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PIETRO CARDAMONE, una delle tante vittime del colonialismo piemontese

Posted by on Ott 25, 2020

PIETRO CARDAMONE, una delle tante vittime del colonialismo piemontese

Pietro Cardamone nacque a Soveria Mannelli (CZ), dove trascorse pure, in modo tranquillo, la sua gioventù. Prima di essere chiamato alle armi conseguì la licenza elementare, lavorò nei campi con il padre e nel tempo libero fece  pure il barbiere.

All’età di quasi 17 anni si arruolò come volontario in aviazione e dopo il regolare corso diventò motorista con il grado di sottufficiale. Il 28 maggio 1941 fu inviato al centro di affluenza di Grottaglie e subito dopo trasferito al Reale Aeroporto Mirafiori di Torino. Il 15 settembre del 1941 partì dal Reale Aeroporto di Capua per la Libia dove, dall’estate del 1940, l’Esercito italiano al comando del maresciallo Rodolfo Graziani stava combattendo nella così detta “guerra nel deserto” contro gli “Alleati” Egitto, Tunisia, Libia, Algeria e Marocco.

La “missione” italiana in Libia contro l’Impero Ottomano, composta al’inizio da 35.000 uomini, al comando del generale Carlo Caneva era iniziata, su ordine di Giolitti, tra il 4 e il 5 ottobre del 1911 con gli sbarchi a Tobruk e Tripoli.  La “missione” ebbe un maggiore impulso con l’avvento al potere di Mussolini  e con i suoi sogni di conquista coloniale. Con il trascorrere del tempo nacquero, però, in Cirenaica dei seri problemi tra l’Italia e l’organizzazione religiosa e politica mussulmana Senussia che contestò la nostra invasione. La risposta italiana fu micidiale: ci furono rastrellamenti a catena e bombardamenti per distruggere le coltivazioni di orzo libico al fine di impedire il loro commercio con l’Egitto. Così migliaia di indigeni furono costretti a fuggire verso la Tunisia, l’Algeria, il Ciad e l’Egitto. Nel 1928 l’oasi di Gife, situata tra la costa mediterranea a sud di Nufilia e la catena dei monti Harugi, ricovero di diversi ribelli, fu distrutta dalle nostre bombe, alcune delle quali caricate a gas in violazione del diritto internazionale che l’Italia fascista aveva firmato il 17 giugno 1925, con altri 25 paesi, a Ginevra. La guerriglia senussita, pur colpita dai massicci bombardamenti, continuò a creare seri problemi al regio esercito italiano. Il 18 dicembre 1928 venne nominato, per dare una svolta alla “pacificazione“, come governatore delle due province della Tripolitania e della Cirenaica e poi “governatore unico” di entrambe Pietro Badoglio. La guerriglia senussita continuò nonostante il tentativo di pacificazione. Così, nel 1930, i generali Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani ordinarono il trasferimento verso i campi di concentramento di alcune tribù dell’altipiano del Gebel che si erano ribellati all’esercito italiano. Vecchi, donne e bambini furono sottoposti a terribili marce forzate per centinaia di chilometri, diventate vere e proprie “marce di sterminio”. Chi indugiava o si attardava nelle poche soste veniva subito abbattuto. La tribù degli Auaghir raggiunse il campo di concentramento di Soluch, in Cirenaica, dopo 350 chilometri di marce forzate. 6.500 persone tra Abeidat e Marmarici, che avevano tentato di ribellarsi, furono sottoposti, in pieno inverno, a una marcia di 1.100 chilometri verso la Sirtica.

Dal censimento fatto in Cirenaica dopo la guerra con l’Italia risultarono mancanti all’appello ben 83.000 persone. Di queste: 20.000 si erano rifugiate in Egitto e ben 63.000 morirono a causa delle deportazioni. Un vero e proprio “genocidio di massa” eseguito dai militari italiani, su ordine del governo.

  Peggiore sorte toccò, nel 1931, ad alcune bande di ribelli che si erano rifugiate a Kufra, città santa dei senussi nella Libia sudorientale. La città, prima di essere conquistata da una colonna di “meharisti”, mercenari libici su cammelli e autocarri, subì diversi bombardamenti e un duro attacco da un esercito di militari italiani e mercenari libici. Kufra fu sottoposta a tre giorni di saccheggi e violenze: 17 capi senussiti furono impiccati, 35 indigeni evirati e lasciati morire dissanguati, 50 donne stuprate; si registrarono anche 50 fucilazioni e 40 esecuzioni con ascia, baionette e sciabole. Le truppe vittoriose si abbandonarono a ogni atrocità: alle donne incinte venne squartato il ventre e i feti infilzati, alcune giovani donne furono violentate e sodomizzate con le candele, teste e testicoli mozzati portati in giro come trofei, tre bambini furono immersi in calderoni di acqua bollente e ad alcune persone anziane, prima di essere accecati, le vennero estirpate le unghie.

