo; ma rottosi, poi, anche con costui, lo assalì presso San Germano. Nel 1204 si scontrò nuovamente con Gualtiero di Brienne a Salerno ove fu sconfitto. Ma nel giugno 1205, riordinate le sue forze, sorprese e catturò a Sarno il Brienne, che morì di crepacuore. Allora il papa si riconciliò con lui, e in questo tempo ebbe in possesso, come abbiamo detto, Alife e Piedimonte.
Nel 1207 fu per breve tempo in suo potere il piccolo Federico II e la custodia del palazzo reale di Palermo. Rimasto potente sin dopo la dichiarazione di età maggiore di Federico, si diede completamente ad Ottone IV, che, incoronato imperatore a Roma nel 1209, moveva alla conquista del regno.
In cambio di Salerno e di tutti i Castelli che possedeva nelle nostre province gli fu dato, nel 1210, il ducato di Spoleto. In tale epoca Ottone IV s’impadronì di Terra di Lavoro, ma non vi rimase a lungo, perché il papa, indignato contro di lui che non aveva rispettata la promessa di lasciare in pace Federico II, lo scomunicò, e Ottone dové ritirarsi, dopo la sconfitta patita nel 1214 da parte di Federico e di Filippo Augusto di Francia.
Ristabilitasi l’autorità dell’Imperatore, il Diopoldo, legato a filo doppio con i nemici della Casa di Svevia, tentò rientrare nel regno nel 1216, ma riconosciuto a Roma, venne tratto in prigione. Liberatosi per denaro, come afferma lo Scandone, varcò il confine l’anno seguente per riaccendere la fiaccola della guerra civile. Ma nel 1218 venne arrestato da Giacomo Sanseverino, conte di Avellino, e rimase in carcere fino al principio del 1221, quando Federico II, rientrato nel regno, si fece restituire le città di Alife e Caiazzo, occupate da Siegfrid, fratello di Diopoldo.
In questa narrazione non abbiamo notato dei particolari di un certo rilievo sulle vicende della contea alifana e quindi del feudo di Piedimonte, e cioè che Diopoldo tenne la contea stessa soltanto per poco tempo, poiché nel medesimo anno 1205, epoca in cui egli viene in possesso delle nostre Terre, « il Conte Pietro di Celano – come dice il Capecelatro che attinge da Riccardo di Sangermano – presa intanto Alife, ed assediato strettamente il castello, come udì la rovina e la morte del conte Gualtieri, lasciata libera la rocca, e posto fuoco alla Terra, incontanente di là si partì».
Che Diopoldo tenne per poco tempo la contea ed il nostro feudo, lo dimostra il fatto che nel 1206 la prima passò ad Enrico Caetani, il quale come risulta da analogo documento, viene chiamato da Federico II «miles dilectus frater Petri Caetani Comitis Alifiæ ». Ma ne prese possesso il Caetani? Ne ebbe l’investitura? A noi non sembra che ciò si sia verificato anche perché le fonti archivistiche sono mute al riguardo.
Rileviamo ancora che nel 1221 Alife, Caiazzo e Piedimonte si trovano occupate da Siegfrid di Schweinspeunt, fratello di Diopoldo, mentre nel 1210 costui aveva già ceduti i suoi castelli ad Ottone IV per il ducato di Spoleto, e che lo stesso Ottone si ritirò nel 1214 dopo la sconfitta subita. In questo groviglio di fatti e di date, possiamo uscirne deducendo che Ottone IV, avuto il possesso di Terra di Lavoro, tenne dei presidi in Alife e in Piedimonte, comandati dallo stesso Siegfrid, il quale – anche dopo la partenza di Ottone per la Germania – seguitò a tenere in possesso le nostre contrade per secondare le mire del germano Diopoldo.
(fonte: Raffaele Marrocco, Memorie storiche di Piedimonte d’Alife – Ed. “La Bodoniana”, Piedimonte d’Alife, 1926)

La casa d’Aquino
Questa illustre famiglia di guerrieri e di santi non è normanna, ma longobarda. Preesisteva dunque alla Monarchia, cui si dovette curvare ma poi subito s’affezionò. Era vecchia nobiltà, perciò seguiva con fedeltà e onore la Corona.
Fieramente ghibellina con gli Svevi, al ritorno di Federico II, per l’intelligenza del conte Tommaso I, Gr. Giustiziere del Regno, riebbe le terre perdute circa 20 anni prima. Fra l’altro riebbe Alife, Ailano, Piedimonte, tutte fra il 1223-27. Ma l’Imperatore era in lotta col papa e la Casa aquinese era con l’imperatore. Da ciò la scorribanda dell’esercito papale nelle sue terre nel 1229. Tommaso I morì il 27 febbraio 1251. Gli era morto il figlio Atenulfo, per cui gli successe nelle sue numerose signorie il nipote Tomaso II.
Questo giovane sposò nel 1247 Margherita, figlia naturale di Federico II. Ma ormai Casa Sveva declinava, ed egli « cognato» di Corrado IV e di Manfredo, aderì, subito dopo la morte del nonno, al partito guelfo, diretto allora da Papa Innocenzo IV. Il mutamento non dovette essere però clamoroso e totale, perché egli durò nei suoi feudi, che lasciò in parte al nipote Federico, quando ci fu il secondo mutamento di dinastia, dopo la battaglia di Benevento.
Federico fu signore di Piedimonte per circa sei anni, dal 1263 al ’69. Quel che avevano fatto gli Svevi, lo fecero adesso gli Angioini.
Sostituirono i signori di origine germanica con altri di origine francese, premiando fra l’altro i propri cavalieri che avevano combattuto per la conquista del Regno.

Il Cavaliere francese
A seguito delle persecuzioni cui vennero fatti segno Tommaso e Federico d’Aquino, specialmente dal Fisco che mosse loro aspra lite, il feudo di Piedimonte venne donato da Carlo d’Angiò al milite Simone de Arguth. Tale donazione – riportata dal Ricca nell’anno 1270, e secondo un notamento del De Lellis nel registro angioino, nel 1271 – avvenne invece nel 1269, com’è detto nel Liber concessionum del citato anno (fol. 15 della Cancelleria angioina).
Chi mai sia stato questo Simone, non ci è dato saperlo, anche perché i nostri cronisti non ne hanno mai parlato. Sappiamo solo che appartenne ad una nobile famiglia francese e che fu uno dei baroni venuti al seguito di Carlo d’Angiò. Ci è ugualmente noto, come risulta dal registro angioino, che Marco di Maddaloni, agrimensore presso il Consiglio razionale, venne nel 1271 incaricato, fra l’altro, d’inquirere sui diritti e le rendite di Ailano e di Piedimonte, concessi al de Arguth.
(fonte: Raffaele Marrocco, Memorie storiche di Piedimonte d’Alife – Ed. “La Bodoniana”, Piedimonte d’Alife, 1926)