I guerriglieri sopravvissuti fuggirono inutilmente con le proprie famiglie. Infatti,  reparti cammellati e l’aviazione l’inseguirono per vari giorni fino ad annientarli: tra le vittime anche molte donne e diversi bambini. 

Nel mese di dicembre del 1940 le forze britanniche del generale Archibald Wavell, sconfissero il nostro esercito e occuparono l’intera Cirenaica. Benito Mussolini fu costretto a chiedere aiuto ad Adolf Hitler che, nel marzo 1941, inviò in Nordafrica un corpo speciale, il cosiddetto Afrikakorps guidato dall’abile generale Erwin Rommel. Nella primavera del 1941 il generale tedesco passò all’attacco e riconquistò la Cirenaica, tranne Tobruk. Dopo alcuni successi, le forze italo-tedesche furono sconfitte e costrette a ripiegare nuovamente fino al confine della Tripolitania a causa della nuova offensiva britannica, proprio nel periodo in cui arrivò in Libia Pietro Cardamone. L’afflusso di altre truppe italo-tedesche permise di fermare per poco tempo l’avanzata alleata da est e da ovest. Privi di adeguati rifornimenti e inferiori numericamente, la situazione delle forze italo-tedesche precipitò nei mesi successivi fino a quando, il 13 maggio 1943, le residue milizie passate al comando del generale Hans- Jürgen von Arnim si arresero mettendo così fine alla nostra disastrosa campagna in Libia.   

In questo contesto duro e tragico, all’età di anni 20, Pietro Cardamone iniziò il servizio di leva in Libia, dove già si trovava suo fratello Francesco, preso poi prigioniero dagli inglesi a El Aleman prima di essere trasferito in Australia.

Il 6 novembre del 1941 Pietro viene rimpatriato perché giudicato non idoneo al servizio coloniale con la proposta di gg. 30 di convalescenza. I tragici avvenimenti vissuti in Libia avevano lasciato certamente profonde ferite nella mente del giovane Pietro che da allora iniziò a dare segnali preoccupanti di squilibrio mentale. Dopo il suo rientro dalla convalescenza, infatti, iniziò a essere protagonista di una serie di atti delinquenziali come: furti, ricettazione, tentato omicidio contro alcuni carabinieri e tentato rapimento di una ragazza di Soveria Mannelli, di cui era innamorato. Venne, quindi, ricoverato più volte nell’ospedale psichiatrico “S. Maria della Pietà” in Roma e nel manicomio Giudiziario di Napoli. Il 19 giugno 1958, infine, uccise in Calabria tre persone in tre luoghi diversi. Dopo l’arresto fu portato all’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, dove rimase, anche se in modo non continuativo, per diversi anni. La Corte d’Assise di Catanzaro, per il triplice omicidio del 1958, lo condannò a 22 anni di reclusione.

Finita la pena ritornò a Soveria Mannelli ospite di suo fratello; qui, non essendo più abituato a vivere in società, si sentiva come un estraneo: non sapeva usare i coltelli durante i pasti, aveva paura del fuoco ed era sempre taciturno. Per questi motivi tentò diverse volte di allontanarsi. Dopo altre disavventure, visse gli ultimi anni della sua sfortunata vita in una casa di riposo di S. Pietro Apostolo dove morì il 22 gennaio del 2005.

Non risultando nessun tipo di atto giudiziario a carico di Pietro Cardamone prima del suo servizio militare in Libia, è possibile che egli sia stato vittima di gravi danni mentali dovuti alle atrocità della guerra in Libia.

Il problema principale per i militari e per i civili alla fine di ogni evento bellico è la reazione dello stress mentale agli orrori vissuti durante il conflitto.

Molti soldati in diversi fronti, compresi gli italiani, sono stati arrestati, condannati e giustiziati dai vari tribunali militari con l’accusa di vigliaccheria e di viltà perché erano fuggiti dai luoghi di combattimento in preda allo shock emotivo. Solo successivamente si è capito che non si è trattato di vigliaccheria e di viltà ma di ammalati psichiatrici causati dalla guerra: “Costringere l’uomo a uccidere un suo simile ha effetti devastanti”. E’ la nevrosi traumatica citata da Freud.

Durante la I Guerra Mondiale, secondo le statistiche del Pentagono, furono uccisi 116.516 soldati americani, ne furono feriti 204.002, invece 106.000 furono ricoverati negli ospedali militari per un trattamento psichiatrico. Il 65.5% dei 106.000 soldati furono dimessi perché non idonei alla guerra in quanto colpiti da così detto “Breakdown mentale”, ovvero blocco o abbattimento mentale.

Lo shock mentale, secondo recenti statistiche, ha raggiunto, nella popolazione militare, l’impressionante percentuale dell’80%. Si è pensato quindi di costruire appositi ospedali vicino ad ogni fronte di guerra per accogliere, non solo i feriti nel corpo, ma anche quelli nella mente.

Francesco Antonio Cefalì

* Tratto dal libro “Pietro Cardamone – La sconvolgente storia di un aviere della II Guerra Mondiale” , scritto da Francesco Antonio Cefalì .

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