La casa di Leonessa
Anche questa famiglia, detta pure Lagonessa, era antica e preesisteva ai Normanni. Sembra di origine gota, ma forse deve intendersi longobarda. Dominò in Abruzzo e in Campania, ebbe zecca propria e importanti prerogative. Con alcuni di essi per la prima volta i signori cominciarono a risiedere nel nostro piccolo borgo.
Giovanni della Leonessa fu il primo signore di questa famiglia. Piedimonte gli appartenne dal 1280. Certo il piccolo paese era poca cosa per le sue alte aspirazioni dato che, fedele e intelligente com’era, ebbe tutta la stima del suo Re Carlo I, e dopo, di Carlo II.
Il 26 febbraio 1266 aveva combattuto «in co’ del ponte, presso Benevento» contro Re Manfredo. Divenne Gr. Maresciallo e cioè Ministro della guerra e Capitano generale dei Balestrieri. E’ sepolto nell’Abbazia di Monte Vergine. Carlo I, suo figlio, fu a sua volta signore di Piedimonte (1289-1304). Anch’egli raggiunse alte cariche, come Gr. Siniscalea (Ministro della Real Casa), Capitano generale dei Presidi e Provveditore delle Fortezze e cioè a lui era affidata soprattutto la difesa costiera del Regno. Morì, secondo il Ciarlante, il 31 luglio 1304, ed anch’egli fu sepolto a Monte Vergine. Aveva diviso le sue terre fra i due figli. Al primo, Enrico, lasciò Airola, al secondo, Giovanni, Piedimonte.
Ma Giovanni non ebbe figli, ed alla sua morte nel 1331, di nuovo le terre furono riunite da Roberto figlio del fratello Enrico.
Roberto morì nel 1338, e gli successe nel governo di Piedimonte la vedova Caterina di Aquino, figlia di Bertrando conte di Laurito. La sua dote era stata garantita su parte delle entrate della Casa feudale, ricavate da Piedimonte: 120 once l’anno, cioè 720 ducati d’argento e cioè L. 3.060 oro (valore 1861).
Morta Caterina, a lei successe in Piedimonte nel 1341, Enrico II di Leonessa. Questi era signore di S. Martino (Valle Caudina), e cioè era esponente di un altro ramo della nobile famiglia. Da ciò la possibilità per Caterina di restare, vita natural durante, al governo di Piedimonte.
Se Enrico fosse stato invece figlio suo, sarebbe successo automaticamente a Roberto, data la legge salica vigente nella successione feudale di Piedimonte, detta pure diritto franco, jus Francorum. 
Enrico II sposò Sveva Sanseverino figlia di Roberto e pronipote di S. Tommaso d’Aquino. Il matrimonio dové avvenire prima del 1360. Quando Enrico morì, gli successe in Piedimonte il piccolo figlio Carlo II, detto Carletto. La Sveva fu donna di alti sentimenti, di profonda fede e mano munifica. Era zia del Re Carlo III d’Angiò-Durazzo, al quale deve la fondazione del convento domenicano in Piedimonte, dedicato appunto al suo grande zio, un’opera di cultura che fece uscire il piccolo borgo dall’oscurità. Forse si deve a lei la trasformazione del precedente castello in uno più grande di cui rimangono tracce. È che ormai i signori dimoravano a Piedimonte, ed è da quest’epoca che comincia l’espansione del piccolo borgo fuori la cinta fortificata. Carletto morì fanciullo. Alla madre vedova venne riconosciuto il governo a vita di Piedimonte, come era avvenuto alla morte di Roberto nel 1338.
Sveva si sposò giovanissima, e anche da vedova era ancora giovane. A morte sua Piedimonte sarebbe tornata a qualche altro ramo cadetto dei Leonessa. Se nonché la vedova, verso il 1360, sposò in seconde nozze Giacomo Gaetani ventiduenne, figlio di Nicolò, conte di Fondi. Dal matrimonio vennero sei figli, fra cui Cristoforo, Antonio ed altri. A Sveva si associò il marito Giacomo nella signoria pedemontana e Carlo III in apposito decreto (8 settembre 1383) lo riconosceva, maritali nomine, signore di Piedimonte con l’obbligo di fornire due cavalieri.

La casa Gaetani
Sveva, sempre più dedita alla religione, morì nel 1421 in Piedimonte e fu sepolta in S. Domenico. Il dominio dei Gaetani si affermò giuridicamente il 6 novembre 1418 quando la Regina Giovanna II consentì che Sveva assegnasse Piedimonte al secondogenito Cristoforo.
Il giorno prima la sovrana aveva concesso al fedele Giacomo la giurisdizione criminale col mero e misto imperio. Il 6 aprile 1420 ci conferma di ciò.
Cristoforo fu il secondo Gaetani signore di Piedimonte. Egli viveva a Fondi e a Napoli, e si dedicò ad una splendida carriera. Fu Giustiziere di Terra di Lavoro e Molise nel 1402  e in quell’anno ereditò Morcone dalla madre, e Governatore dell’Abruzzo (1419). Ebbe il grado di Maresciallo e capitano d’armi nella guerra in Puglia. Il 24 giugno comanda Roma ed è fra i cittadini perpetui del Comune di Firenze. Suo fratello Antonio fu il 78° patriarca di Aquileja, il più ricco prelato italiano dopo il papa, e poi fu cardinale e vescovo di Palestrina, e morì l’11 gennaio 1412.
Cristoforo morì il 9 maggio 1441 a Fondi; erede universale, Onorato, al quale, il 6 Ottobre 1437, già aveva donato i suoi diritti su Piedimonte. Nel testamento (31 agosto 1438) « legavit Ioco et conventui  beati Dominici de Pedemonte, pro reparatione ecclesie seu loci dicte ecclesie ducatus centum de gilliatis », 100 ducati al convento di S. Domenico di Piedimonte, dov’era sepolta sua madre. Fece pure celebrare per dodici volte 41 messe per la sua anima, sei volte a Fondi e sei a Piedimonte.
Onorato aveva avuto molti figli illegittimi, e fra essi Giordano che fu arcivescovo di Capua, e Onorato che gli successe nei feudi. Piedimonte gli fu regalata dal padre il 6 ottobre 1437, prima di morire, dato che il giovane ed ardito Onorato l’aveva riconquistata al cardinale Vitelleschi, che l’aveva occupata. La fedeltà e l’ardimento di Onorato non erano sfuggiti al nuovo sovrano Alfonso I di Aragona che succedeva agli Angioini, e il 28 febbraio 1443 i signori del Regno, riuniti al Parlamento, lo eleggevano quale sindaco presso il Re per la proclamazione dell’erede al trono. Ed eccoci al 1459, prima congiura dei signori. Fra essi il ribelle inguaribile, Marino di Marzano principe di Rossano e conte di Sessa. Costui fece i patti prima coi compagni di congiura, e voleva fra l’altro «lo contado de Fondi con tutti castella pertinente ad epso contado, Pedemonte con quelli casali che vegnono per casa Gaytana adpresso Telese, lo contado de Morcone etc.».
Il duca Giovanni di Angiò, ultimo della stirpe e pretendente al trono, nel 1459 iniziò la guerra civile contro Re Ferdinando succeduto ad Alfonso. Onorato fu fedelissimo al sovrano aragonese. La sua potenza, data la sua correttezza presso il Sovrano, cresceva sempre, e il 15 febbraio 1460, quasi a scarico di un forte prestito offerto, ebbe dal Re Alife, S. Angelo, Raviscanina, Puglianello, ecc.. Il 29 ottobre 1466 fu considerato signore del sangue e poté usare lo scudo reale. In mezzo a tutte queste soddisfazioni un dolore non poteva mancare, ed egli lo ebbe dal figlio Pier Bernardino, prima valoroso, ma poi un degenerato. Tra figlio e padre si stabilì quel che Freud chiama complesso di Cronos, un odio mortale. Bernardino si mise coi ribelli contro Re Ferdinando. Per questo, e per altro, il padre diseredò il traditore. Il figlio tentò di uccidere il padre; questi lo fece tenere in carcere dal sovrano, da dove uscì morto nel 1492.
Onorato morì il 25 aprile 1491, e lasciò Fondi e Piedimonte al nipote Onorato, figlio del diseredato.
Egli prese possesso delle sue cinque contee: Fondi, Morcone, Mugnano, Traetto (Minturno) e Trivento e delle sue 23 baronie, e acquistò Altamura nel 1506. Divenne anch’egli Gr. Protonotaro e Logotheta (Ministro di Stato, diremmo noi). Valoroso, fu alla battaglia navale di Ponza. Al figlio Baldassarre Onorato lasciò Morcone e Traetto, più una «provvisione» annua su Piedimonte.
Fedele al Re aragonese durante la seconda congiura dei baroni nel 1481, ne ebbe grandi favori, e gliene fece altrettanti. Fu lui a sposare Sancia d’Aragona, figlia naturale del principe ereditario e, quando il matrimonio fu sciolto, sposò Lucrezia d’Aragona, figlia naturale del Re Ferdinando l.
Per la dote egli poteva percepire 1000 duc. l’anno sul monopolio del sale (Dal diploma di Ferdinando I: « ... annis singulis ad tue vite de cursum prefatos mille ducatos ad rationem predictam de sale nostre curie tradendo) e 12.000 Duc. di dote. Papa Alessandro VI dette il suo consenso.

 
Piedimonte ai Colonna
Ma Onorato nipote (3° in famiglia, 2° nella successione feudale di Piedimonte) non aveva il carattere del nonno. E per la verità gli avvenimenti erano superiori alla sua volontà.
Il reame subì nel 1495 e nel 1500-04 due invasioni francesi, la prima di Carlo VIII, effimera, l’altra di Luigi XII, che durò tre anni. Venivano ad occupare il regno degli Angioini, l’ultimo dei quali, Renato, era stato scacciato da Alfonso di Aragona nel 1435.
Scesero attraverso l’Italia, e Terra di Lavoro fu la prima a cadere nelle loro mani. Proprio dove si trovavano tutti i possessi dei Gaetani. Pretesero l’omaggio e Onorato lo prestò! Fatto grave, che lo gettò nei guai. Carlo VIII andò via e Re Alfonso II gli confiscò i feudi, che dette a Prospero Colonna, suo sostenitore, il 20 maggio 1497. La sua condotta sbagliata lo gettò alla disperazione. Da un momento all’altro si trovava nella miseria, ed allora seguì il Re di Francia. Incredibile! Il parente della Casa Reale era ormai un fuoruscito, ribelle e braccato! Ai danni del nostro Federico III, leale e buono, i Francesi di Luigi XII e gli Spagnoli di Ferdinando il Cattolico si accordarono per dividersi il Regno. Onorato capitò nella parte francese, e immediatamente assalì Fondi, ne scacciò i Colonna e lo stesso fece per Piedimonte. Qui nel luglio 1501 sventolarono i gigli di Francia sul castello e sulla fortezza. Il 3 aprile 1502 Luigi XII reintegrava Onorato nei suoi feudi. Ma poi gli Spagnoli rimasero i padroni e di nuovo Onorato prese la via dell’esilio. Coi Francesi fu comandante della piazzaforte di Valenza nel Duc. di Milano. Ma le sue terre erano qui, e ne aveva nostalgia. Secondo lo storico locale D. Marrocco, Onorato si sottomise e fu perdonato e, quindi, poté tornare dopo cinque anni di esilio. Da Re Ferdinando (III come Re di Napoli) riebbe parte delle sue terre, il 21 dicembre 1506. Fondi però rimase ai Colonna. Tuttavia leggendo il Registro dei Quinternioni si appura che nella pace conseguita nell’anno 1506 fu stabilito un patto tra il Re Cattolico e il re di Francia, in forza del quale fu concluso che tutti i feudatari, che avevano tenuto le parti del detto re di Francia fossero restituiti nel possesso dei loro feudi come erano prima della guerra iniziata nel 1502, e pertanto ai Gaetani ritornarono Caivano, la terra di Morcone e quella di Piedimonte, per le quali al detto Prospero furono concessi beni in cambio dallo stesso Re. Come appare nel Registro dei Quinternioni IX, fogli 15 e 22.
Il 14 gennaio 1507, il R. Commissario Cesare Carlino restituiva Piedimonte al Procuratore di Onorato. Il fatto avvenne in mezzo a S. Domenico <<in platea ante Monasterium S. Dominici », Il Commissario fece chiamare (Ni)Colella, un Gaetani apolitico rimasto quieto quieto a Piedimonte, durante tutto questo trambusto, e che teneva le chiavi del castello. I ventiquattro deputati (consiglieri comunali) si genuflessero innanzi a chi rappresentava il Re e prestarono omaggio di fedeltà, ed egli, segnatili di croce col pollice, li baciò. Scoppiò una lunga esclamazione: <<Ragona, Ragona!», Il Commissario intimò di essere pronti – quali fedeli del Re – a giurare fedeltà a Onorato, al che <<Sindici, consilium et Universitas ad evangelia juravere». Fatto ciò il procuratore di Onorato, Francischello Piscitelli, ebbe le chiavi delle porte di Piedimonte. E allora tutti a urlare: <<Gaitana, Gaitana!» e <<Duca, Duca!», Il commissario fece fare tre copie dell’atto – una per il Re, una per Onorato e una per sé – e andò via. (Al buon Nicolella Gaetani, Onorato confermò una proprietà detta «lo Pheo de Pedemonte», consistens in domibus et possessionibus», il 15 luglio 1507.

Siamo ormai nel ‘500, e nel Vicereame. Il vero Medio Evo è finito.

Ritorna la casa Gaetani

I Gaetani hanno perduto la potenza del secolo precedente e si riducono a Piedimonte. Passato un periodo di assestamento, ci vivono e vi si affezionano. Comincia così il secondo periodo dell’amministrazione feudale, periodo che chiameremo industriale, mentre il primo è soltanto militare. Fin allora Piedimonte era stata una delle tante terre dei Gaetani, ora diventava la loro patria, la loro piccola capitale.
Stanno nell’orbita spagnuola e, sotto la bandiera di Carlo V Imperatore (IV come Re di Napoli), rinnovano la loro potenza alla battaglia di Ravenna, nel 1512.
Onorato vi combatté e sotto di lui aveva cinquanta lance, e cioè 200 uomini. Siccome erano i baroni a fornire la truppa, è chiaro che la grande maggioranza dei 200 era di Piedimonte. Il giovanissimo figlio Ferdinando vi comandava 200 cavalieri armati alla leggera, buoni per assalti improvvisi. A Pavia (1525), seconda battaglia di Onorato, al comando di 1000 cavalieri. Egli seguì Carlo V a Madrid e a lui fu affidato Re Francesco I prigioniero: <<Tutto è perduto fuor che l’onore e la vita>> il prigioniero aveva scritto.
Nel 1527 al sacco di Roma era anche egli (coi Napolitani non coi Lanzichenecchi, intendiamoci). In mezza tanta gloria, un’amarezza. Mentre i figli Luigi e Ferdinando erano con lui, proprio il primogenito Federico, ribelle al padre, combatteva assieme ai Francesi. Onorato lo diseredò, e poi, quando Lautrec fu sconfitto, seppe di lui prigioniero (1528) e decapitato! Morì nell’agosto 1528, dopo aver diviso i possessi: al secondogenito Luigi lasciò Traetto, al terzogenito Ferdinando dette Piedimonte.
Ferdinando, già dal 1544 Governatore di Capitanata, morì nel 1548. Gli successe a Piedimonte suo figlio Giovanni, che non ebbe figli da Camilla de Cardines e, qua morì nel 1557, lasciò la nostra terra al pronipote Luigi (figlio di Scipione, figlio di Luigi fratello di Ferdinando) il 5 ottobre 1563. Luigi lasciò a sua volta Piedimonte al fratello Alfonso. Fu questi che vendette Montepeloso in Basilicata e acquistò per 39000 ducati Laurenzana, su cui c’era il titolo ducale, il 24 ottobre 1606. Il viceré Herrera consentì all’acquisto. Ma Laurenzana era lontana, e fu fittata per 3315 duc. l’anno.
Successe ad Alfonso il figlio Francesco. A lui la cugina Camilla mosse lite per Piedimonte, non essendole stata ancora pagata tutta la dote. Ma ebbe torto: a Piedimonte le donne, data la successione di diritto franco, erano escluse dalla successione e la signoria fu riconosciuta a Francesco il 30 gennaio 1618. Alla sentenza si aggiunse un altro diploma di Re Filippo III, dato a Madrid, il 22 dicembre 1620. Nel ‘23 mutò Altamura con Traetto e morì nel 1624.
Suo figlio Alfonso II gli successe in Piedimonte, incrementò il patrimonio, ma più ancora pensò alla sua carriera militare. Nel 1645 divenne Maestro di Campo Generale del Re di Spagna. Militò in Fiandra e morì nel 1646 in Catalogna alla battaglia di S. Lorenzo di Cameras, contro i ribelli catalani, a soli 33 anni.

I principi di Piedimonte
Il tentativo di far elevare nel titolo la signoria pedemontana non era nuovo. Già Luigi Gaetani il 28 dicembre 1571 aveva presentato un memoriale a Filippo II di Spagna in cui, rievocando le vicende degli antenati, e ricordando promesse e privilegi avuti, supplicava che il titolo di duca di Traetto del quale ancora si valeva, venisse trasportato sulla terra di Piedimonte. Nel 1586 Luigi rinnovò la domanda, ed un ultimo tentativo fu fatto verso il 1614, dopo che i signori di Piedimonte, privi di un archivio antico, si fecero redigere da alcuni notai, copie autentiche di tutti i documenti che li riguardavano, esistenti nei registri di corte[2].
Finalmente ci riuscì Francesco II Gaetani, 2° duca di Laurenzana. Re Filippo III, con dipl. del 22 novembre 1624, elevò Altamura a principato, e dette anche anzianità dal 1506. Decisero Re Filippo le benemerenze di Casa Gaetani verso la Corona.
Francesco II morì senza figli il 1° agosto 1653 e gli successe il fratello Antonio, capitano d’armi del Re di Spagna e Gr. Giustiziere del Regno, che sposò D. Cecilia Acquaviva, la penitente di S. Giovan Giuseppe. Egli ebbe un’ambita soddisfazione dal Consiglio Collaterale il 6 ottobre 1665, quando gli si riconobbe di essere <<signore di sangue reale», sia per la parentela con casa Aragona, sia per la presenza di due papi fra gli antenati. Ad Antonio il 23 febbraio 1705 successe il figlio Nicolò che aveva sposato nel 1686 la colta Aurora Sanseverino e trasferì il 2 settembre 1715 il titolo principesco da Altamura a Piedimonte. Ebbe lungo e pacifico dominio su Piedimonte – 36 anni -, e morì 78enne, il 17 agosto 1741. Passò sotto tre sovrani, sotto Filippo V Re di Spagna fino al 1713, e fu nominato Maresciallo di campo (1707); dal ’13 al ’34 fu sotto Carlo VI Imperatore che fece città Piedimonte, e lo creò Grande di Spagna. Infatti nel 1734 l’infante D. Carlo Sebastiano venne nominato generalissimo dell’esercito di Filippo V suo padre in Italia; ed allora egli si diresse ad occupare Napoli; il 27 marzo arrivò a Montecassino: di là pervenne a Piedimonte per la via di Pietravairano, passando per la scafa di Ravescanina, onde evitare il passaggio per la piazza di Capua già presidiata dagli austriaci. In Piedimonte restò alcuni giorni alloggiato nel palazzo del duca di Laurenzana, D. Nicola Gaetani dell’ Aquila d’Aragona, gran giustiziere del Regno, e che fu uno dei primi di Napoli, che venne insignito del cordone e collana di cavaliere di S. Gennaro. L’infante D. Carlo dimorò in questo palazzo ducale vari giorni, e per molto tempo si è conservato l’appartamento con l’alcova ove dormì la prelodata A. S. R., con quel mobilio. Dal ’35 al ’41 fu sotto Carlo VII (detto III) di Borbone che lo visitò a Piedimonte, e lo volle Gentiluomo di Corte e Consigliere di Stato e Gr. Giustiziere del Regno.
Il vecchio principe era quasi venerato a Piedimonte, ove svolgeva opera di mecenate. Gli erano morti due figli, per cui adottò il fratello Francesco che però premorì a lui e la successione passò al secondogenito del fratello, Giuseppe Antonio, che dominò su Piedimonte per 41 anni, fino al 22 agosto 1782, e fu Gentiluomo di Camera di Re Ferdinando. Il patriziato di Benevento lo volle tra i suoi.
Gli successe il 1° genito Nicolò, anche egli dignitario di Corte, riconosciuto come Grande di Spagna (1796) e come Patrizio Veneto. Si liberò di ogni cura patrimoniale, dando tutto al 1° genito Onorato III (1798). Egli fu l’ultimo Gran Protonotaro del Regno, il 28 agosto 1802.
Poi venne l’invasione francese, dei sette Grandi Uffici istituiti da Re Ruggero, non si parlò più. Nella breve parentesi della Repubblica Napoletana (1799) Championnet, generale in campo dell’armata di Napoli,  divise il dipartimento del Garigliano in 15 cantoni. Al cantone di Piedimonte vi appartenevano i comuni di Vallata, Roccavecchia, Ailano, Le Curte, S. Angelo, Alife, Multri, Pietra rossa, Cusano, Spicciano, le Torelle, le Formose, Civitella, Pianoliscio, Gioia, S. Potito e Corte.
Onorato fu l’ultimo signore governante Piedimonte, dal 1798 al 1806. Come D. Nicolò, si trovò durante gli 87 anni di vita, più che sotto tre sovrani, sotto tre periodi politici diversi: l’ultimo periodo feudale fino al 1806, il regno francese fino al ’14, periodo rivoluzionario, il regno borbonico assolutista fino alla sua morte. Momenti opposti radicalmente, per cui l’oscillare tra un gruppo e l’altro era tutto un capovolgimento di programma, che doveva apparire odioso oltre che pericoloso.
Il padre era partito col Re per Palermo, e l’esilio – che onora sempre – a volte però non affronta ma evita una situazione incresciosa.
Al brillante gentiluomo e ufficiale borbonico, il Murat offrì alte cariche: Intendente della provincia di Napoli (prefetto), e Minis. di Polizia (1808). Onorato non era tristo, né aveva l’animo di un persecutore. Fu allora chiamato a Corte e fu Grande Scudiero della regina (1809-12) e Gr. Maestro di cerimonie (1813), e i maligni sussurrarono qualcosa sui suoi rapporti troppo cordiali con Maria Carolina, moglie di Gioacchino Murat. Col 1815 tutto l’edificio napoleonico cade, ritorna Ferdinando I e Onorato … è condannato a morte! Fu salvato perché figlio di quel fedelissimo Nicola, che aveva preferito l’esilio alla collaborazione, e fu mandato a Favignana, all’ergastolo. Passò la bufera, l’ex feudatario fu perdonato, e rientrò nelle grazie di Francesco I e di Ferdinando II. Fu Gentiluomo, Accademico, e nientemeno Viceré di Sicilia. Ma, siamo lì. Onorato tentò di attuare un suo personale metodo di governo che non fu capito e fu perciò avversato. Non la sottomissione della Sicilia a Napoli, come voleva Corte, né autonomia completa come volevano i signori siciliani. Egli voleva solo una distinzione reale di governo, senza i ministri di Napoli.
Nel 1841 ricevette a Piedimonte Re Ferdinando II, e il 28 settembre 1857 moriva. Con lui era finito il potere feudale.

 

[1] I documenti riportati negli Annali critico-diplomatici di Alessandro di Meo, si spingono fino all’anno 1100.
[2] Tranne poche pergamene, l’archivio Gaetani in Pied. non ha molti documenti anteriori al 1500, per due ragioni: 1) perché i Gaetani dimoravano a Fondi, e avevano quasi tutto lì; 2) per il saccheggio spagnuolo nel 1504.

fonte

http://pm2010.altervista.org/feudale.htm

 

 

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